La pianura
La pianura è complicata. Non vedi mai una fine se guardi l'orizzonte da una pianura, non ti addormenti, ti spegni a occhi aperti e labbra che si abbracciano ai denti. I silenzi sono accesi, privi di eco ma costanti, senza soluzione di continuità. La notte pare di sentire rantolare le stelle o di udire sbadigliare la luna, il giorno non puoi nemmeno aggrapparti alla terra o, a quel che è rimasto di essa, difficile trovare terra che non abbia detriti di vizi umani sparsi sul corpo o conficcati nel cuore. Anche la terra ha una voce e quando parla fa danni, diciamo che è atroce, ci sballotta a piacimento, ci sposta le cose, ci toglie il respiro. Chi l'ha avvertita gridare ne porta ancora il rumore negli occhi quando ne parla, son parole sudate che ancora vibrano e sussultano. Eppure la terra sa attendere senza proferire parola, l'acqua è il suo sangue che scorre, a volte deviato, a volte fluttuante. Io non somiglio alla terra, neppure so se ho un sangue che scorre e se mai ce l'avessi mi sorge il dubbio di non aver mai dipinto nulla con esso. Sono un pittore mancato, un poeta inventato, un musicista scordato, uno scultore abbronzato, un uomo finito mai cominciato. Eterno bambino alla prima esperienza, soffocato dall'adolescenza, succedaneo di sconosciuta forma, sono un'ombra che non segue la propria orma. La pianura è complicata, inghiotte luce e buio, ti copre di nebbia, su una distesa pianura non sei mai al sicuro, papaveri e girasoli, barbabietole e pomodori e poi peri innestati, campi di soia geneticamente modificati, vigneti dai grappoli pianificati, terreni, infiltrati da flebo, i quali giocano a fare i morti resuscitati. La pianura è un film comico, dal messaggio tragico. E' un "Amici miei", un "Radiofreccia", un "Compagni di scuola", è una risata con la morte in gola, è fredda, afosa, umida, scontrosa. La pianura non finisce mai di non stupire, se chiudi gli occhi continui a vederla, piena di spigoli d'aria che torcono la speranza. Io sono pianura, complicato, senza fine e senza inizio, aggrappato sull'orlo di un precipizio che non esiste, se non nello sguardo di un bambino quando è triste.