La rivolta delle parole
Mi capita, quando quassù, in questa villetta, siano tutti al loro lavoro e il silenzio si riprende i remoti suoni della campagna; …mi capita, dicevo, di dare libertà, di far pascolare, ecco il termine appropriato, l’indicibile.
In una cassaforte del mio io, stanno racchiuse parole, da anni, tra neuroni edelettroni, prigioniere di un’educazione ottocentesca, che distratta, perlavoro, non ha saputo, nel 68, trovare la via della liberazione, che altri purtrovarono. Sono suoni fantasiosi, alcuni sono fatti di note ricercate, fiorite
da strumenti persi nella notte dei tempi.
Ogni parola, prigioniera, ha una sua storia nella mia vita personale. Ricordo il primo incontro. L’emozione violenta del suono, la profondità chiara del significato. Il rossore delle mie gote di bimbo. Rammento il volto di chi mi fece rinchiudere quella parola, il suono della voce, imperioso di un famigliare o di un educatore.
Da allora, stanno lì, apparentemente rassegnate, ma in realtà pronte alla rivolta, al miraggio di un pertugio dell’anima, per poter evadere. Ed ecco che io, da poco tempo, le libero qualche mattina, portandole all’aria di questa campagna contaminata, di una prossima periferia, dove tutto è abusivo, le mura, le tartarughe, nella vasca, i cavalli da corsa, nel recinto, i maiali, i cinghiali, lassù, tra lasterpaglia. Vivono per un attimo, respirano il profumo degli ultimi gelsomini eil tanfo dello sterco. Cercano invano l’altro, per cui sono nate, nelloscandalo del loro significato, ma non trovano che me. Rassegnate, ma purriconoscenti, mi tornano dentro.