La sedia di vimini
Svegliato dall'abbaiare di un qualche cane. Ma cazzo, qui non ci sono cani, non ci sono mai stati.
Beh, mi alzai, caffè nero e tre biscotti e andai verso la finestra della cucina. Lui era sempre là, seduto su quella dannata sedia di vimini a guardare il lago, il mio vicino.
Non ho mai capito e forse mai capirò perché quel ragazzo che s'aggira sulla trentina viveva qua, nel nulla, su una cazzo di baita davanti al lago, dove l'unica persona con cui avrebbe potuto avere un contatto sono io, un cazzo di cinquantatreenne che non ha mai voluto neanche guardare in faccia.
Io ebbi un motivo, se cosi si può chiamare, per vivere in questa merda.
Alla fragile età di sedici anni decisi che i miei vecchi mi stavano propinando false idee su cos'era realmente la vita, e cosi decisi di scappare. Mi diressi verso la città e la ci rimasi all'incirca una trentina d'anni. Quel periodo della mia vita lo ricordo più per le donne avute che per i lavori cambiati. Sedici furono le femmine che stettero al mio fianco per quei grigi interminabili anni e nessuna, dico nessuna, ha mai manifestato il desiderio d'esser sposata dal sottoscritto. Non sono un uomo da sposare, questo dopo cinquantatre anni del cazzo almeno l'ho capito. Comunque, esattamente tre anni fa, mi trovavo chiuso tra quattro mura che puzzavano di tristezza, scaricato da tre settimane vengo a sapere che i miei avevano lasciato questa vita, la stessa notte, nello stesso letto ma non abbracciati come nei migliori romanzi rosa. Erano nello stesso fottuto materasso ma ognuno poggiato sul fianco, si davano la spalle. Non fui poi cosi triste, in fondo mia madre dopo quarant'anni di matrimonio con tanto di maestose corna d'alce, penso desiderasse non soffrire più, e il babbo di sopportare mia madre ne aveva le palle piene, sicuro, le palle piene. Beh, non avevo un soldo, un lavoro, una donna e soprattutto non avevo amici. Mi trasferii qua, nella casa dei vecchi che mi lasciarono un'eredità che mi permetteva di passare almeno tre anni senza lavorare, tranquillità, senza vizi e donne. Ricordo che questa cazzo di casa del vicino non esisteva quand'ero piccolo, eppure sembrava dover cadere a pezzi da un momento all'altro, non può essere stata più recente della mia, sembrava la mia, invecchiata di cent'anni. Non sto parlando di un personaggio stile Gatsby, perché non c'era nulla di grande in lui, il mio vicino. La sua casa era misera, non riceveva mai nessuno, era giovane o almeno non era ancora vecchio, probabilmente non se ne rendeva conto. Non dirò che quel giorno la mia vita cambiò, perché non fu cosi, almeno non ancora, in fin dei conti lessi da qualche parte che degli eventi passati possono sempre aver delle ripercussioni, anche parecchi anni dopo. Comunque, quel cazzo di giorno passai la notte a rimuginare. Dovevo parlargli, ero disposto a comprare la sua amicizia, dovevo conoscerlo e cosi prima che sorgesse l'alba mi addormentai e lo sognai , mi guardava per la prima volta negli occhi, non mi fissava, si lo conoscevo, adesso si, sapevo. Mi svegliai, guardai dalla finestra. Nulla, campi, né lui né la casa, non c'erano più, non c'erano mai stati. Uscii in portico e sedetti sulla sedia di vimini, guardai il lago e pensai che l'unica cosa giusta da fare era vendere la casa e ricominciare , non so cosa, in fondo c'è sempre qualcosa.