La setta dei dormienti
Il profeta crepuscolare Morfeus, nome di battaglia del programmatore Vincenzo Esposito, ebbe la sua prima rivelazione seduto alla sua postazione di lavoro.
Le schermate di codici che si susseguivano sul monitor, righe e righe di elementi alfanumerici, lo sprofondarono in un assopimento ad occhi semichiusi, la sua tecnica ben collaudata per far sembrare che stesse lavorando. In realtà se qualcuno avesse appoggiato l’orecchio al suo viso, avrebbe udito un sottile sibilo nasale, appena percettibile. La fortuna di Morfeus era di non avere occlusioni alle vie respiratorie e di non correre quindi il rischio di smascherare da solo i suoi pisolini quotidiani con roboanti russate.
Immerso nel sopore della noia, mentre lasciava che la macchina snocciolasse i suoi milioni di simboli, entrava regolarmente in un sonno leggero e fantasioso. L’istinto dell’animale da ufficio lo manteneva in uno stato di dissociazione costante. Una parte del suo cervello dormiva il sonno dei giusti, l’altra parte vegliava, tenuta in allarme dal senso di colpa.
Questa dicotomica condizione favorì, un giorno di Agosto, complici forse anche il caldo e il malfunzionamento dell’aria condizionata, il primo veritiero sogno di Morfeus.
Mentre il suo corpo fisico e lavoratore languiva, ben incastrato tra la poltroncina e la scrivania, onde evitare maldestri e inopportuni scivolamenti, la sua mente vagava nella dimensione onirica.
Vincenzo Esposito aveva un modo tutto suo di sognare. Le immagini, i suoni, le sensazioni, non si accavallavano come ai normali esseri umani, paraculi o no. La sua attività cerebrale, forse allenata da anni di razionale e puntigliosa programmazione di intelligenze artificiali, gestiva l’attività allucinatoria del sogno come un coerente e matematico sistema.
Per qualche istante Neo e Trinity sbucarono dal suo subconscio, nei loro fascinosi abiti di pelle nera, invitandolo a pirotecniche sparatorie e missioni mistico tecnologiche. Morfeus non si fece irretire dall’intrusione, il suo emisfero vigile, per via di quel succitato senso di colpa, identificò immediatamente la proiezione mediatica e la espulse dalla rete neuronale.
Nei suoi periodi di assopimento Vincenzo Esposito accedeva a una dimensione sconosciuta ma non estranea. Era come incamminarsi per sentieri inesplorati, ma con la viva sensazione che la strada lo avrebbe condotto a luoghi di trascendente affinità elettiva.
Il risveglio di Morfeus, quella volta, fu determinato dall’insistente bip proveniente dal suo potente pc. Qualcosa era andato storto nella simulazione, il suo spiccato senso del dovere e la sua puntigliosa professionalità richiamarono i suoi emisferi cerebrali a ricongiungersi, in una istantanea sintesi di coscienza che, nei pochi secondi che gli ci vollero per recuperare lo stato di veglia, trascinò con sè la vivida immagine residua di un luogo paradisiaco seppure vagamente inquietante.
Come in una fotografia polaroid consunta dal tempo, Vincenzo Esposito vide sè stesso, in piedi, nudo, in mezzo a una prateria sconfinata. Un vento denso e caldo turbinava intorno a lui stelle filanti di codici binari, matasse di dati aggrovigliati correvano, spinte dalla forza delle correnti aeree, in tutte le direzioni, suggerendo alla sua mente inarrivabili lontananze.
Fu così che Morfeus ebbe la sua prima, vaga percezione, che nel mondo onirico albergasse non soltanto la nostra usuale e labirintica confusione di simboli freudiani, inconfessabili aspirazioni e inarrestabili paure, ma qualcosa di più vero, lontano e profondo. Un’intera dimensione di coscienza che, con il risveglio, scompariva dalla coscienza vigile, lasciando solo qualche brandello di intuizione rivestita e deformata dalle pulsioni dell’identità terrena.
Quel pomeriggio d’Agosto Morfeus capì che il sonno non era soltanto il doveroso riposo del corpo e l’inevitabile fuga della mente, ma qualcosa di ben più reale e sostanzioso, qualcosa di molto molto importante, forse addirittura la chiave per penetrare in dimensioni più elevate.
