La Passione E L'Amore
"M'ha telefonato mio marito..."
"Novità?"
"Torna dopodomani..."
"...prima o poi..."
"Mi sento morire..."
"Porta Raffaella da tua suocera e poi vieni a casa mia."
La storia fra Miriam e Alberto era iniziata tre mesi prima. La dama, un metro e ottanta, lunghi capelli biondi, ben proporzionata, dal sorriso affascinante, un passato da atleta (lanciatrice di giavellotto), casalinga, era sposata con un ometto pari età, Andrea M.. trentacinue anni, un metro e sessantacinque, chiuso di carattere ma ricco di famiglia, ingegnere presso L'ENI, rimaneva lontano da casa lunghi mesi impiegato presso piattaforme petrolifere dando la possibilità alla bella Miriam di spassarsela bellamente.
Alberto, quarant'anni, scapolo incallito, un metro e ottantacinque, tombeur des femmes, prestava la sua opera presso la Guardia di Finanza col grado di maresciallo. Anche la divisa contribuiva ad aumentare il suo fascino e il successo con le femminucce (anche mogli di colleghi) era assicurato.
Abitavano nello stesso palazzo. Il loro primo incontro era avvenuto un giorno di novembre, particolarmente piovoso, in cui Miriam aveva avuto difficoltà a trasferire i pacchi della spesa dalla sua macchina sino all'ingresso della scala.
Il bell'Alberto si era premurato ad aiutarla salendo al suo piano con l'ascensore.
"Qui finisce il nostro percorso." Alberto aveva buttato l'amo."
"No entri a casa mia, gliela faccio visitare."
"Proprio bella, mobili moderni anche se io preferisco quelli antichi."
"Allora mi faccia vedere casa sua!"
"Scusi il disordine ma oggi non è il giorno del filippino."
"Vedo che ha ancora il letto sfatto, chissà quante femminucce ci sono passate!"
"Una meno di quante ne vorrei!"
"Non capisco.."
Miriam invece lo capì subito perchè si trovò lunga distesa sul letto non rifatto con Alberto sopra di lei, così era iniziata la loro, storria.
Domanda immancabile: "Mi domando e penso non essere il solo come o meglio perchè hai sposato tuo marito."
"Mio padre era morto e la sua pensione di riversibilità non era sufficiente per mantenere la mia famiglia soprattutto per acquistare i medicinali per mia madre gravemente ammalata. Andrea da tempo mi faceva una corte assillante, era ricco di famiglia, sapeva di non avere alcuna possibilità ma non demordeva. Spinta da mia madre e dai suoi parenti mi sono lasciata convincere a sposarlo ben sapendo che mi sarei prese tante licenze extramatrimoniali sin quando ho conosciuto te e mi sono innamorata, maledizione!"
"Maledizione perchè?"
"E me lo domandi. Adesso al solo pensiero che mi tocchi mi rende nervosa, infastiita, trovo la cosa insopportabile..."
"Lascialo."
"Raffaella è troppo piccola e lo adora, sarebbe per lei un trauma e poi non saprei dove andare lasciando casa nostra, lui mi farebbe la guerra con la separazione per mia colpa, senza alimenti e poi chiederebbe l'affidamento di nostra figlia."
"Cerco di mettermi nei tuoi panni..."
"Non penso che possa riuscirci, per un uomo il sesso è qualcosa di più superficiale e poi non sei innamorato di me..."
"Sai l'amore..."
"Lascia perdere, sei molto bravo con le parole e forse riusciresti a convicermi che tu.."
Miriam si era messa a piangere.
Erano passati vari giorni senza che i due amanti potessero sentirsi.
Una mattina Alberto sentì bussare alla porta con violenza. Scalzo andò ad aprire., Miriam entrò e si butto sul letto.:
"Hai staccato il telefono e il cellulare."
"Si non volevo che mi chiamassero dalla caserma, ho fatto due notti..."
"Due notti con chi o meglio con quale baldracca!"
Alberto prese il viso di Miriam fra le mani, il pianto di una donna era per lui il peggior castigo che potesse capitargli, gli toglieva tutte le difese, sentì crampi allo stomaco.
