La Mia Teoria del Tutto (parte 1)
Nel marzo 2004, mio padre ebbe una diagnosi per una patologia tumorale.
Circa cinque anni prima, avevo letto, nel Contratto Nazionale per i Metalmeccanici, che il dipendente avesse diritto a due mesi (se ricordo bene il numero di mesi) di aspettativa, dal momento della diagnosi, per tre tipologie di patologie a carico dei familiari: patologie tumorali, patologie psichiatriche ed un’altra tipologia che non ricordo.
Non chiesi aspettativa: mio padre fu curato completamente in zona, nella nostra città, Battipaglia.
Al momento della diagnosi, chiedemmo consiglio al medico curante. Ci rassicurò: “In questo momento, il primario di chirurgia dell’ospedale di Battipaglia è un professore di livello universitario”.
Anche dopo l’intervento, la terapia fu praticata nell’ospedale di Battipaglia.
Anche per la terapia ci informammo. Separatamente, senza sapere l’uno dell’altro. Mio marito chiese ad un suo specialista di fiducia a Salerno. Mio fratello maggiore chiese ad uno specialista a Roma, il quale gli disse: “Il protocollo è uguale dappertutto”, come venni a sapere dopo.
E fummo fortunati. Pochi anni dopo il servizio di cure oncologiche all’ospedale di Battipaglia non c’era più, occorreva spostarsi a Salerno. Ok, solo venti chilometri, comunque andò bene.
Un anno prima, a febbraio 2003, mio fratello minore aveva ricevuto una diagnosi di schizofrenia. Certo uno shock, sebbene avessi capito, solo a ottobre 2002, che il disagio di mio fratello fosse serio. ‘Solo’ in quanto i segnali di allarme risalivano, per noi familiari, oramai a quasi due anni addietro.
A ottobre 2002, lo shock era stato realizzare che mio fratello non si fidasse di me. Pensai a qualcosa come paranoia(1).
A febbraio 2003, l’epoca in cui sentii la parola ‘schizofrenia’ appioppata a mio fratello, ero convinta, da tempo, che fosse un termine utilizzato dai dottori quando non ci capivano niente. E non avevo ancora mutato opinione benché l’avessi sentita, a novembre 2002, come diagnosi fatta a John Nash, il matematico premio Nobel per l’economia, nel film ‘A beautiful mind’ ispirato alla sua vicenda.
Solo anni dopo, col tempo, avrei appreso che invece la schizofrenia è una malattia ben circostanziata e descritta che passa per varie fasi. E la diagnosi a mio fratello arrivò quando oramai era allo stadio più grave, quando i pensieri ricorrenti o, meglio, i pensieri di una mente intelligente, sensibile e vivace avevano radicato il danno anche a livello fisico. Semplice fare la diagnosi a questo stadio della malattia, a questo stadio quando il disagio si è trasformato in malattia: hai allucinazioni uditive? sei schizofrenico.
Anche nel film ‘A beautiful mind’ vediamo arrivare la diagnosi di schizofrenia al professore universitario John Nash quando ci sono già allucinazioni. Nel film vediamo allucinazioni visive, ma è solo una necessità cinematografica: il professore John Nash aveva allucinazioni uditive, come tutti. Nel film è suggerita l’ipotesi che il professore avesse la malattia già ai tempi del college.
Anche per mio fratello, ascoltando a posteriori le testimonianze degli amici, il disagio doveva già esserci verso i diciott’anni. Gli amici riferiscono di una sua reazione ad una situazione durante una loro vacanza in Grecia. Una reazione che a loro parve esagerata, benché ammettano che la situazione fosse un po’ antipatica.
Esagerata per chi non è sensibile.
“Si vede che sei troppo sensibile”, mi dissero, separatamente, per telefono, sia una mia seconda cugina lato materno sia un vecchio amico dei tempi dell’adolescenza a gennaio 2018.
Non lo sapevano, ma con quella frase mi fornirono la chiave della spiegazione di quanto fosse accaduto.
Una chiave che in parte già possedevo, ma che chi era accanto a me aveva avuto cura di nascondere.
(to be continued)
(1) Novembre 2018. Entro nello studio della neurologa responsabile del centro neurologico pediatrico di P. La dottoressa è al telefono e sta concludendo una conversazione: “La signora è paranoica. Ci vogliono i farmaci”, e riaggancia.
Mi accomodo di fronte a lei, parliamo della pratica che è quasi conclusa. Prima di salutarla, mentre mi sto alzando, a conclusione di un ragionamento che ho fatto, indipendente dalla pratica burocratica per cui ero lì, dico: «La signora è paranoica? Prima di dire: “La signora è paranoica”, vedete bene cosa le hanno fatto».