La saetta
Era l’estate dell’anno 1952 quando, in quell’angolo verde e stupendo del Veneto chiamato Cadore, Angelino, un ragazzo di undici anni robusto e di buon carattere ogni mattina saliva talvolta con fatica, il sentiero che portava alla sommità del monte dove i boscaioli segavano gli alberi. Il suo compito era quello di portare il pane per la colazione dei taglialegna arrivando fino alla baracca fatta di assi e pietra dove gli uomini dormivano. Angelino aveva accettato di buon grado questo compito che lo faceva sentire grande e indispensabile alla sua famiglia e lo eseguiva diligentemente.
La baracca era situata in un prato pianeggiante dal quale si dipartiva un ripido sentiero che conduceva al luogo dovei boscaioli lavoravano, ci si arrivava in venti minuti. La madre lo accompagnava fino al limitare del bosco; allorquando le prime luci dell’alba s’impadronivano del cielo lei lo lasciava proseguire da solo e tornando a casa dagli altri figli più piccoli che ancora dormivano, non senza avergli fatto le solite raccomandazioni.
Da quel momento in poi il ragazzo era assalito da mille paure, ma non lo aveva mai confessato a nessuno: gli animali del bosco, non tutti buoni… le volpi, i serpenti, i gatti selvatici… Ne avvertiva la presenza e il verso. Ogni rumore era ingigantito dal silenzio della notte appena passata; il ragazzo allungava il passo procedendo più speditamente e per farsi coraggio fischiettava, qualche uccello a volte gli rispondeva, iniziando così un concerto meraviglioso. Al mattino il bosco era uno splendore! Angelino si sentiva felice e ripagato dei minuti di timore vissuti: assisteva al risveglio degli animali, ascoltava il rumore prodotto dal picchio che martellando con il becco il tronco di un albero si costruiva il nido, c’erano gli scoiattoli che talvolta dopo averlo spaventato, comparivano davanti a lui, lo fissavano e poi scappavano, come per giocare a nascondino; così i cerbiatti incuriositi dalla sua presenza ma timidi, fuggivano velocemente e le farfalle, i fiori meravigliosi e profumati: calendule, salvia selvatica, acetosella…Tutto questo faceva parte della sua vita di ragazzino e della sua consuetudine. Quando arrivava alla baracca mentre i boscaioli facevano colazione, Angelino doveva recarsi nel bosco vicino dove dalla roccia sgorgava una sorgente d’acqua, riempire le loro borracce e riportarle. Più tardi raccoglieva legna da mettere al fuoco per cucinare e quando il pranzo era pronto la cuoca riempiva la gerla con la polenta e il companatico, gliela issava sulla schiena e lui riprendeva il cammino su per la salita fino al punto dove si trovavano i boscaioli. Salendo poteva sentire sempre più forti le loro voci, i canti, le loro imprecazioni, il rumore delle accette e della sega.
Ci fu un giorno in cui improvvisamente il cielo si riempì di nuvoloni grigi scuri, carichi di pioggia. Angelino come al solito si stava inerpicando sulla costa della montagna con il pranzo per i boscaioli: polenta ancora molto calda e sugo con pochi pezzetti di carne …
Udiva il rumore dei tuoni avvicinarsi sempre più e per quanto allungasse i suoi passi non riuscì a evitare il temporale, violento. Improvvisamente, quando si trovò circa a metà percorso, un fulmine con un rumore assordante si abbatté su un larice spaccandolo in due e proprio nell’istante in cui il ragazzo stava passando vicino l’albero prese fuoco: Angelino si sentì sollevare in aria e poi ricadere un po’ più in là, la gerla gli scivolò dalla schiena, la polenta e il resto divenne pasto degli animali!
Per un attimo non sapeva dove fosse…Non capiva più nulla! La testa gli martellava, vedeva tutto torbido. Dopo un po’guardandosi le mani si rese conto che erano annerite, sentì i capelli in testa dritti all’insù, bruciacchiati…Vide fuoco attorno a sé e sentì l’ odore acre del legno del larice in preda alle fiamme.
Dopo lunghi istanti di semi incoscienza a un tratto udì la voce della cuoca che chiamava il suo nome e poi la vide che correva verso di lui.