"Riesci a spiegarmi cosa è successo?" (si era completamente dimenticato del rientro di Andrea in famiglia.)"Il 'padrone' mi ha telefonato dall'aeroporto di Catania: 'fra due ore sarò lì, preparami una buona cena.'"
"E per una cena la fai tanto lunga!"
Miriam guardò Alberto con odio.
"Dopo la cena c'è il digestivo!"
Alberto capì che non era il caso di fare ancora l'imbecille, Miriam era in piena crisi di rigetto del marito per colpa del bel maresciallo di cui si era innamorata, allora cercò di entrare in campo con la psicologia.
"Amorino usa un pò di fantasia, chiudi gli occhi e vedi me al posto di tuo marito."
Un rapporto sessuale violento fu la logica conclusione che però non riuscì ad alleviare le angosce di una sconsolata Miriam.
"L'ho mandato a far la spesa, gli ho fatto un elenco lungo un chilometro così possiamo parlare più a lungo. È stato tremendo, quando mi si è avvicinato tremavo come una foglia, ha cominciato a baciarmi il fiorellino poi mi ha penetrato con violenza, maledetto, mi ha fatto male non era lubrificata, ha seguitato a lungo malgrado facessi finta di godere tante volte, mi sono mossa col bacino e finalmente si è sbrigato.
Mi sono voltata di spalle e allora sai che ha fatto il bastardo, ha tentato di inchiappettarmi come dici tu, mi son girata di colpo e m'è venuta voglia di strozzarlo (il culino è solo tuo). Mi ha di nuovo penetrato e qui ho dovuto muovermi molto per farlo venire presto: Sono andata in bagno a farmi una doccia, mi sentivo sporca, sono distrutta."
Che dire ad una donna disperata:
"Cara quello che mi hai descritto mi ha addolorato, che dirti?"
"Che mi ami,"
"Questa era una domanda alla quale Alberto non amava rispondere e cercava sempre di svicolare.
"Lo sai, cara."
"No me lo devi dire."
"Certo che ti amo..."
Il ritorno di 'Ulisse' scombinò i programmi di Alberto, non appena poteva Miriam, allontanato da casa Andrea con motivazioni varie, si infilava nel letto dell'amante per una sveltina e poi rientro a casa e la solita domada:
"T'è piaciuto?"
"E me lo chiedi cara, sei stata magnifca come il solito.!" Che palle!
Poi una combinazione fortunata, il colonnello Andrea Speciale invitò il maresciallo nel suo ufficio:
"Minazzo ho bisogno di te come fotografo dobbiamo amdare a Catania per un servizio, ce l'hai lo smoking?"
"Comandante c'è un veglione?"
"Niente veglione dobbiamo andare in un posto dove tutti lo indossano, ne parleremo strada facendo, mettiti in borghese, elegante mi raccomando."
La sera, barba rasata, tutto in ghingheri Alberto prese l'ascensore e, caricata la valiga in macchina, si diresse all'uscita del parcheggio sotto lo sguardo della beneamata che spiava da dietro una finestra. Telefonino lasciato a casa, avrebbe usato quello di servizio.
All'ingresso in caserma il maresciallo di picchetto suo paesano:
"Arbè 'ndo vai, anche il comandante è tutto incriccato."
"'Ndo vado? A mignotte e tu sei invidiosso!"
"Ma vedi d'annattene!"
"Minazzo hai preso tutto il materiale fotografico, è un servizio impegnativo!"
"Comandante il novanta per cento del materiale è di proprietà esclusiva del sottoscritto, la sa quanto sono stitici a Palermo?"
"Vabbè, ma non t'allargà troppo." Il colonnello era siciliano ma aveva prestato servizio a Roma per dieci anni.
A Catania in un albergo prenotato, niente caserma, non volevano farsi riconoscere, era un servizio concordato con la rete occulta di Roma.
L'indomani nella hall li colonnello gli presenrtò un maggiore e due marescialli in forza al Nucleo Centrale.
Il maggiore chiese ad Alberto se l'attrezzatura fotografica fosse valida.