Da quel giorno Vincenzo Esposito dedicò ogni sua ora libera all’esplorazione della dimensione onirica, avvicinandosi e sfiorando continuamente una condizione di coscienza superiore che, purtroppo, svaniva immancabilmente al risveglio, nonostante tutti gli stratagemmi che escogitò per cercare di trasportare la memoria di tali esperienze alla coscienza vigile.
Con gli anni Morfeus si convinse che la barriera tra sonno e veglia era una condizione insuperabile e strutturale, una necessità esistenziale. Coscienza vigile e ascensione onirica non erano fatte per incontrarsi e comprendersi a vicenda, erano due stati inconciliabili.
Ma era chiaro che la parte più importante, e di gran lunga più ricca di contenuti ed emozioni, era la coscienza onirica.
Fu questa consapevolezza che spinse Vincenzo Esposito, in arte Morfeus, a fondare la Setta dei Dormienti.
Il suo statuto era semplice e facilmente assimilabile. La vita umana attiva è un’illusione, una schiavitù del corpo. Il sonno è la porta attraverso la quale la coscienza entra nella vera esistenza, libera, ricca, illimitata. L’adepto della setta non ha altra preoccupazione che dormire il più possibile, per penetrare sempre di più nella dimensione superiore del sonno.
Forse, se non avesse avuto quel nome così partenopeo, la missione predicatrice di Morfeus avrebbe incontrato meno ostacoli e diffidenza, purtroppo fu additato fin dai primi mesi di proselitismo, come il profeta dei fannulloni, il mistico della paraculaggine, il Messia dei nullafacenti.
Le feroci e derisorie etichette che gli furono affibbiate, non impedirono a Morfeus di dedicarsi con sempre maggior vigore, passione e convinzione, alla sua missione. Il suo libro della rivelazione fu stampato e ristampato, tenne conferenze e raccolse intorno a sé un folto gruppo di dormiglioni cronici. Qualcuno insinuò subdolamente che andò a bell’apposta a ricercare nuovi affiliati nei reparti di cura di letargia perniciosa dei maggiori ospedali e cliniche del paese, ma questa voce non fu mai realmente provata.
La setta dei dormienti nacque dunque in una breve e burrascosa stagione di rinnovamento spirituale.
Dopo appena due anni, le sedi erano già diventate decine, sparse ugualmente nelle grandi città e nei piccoli centri di provincia. Allestite come grandi e confortevoli dormitori, si distinguevano da ogni altra chiesa o tempio o moschea, per l’assoluta inattività dei fedeli. Unico indizio di presenza umana all’interno era il soffuso russare che trapelava, simile a un basso e continuo salmodiare.
Argomentazione vincente, della predicazione di Morfeus, fu senz’altro la dichiarazione inconfutabile che tutti dormono, e di conseguenza tutti appartengono, poco o tanto, alla setta, anche se involontariamente e inconsapevolmente. Ad alcuni tale argomentazione suonò un tantino tautologica e furbesca, ma nessuno potè contrastare la sua incontestabile veridicità.
Gli adepti della setta dei dormienti, visibilmente, si distinguevano dalla folla degli altri esseri umani, per l’evidente calma. I più dotati fra loro assurgevano a uno stato di quasi totale imperturbabilità, dai detrattori additato come chiaro esempio di schizofrenica emarginazione dal mondo. Ma, come fece notare Morfeus, e nessuno poté contraddire anche questa sua affermazione, gli asceti e gli adepti di ogni religione hanno sempre avuto come mezzo, se non come scopo principale, l’abbandono delle cose terrene, delle preoccupazioni futili e fuorvianti della realtà quotidiana.
I seminari della setta attiravano sempre più persone, di ogni età ed estrazione sociale, ansiose di conquistare finalmente grazie ad un metodo così semplice ed economico, la pace della mente e dei sensi.
Il russare aumentò di intensità, le sedi continuarono a moltiplicarsi, l’attività di Morfeus, tra uno sbadiglio e l’altro, attraversò i confini nazionali e i mari, i monti e i fiumi, fino a conquistare larghe porzioni di popolazione in ogni paese del mondo.
L’effetto del successo della predicazione di Morfeus si faceva di anno in anno più evidente, il livello di rumorosità del pianeta scese drasticamente, i consumi calarono vistosamente, non per crisi economica o paure mediatiche, ma per puro, semplice e ristoratore sonno. Le genti continuavano sì a lavorare e a vivere le loro vite, ma lo facevano con una flemma e una lenta ragionevolezza, che molti credettero veramente all’inizio di una nuova epoca dell’uomo.