Appena la donna lo raggiunse lo tirò per un braccio allontanandolo dal fuoco, lo aiutò ad alzarsi, lo guardò e scoppiò in singhiozzi… Poi, sollevando lo sguardo verso il cielo intonò una preghiera di ringraziamento al Signore per lo scampato pericolo.
Salirono insieme fino alla baracca dove poco dopo specchiandosi Angelino si vide completamente nero in volto, con i capelli diritti, le ginocchia e le gambe scure… Si accorse anche di avere i pantaloni lacerati, sembravano un gonnellino.
Tremava convulsamente: lo spavento di cui prima non si era nemmeno reso conto, all’improvviso lo colse e scoppiò in un pianto dirotto invocando la mamma.
Intanto i boscaioli erano scesi alla baracca per ripararsi dalla pioggia scrosciante. Quando videro Angelino compresero l’accaduto, lo videro spaventato e cercarono di consolarlo, gli diedero qualche sorso di vino per rincuorarlo. Tentarono di farlo sorridere e, benché uomini rudi, lo abbracciarono affettuosamente quasi sentendosi in colpa per quello che gli era successo e per il rischio che il ragazzo aveva corso a causa loro.
A dividere le fatiche con Angelino c’era Falco, un robusto cavallo da tiro dalla criniera folta, scura e un mantello di colore marrone. Alla bestia toccava tutti i giorni trascinare fino al piano i tronchi tagliati e puliti dalle fronde.
Nelle rare pause dal lavoro Angelino e Falco si concedevano delle brevi corse nella radura che sembravano molto gradite anche all'animale. Quel giorno però Falco non si trovava: i fulmini e i tuoni lo avevano spaventato e fatto imbizzarrire.
Quando la pioggia cessò dalla baracca si udì finalmente il suo nitrito. Angelino uscì per prendere il cavallo e portarlo al riparo, ma Falco non voleva saperne di farsi legare: con uno scatto repentino prese a galoppare verso il basso, giù, lungo la strada. Angelino si mise a correre forte attraversando il bosco, con balzi lunghi e rapidi sperando così di intercettare Falco, ma quando arrivava alla stradina sottostante l’animale era già passato…Di gran galoppo! Lo poteva vedere e sentirne perfino l’odore e il nitrito, ma non riusciva a raggiungerlo.
Verso sera il ragazzo arrivò trafelato al paese, un gruppo di vecchie case con ancora i segni della guerra sulle facciate: buchi provocati dalle granate dei tedeschi in ritirata. Angelino desolato per non essere riuscito a ritrovare il cavallo, prima di andare a casa pensò di dare un’occhiata nella stalla dove di solito l’animale veniva ricoverato durante i mesi freddi. Non si sa mai, pensò.
Ed ebbe ragione: Falco era lì, maestoso, ancora ansimante e fumante per la lunga galoppata; se ne stava davanti alla mangiatoia e vi infilava il muso per cercare biada, inutilmente.
Angelino si avvicinò e lo accarezzò…Gli parlò amorevolmente. In risposta l’animale nitrì in un modo tale che al ragazzo sembrò quasi affettuoso, come volesse chiedergli scusa; mise allora della biada nella mangiatoia, gli accarezzò la criniera e poi stanco ma contento se ne tornò a casa.
La madre era molta molto preoccupata. Quando lo sentì arrivare gli corse incontro e vedendolo così nero, sudato, con i vestiti strappati si spaventò moltissimo e si mise a piangere portandosi le mani nei capelli. Poi la donna si asciugò gli occhi con l’ampio grembiule che sempre indossava, gli scaldò il minestrone e dopo aver tentato inutilmente di ripulirgli il viso lo mandò a dormire ringraziando il Cielo di averle rimandato a casa il figlio sano e salvo.
Il giorno seguente alle quattro e mezzo in punto il ragazzo andò nella stalla, caricò sulla schiena di Falco il sacco con la colazione dei boscaioli e poi da buoni amici, s’incamminarono insieme verso la montagna. Come al solito la mamma lo lasciò alle prime luci dell’alba …Il ragazzo si attaccò alla coda del cavallo e fischiettando si fece tirare. Gli sembrava il giusto risarcimento alla fatica del giorno prima nel tentativo di arrestare la sua corsa, il minimo che Falco potesse fare…
E ancora una volta insieme, su per la salita…Iniziando una nuova giornata.