Il colonnello s'interpose:
"A Roma dicono che è er mejo ma tu non tirare fuori la solita tiritera che gli aggeggi li hai comprati con i tuoi soldi, ti farò dare un encomio, contento'"
"Comandante se al posto dell'encomio ci fosse un pò di grana..."
"Mi. vedi..."
"Ha capito, ci vado subito..."
Mangiarono inn due tavoli separati, in uno il cononnello e il maggiore nell'altro i tre marescialli e l'autista ma di sapere notizie sul servizio nisba.
Di pomeriggio il cononnello Speciale convocò l'Albertone in camera sua.
"Stasera devi fotografare un trafficante internazionale di droga. A Roma hanno saputo che presenzierà al teatro Bellini, è in programma un'opera, musica che non amo ma che dobbiamo sorbirci, mi pare che anche tu..."
"Anch'io ma forse ci consoleremo con la visione di qualche..."
"La tua è una fissazione, vedi piuttosto di non sbagliare, faremmo una figura di cazzo!"
"Comandante ho un circomirrotach che..."
"Che minchia è sto circ..."
"È un falso obiettivo, io punto un soggetto e ne fotografo un altro a 90 gradi."
"Mi affido a te, voglio sia il bianco e nero che il colore."
All'ingresso del teatro una moltitudine di gente ben vestita, tutta la Catania bene, oltre a vecchie signore incartapecorite deliziose fanciulle 'in fiore' al braccio di giovani rampolli.
L'unico che rimase fuori fu l'autista che, non di buon umore, parcheggiò la Fiat 131 con targa civile in mezzo a macchine di lusso. Sicuramente avrebbe dovuto aspettare circa quattro ore in mezzo ad autisti gallonati che gli avrebbero fatto domande sui suoi 'padroni', preferì recarsi in un vicino bar con telefonino acceso.
Nel foyer gli appartenenti alle Fiamme Gialle si erano posizionati lontano dal bar per non dare nell'occhio. Solo il maresciallo fotografo girava fra gli ospiti rimediando sguardi malevoli oltre che per motivi di privacy (non tutte le coppie erano regolari) anche perchè le signore non amavano essere riprese stracariche di gioielli; molto prebabilmente i mariti non erano in regola con le tasse!
Alberto era in contatto visivo col maggiore di Roma il quale ad un certo punto gli fece un segnale: era giunta la persona da fotografare.
Il cotale: altezza m.1,65 circa, biondo, occhi azzurri, inquietanti, dava l'idea del killer, fisico tarchiato ingabbiato in uno smoking che gli stava decisamente stretto. Al suo fianco eilah! una bruna dieci centimetri sovrastante, capelli neri a chignon, occhi verdi sorridenti, fisico intrappolato in un tubino nero di sartoria tagliato più in basso all'altezza del seno che, in seguito a manovre improvvise della proprietaria, mostrava un capezzolo sotto lo sguardo indifferente dell'accompagnatore ma non di quello dei vicini maschietti che mostravano un'espressione da ebete e si beccavano un bel calcio negli stinchi dalle gentili compagne.
Passato il primo momento di stupore, Alberto mise il famoso circomirrotach sull'obiettivo 300 mm., riprese i due da tutte le posizioni (compreso il capezzolo di fuori), usò due caricatori da 36 pose, sicuramente un bel servizio, il cononnello Speciale avrebbe fatto una bella figura con i signori di Roma.
Al suono di un campanello tutti ai loro posti, la Fiamme Gialle in platea all'ultima fila, i due di cui sopra in prima fila. l'Albertone, con la solita faccia tosta, aveva fatto finta di sbagliare e si era infilato in un palco occupato da due signore: una circa sessantenne dall'aspetto di nobildonna, l'altra più giovane.
Dopo le scuse per l'intrusione,la signora anziana, con un cenno del capo, gli fece cenno di accomodarsi. La dama con vestito nero di sartoria, leggermente scollato, mostrava due file di perle non coltivate di notevole valore. La ragazza, pari altezza di quella di Alberto, bruna, capelli corti, sguardo da combattente, bella bocca carnosa, vestito nero al ginocchio, vita stretta, seno terza misura, niente gioielli.
