La sfantasia
Se è pur vero quel principio, in fisiologia, che una funzione, non esercitata, si estingue, penso che la fantasia andrà a sfumare nelle generazioni future. Noi, bimbi, si viveva in un mondo nostro, creato da noi e non indotto dai programmatori di video giochi. E' di pochi giorni fa, la mia visione sconcertante di un padre che aveva accompagnato i suoi due figlioli alla Reggia di Capodimonte. Questi, seduti su di una panchina avevano lo sguardo ed entrambe le mani incollate a due piccoli giochi elettronici. Attorno a loro, la Reggia, il Parco, l'esuberante e varia flora, gli uccelli. Non vedevano. Il padre, rassegnato o forse contento per quella calma indotta, aveva gli occhi spersi nel vuoto. Noi, figli della guerra, non si aveva nulla di comprato. Tutto veniva creato, costruito a casa, dal padre o da un parente. Il primo pallone fu di pezze e segatura, era più soffice della lattina di metallo, schiacciata sotto le rotaie del tram, che era proibita dai genitori, in quanto rovinava le scarpe. Con la fantasia diventava un vero pallone. La spada di legno dello zio Enrico, falegname. La cerbottana, un pezzo di tubo dello stagnaro. Chi aveva visto un film, cosa improbabile per quei tempi, per il costo, lo raccontava, con dovizia di mimica e di rumori. Nanni, il mio amico del cuore, era un artefice in queste descrizioni. “ Dai Nanni, raccontamelo ancora una volta....” E lui ricominciava....” Clap, clap, un cavaliere si profila all'orizzonte...”. Ed io, non solo, vedevo quel film, ma c'ero dentro fisicamente, in una suggestione mai più avuta nella vita. Basti pensare che quando, sotto il tavolo di cucina, si ricreava la giungla dei film di guerra americani, ricordo l'implorazione: ‐” Fermiamoci un attimo, è troppo spaventoso.” E si prendeva fiato dalla suggestione, per poi riimmergerci nella fantasia della creazione, che era di gruppo, miracolosamente, avvolgente. La lettura incontrata con gli anni ci portava nella giungla del Borneo con Sandokan o sotto i mari con Verne. Ricordo quelle notti, quelle avventure, nel buio della mia camera, spossato da quelle righe di vita avventurosa. Ci sono stato in quei posti, in un miraggio fantasioso di creatività. Vado chiedendo, ogni tanto, a qualche ragazzo, in studio:‐” Ma tu leggi mai un libro?”‐
‐”No, ma sto ore al computer.”‐