Ad un certo punto il falso free lance sgusciò dal palco con uno 'scusate' seguito dalla giovin damigella.
"Sono Alberto M. e, per essere sincero, non amo l'opera o meglio non la capisco, datemi il Duca..."
"Sono Genoveffa Lucio del Priore... vedo che non fa i commenti dei soliti imbecilli, le sono grata, anch'io non amo l'opera ma a proposito del Duca..."
"Parlavo di Duke Ellington, un celebre jazzista."
"Lo conosco, mio padre amava quel genere di musica."
"Vorrei cogliere l'occasione per immortalarla, con la fotografia me la cavo bene."
"Non amo essere ripresa, senza offesa ma non amo la sua categotria, i fotografi sono maleducati ed invadenti."
"Stavolta la foto l'ha fatta lei a me, concordo con lei che talvota i paparazzi sono molto fastidiosi ma campano con gli scoop...facciamo pace, le offro qualcosa al bar, a quest'ora non c'è nessuno."
"Mi chiami Gea, non mi piace essere chiamata così ma ormai lo fanno tutti."
"Ho un'idea sulla provenienza del suo cognome, se me lo permette..."
"Mi ha incuriosita."
"Sin dai tempi che furono i sacerdoti che si trovavano nelle condizioni di dover dare un nome ai trovatelli, insomma a quelli che venivano abbandonati nella famosa 'ruota' dei conventi, con un pizzico di cattiveria imponevano ai poveri bambini dei nomi che richiamavano la religione ma che facevano risaltare la loro posizione sociale di figli di n.n.Questa è solo una tesi, forse non è il suo caso."
"La sua è un'ipotesi alla quale non avevo mai pensato o meglio la sconoscevo proprio."
"Bene, cosa vogliamo ordinare, per lei penserei ad una Cocacola."
"Proprio non ci ha azzeccato, sono per il 'Negroni' ma voglio tornare nel palco non vorrei che la marchesa avesse bisogno di qualcosa."
"Marchesa di che?"
"Marchesa Eleonora G., vedova, molto benestante, è sua la Rolls Royce posteggiata fuori."
In verità Alberto, da vecchio amante delle macchine, aveva notato una Silver Cloud III color argento, alla faccia...
Seguì Gea sino all'ingresso del palco, fece per tornare indietro ma la pulsella lo prese per mano e lo introdusse nel palco; con un sorriso la vecchia signora lo invitò a sedersi vicino a lei.
Dopo circa dieci minuti il bell'Albertone pensò al colonnello Speciale e agli amici di Roma.
"Marchesa devo assentarmi per scattare delle foto."
"Si faccia vedere all'uscita..." non finì la frase che la Fiamma Gialla si era fiondata fuori alla ricerca degli 007 e del comandante di Legione il quale, al suo apparire, lo squadrò in maniera poco amichevole.
All'orecchio del colonnello: "Comandante tutto a posto, in tasca ho due rullini scattati."
"Si ma dove ti era cacciato, sicuramente con qualche mignotta, vieni con me nell'atrio."
"Colonnello ha familiarizzato con una marchesa..."
"Non fare lo stronzo, io riparto per Messina, tu mettiti a disposizione del maggiore, nei giorni prossimi ha bisogno di un fotografo, mollagli i due rullini e adesso ritorna dalla tua marchesa, marchesa buah!"
Alberto non se lo fece dire due volte, dopo il saluto d'obbligo 'comandi', con molta calma si diresse verso il palco della nobildonna nel momento in cui scrosciavano gli applausi, l'opera era finita.
"Marchesa col suo permesso vado a scattare altre foto, ci potremo vedere all'ingresso. sempre che..."
""A più tardi."
Alberto raggiunse il maggiore ed i due colleghi, ricevette l'ordine di stare a dispisizione in albergo, appuntamente fra due giorni alle ore 20.
Felice come una Pasqua il bell'Alberto si catapultò fuori dal teatro con appresso l'attrezzatura fotografica, vide la Rolls Royce che emergeva fra le altre auto, l'autista aprì lo sportello posteriore.
"Entri non azzanniamo i bei giovani vero cara?" La cara era seduta davanti con il viso rivolto all'indietro.
"Gea le avrà detto che non ama la categoria dei fotografi ma penso che con lei abbia fatto un'eccezione."
"Penso di si...sono impegnato per tre giorni poi farò rientro a Messina, per ora sono alloggiato all'hotel 'Romano house', devo cercare un taxi per rientrare in albergo."
"Non ci pensi nemmeno, Alfredo ci condurrà lì, Alfredo conosci la strada?"
"Si signora."
Sceso dall'auto Alberto, con finto baciamano alla marchesa, si congedò dalla compagnia. Per due giorni gironzolò per Catania senza acquistare nulla, gli oggetti che gli piacevano avevano prezzi non alla sua portata, il cibo dell'albergo era ottimo servito da camerieri disponibili ed efficienti.
La sera dell'appuntamento, alle venti in punto, era dinanzi all'hotel con un borsone pieno di materiale fotografico. Un'Alfa Romeo 2000 gli si avvicinò, all'interno i signori romani, si posizionò vicino ai due colleghi, durante il primo tratto silenzio poi il maggiore:
"Noi ci interpelliamo solo per nome: io sono Ferdinando (da buon romano Nando), l'autista è Romolo, vicino te Nicolò e Oronzo.
Ci diamo del tu, non siamo formalisti. Sento dall'accento che sei romano di dove'?
"S:Giovanni, via Taranto."
"Incredibile, a distanza di chilometri...io abito in via Magna Grecia e Romolo in via Appia, oltre che paesani siamo vicini come abitazione!"
"Parliamo di cose serie, io Alberto sono romanista e voi?"
Silenzio da parte di tutti.
"Ho detto qualcosa che non va?"
"Purtroppo con due romanisti, io Nando e Romolo abbiamo due laziali! Fra l'altro uno è pugliese e l'altro trentino e ti vanno a farebil tifo per la Lazio...lasciamo perdere, siamo arrivati."
Dinanzi un grande edificio con una targa 'Import ‐ export', fuori due spazzini che spazzavano dove mondezza proprio non c'era.
Il maggiore:
"All'opera ci sono tre cugini prestatici dalla Benemerita che hanno disattivato l'allarme, sono entrati aprendo porte dalla serratura cifrata, tu devi fotografare dei documenti che non possiamo sottrarre, ufficialmente l'Autorità Giudiziaria non sa nulla dell'operazione, dobbiamo fare tutto bene e in fretta."
Alberto tirò fuori uno stativo dove poggiare i documenti da riprodurre con la fedele Topcon e obiettivo grandangolare.
Nessun contatto con i cugini tutti impegnati nel proprio lavoro e poi via ognuno per la propria strada senza saluti nè strette di mano.
Alberto, consegnati i rullini al maggiore, fu riaccompagbnato in albergo.
Nando: "ciaio romanista, questi i nostri indirizzi di Roma, se dovessi passare da quelle parti..."
Alberto si svegliò alle dieci, telefonata a casa della marchesa.
"Casa della marchesa G. parla Carmela."
"Gentile signora Carmela, dica alla signora marchesa che sono Alberto e vorrei parlarle."
"Un attimo."
"Allora bel fotografo si è liberato dagli impegni?"
"Si gentile signora ma debbo rientrare a Messina."
"Quando vorrà venga a trovarci, sarà un piacere per me e anche per Gea, vero cara?...Chi non risponde assente e quindi a presto."
A Messina il buon Albertone pensò di chiedere al colonnello Speciale quindici giorni di licenza.
"Mi piacerebbe sapere dove andrai a fare danno, a Catania? Vuoi diventare marchese?"
Dopo dieci minuti di presa in giro Alberto ottenne la sospirata licenza.
"Signora marchesa mi sono liberato dagli impegni, prenderò il treno che arriva a Catania alle 12 di domani con un taxi..."
"Niente taxi, Alfredo verrà a prenderla alla stazione, a bientot!"