La Spiaggia
Quella mattina per entrambi non fu un così piacevole risveglio. Sia Agata che Lucio avevano dormito nel proprio letto, a non più di cento chilometri di distanza l’uno dall’altra. Lei avrebbe dovuto lavorare per tutta la mattinata, mentre lui era reduce da una settimana abbastanza pesante, conclusasi con uno dei peggiori venerdì vissuti fino a quel momento. Non erano assolutamente riusciti a trovare un accordo su chi dovesse cedere stavolta. Agata pretendeva che Lucio si mettesse in treno appena dopo pranzo e che la raggiungesse nel primo pomeriggio, per passare lì da lei sia quello che rimaneva del sabato, sia la domenica, per poi ripartire nottetempo con l’ultimo convoglio e fare ritorno verso la sua città. Lucio non riusciva a capire invece, perché Agata facesse tutte quelle storie e perché non potesse prendere l’auto e raggiungerlo appena dopo terminata la mattinata lavorativa. Lui non amava guidare, motivo per cui non aveva nemmeno un’automobile. Muoversi in treno il più delle volte lo spazientiva, ma quando era costretto a farlo lo accettava di buon grado. Ma quella mattina non ne aveva intenzione alcuna, voleva solamente stare tranquillo e andare al mare, a rilassarsi, cullato dal dolce rollio delle onde che muoiono sulla battigia. Una delle principali differenze delle città in cui vivevano, era proprio questa. La città di Lucio era a misura d’uomo, certo, caotica quanto basta, in special modo durante i mesi estivi, ma lambita dalle acque stupende d’un mare cristallino. La città di Agata era una piccola metropoli, piena di ricchezze e divertimenti, ma rumorosa e fredda, affogata nella disperazione del cemento. E quelle diversità erano già state la causa di litigi molto pesanti. Pesanti mai come quello che stavano vivendo in quelle ore. Di buon’ora Agata s’era dovuta alzare e andare al lavoro, lasciando sul cellulare di Lucio dei messaggi quantomeno poco propensi al dialogo. Appena Lucio li aveva letti, neanche così tardi rispetto all’ora in cui erano stati inviati, una leggera indignazione s’era impossessato di lui, tanto da rispondere per le rime alle accuse di lei. Dopo una serie di rapidi scambi di parole non troppo cortesi, il silenzio era sceso a regnare tra loro due. Silenzio che Lucio aveva tentato di far abdicare in favore di più miti sovrani, ma che Agata continuava a volere come despota indiscusso. L’ultimo messaggio di Lucio recitava queste parole.
« Non ce la faccio più a stare dietro ai tuoi sbalzi d’umore. Lo sai che ho bisogno di tranquillità. Questo gioco di specchi rotti non può più funzionare. Se davvero mi ami, ti aspetto dove tu sai. Baci, piccolina. »
La spiaggia dove si erano conosciuti due anni prima era una piccola rada incastonata fra due spuntoni di roccia calcarea. Vi si accedeva solamente dal mare, facendo un tratto abbastanza lungo a nuoto. Si erano ritrovati lì dopo che entrambi si erano stufati di arrostire al sole con le rispettive comitive. Era bastato uno sguardo per capire che quello non sarebbe stato solamente un incontro fugace. Agata era in vacanza lì con degli amici, ed era stata proprio lei ad insistere perché cominciassero a frequentarsi con piacevole insistenza. Fu un’estate stupenda, al morire della quale, cominciarono i primi battibecchi. Fare la spora tra le città che li ospitavano si rivelò costoso e stressante. Eppure erano andati avanti, il loro amore era andato avanti nonostante tutte le avversità. Almeno fino a quel momento, fino a quella mattina.
Lucio arrivò al solito lido che non erano ancora le undici. Prima di potersi andare a sdraiare sulla sabbia ancora infuocata dai caldi giorni precedenti, dovette sbrigare dei servizi che nei giorni infrasettimanali gli erano impossibili da compiere. Nulla di chissà che, ad ogni modo. Non aveva nemmeno svolto completamente il telo da mare che già i primi nuvoloni si davano battaglia col sole. E pensare che fino a quel momento non è che la giornata fosse chissà di che splendore, ma nemmeno che minacciasse addirittura pioggia.
« Queste sono le maledizioni di Agata, sicuro. », pensava Lucio nemmeno tanto convinto di quello che asseriva. Non si fece di certo scoraggiare da quel po’ di nuvolaglia e si sistemò subito per fare una bella nuotata. Approdò sulla spiaggia sua e di Agata che già pioveva. Non c’era anima viva, e voleva ben vedere con quel tempaccio. In dieci minuti il cielo era diventata una nera prateria e non si vedeva spiraglio alcuno dentro di essa. Seduto a riva per riprendere fiato, come aveva fatto quella mattina di due anni prima, si accorse di sentire freddo. Lasciò il proprio corpo in balìa degli agenti atmosferici, quando decise di stendersi sulla riva sinuosa di quell’arenile con lo sguardo rivolto un po’ verso il mare, un po’ verso il cielo. Uno dei più forti temporali di quegli ultimi anni si abbatté sulla zona, lasciandolo perplesso dapprima, terrorizzato, col passare dei minuti. Interminabili minuti.
Il mare si era trasformato in un’immensa distesa di sangue. Sangue rappreso, raggrumato. Così viscoso che non riusciva a toglierselo dalle caviglie, dai polsi, nonostante piovesse a dirotto. E più cercava di allontanarsi dalla costa, più le ondate rosse lo raggiungevano percuotendolo con violenza. Fu un attimo. Ma bastò a fargli capire tutto. Il corpo che aveva intravisto era quello di Agata. La corrente lo portava alla deriva. Lo portava lontano da lui. Quello che galleggiava senza vita era il fantasma d’un amore che entrambi credevano non potesse mai abbandonarli. Lucio raccolse tutte le sue forze e si tuffò. Abile nuotatore sembrava potesse passare indenne fra le braccia del brigante e salvare la sua bella. Ma non fu così. Il suo corpo senza vita fu trovato alcuni giorni dopo la mareggiata. Come solo alcuni giorni dopo fu trovato il corpo di Agata fra le lamiere contorte della sua auto, finita per la velocità eccessiva in una scarpata.
Chissà se l’ultimo pensiero di entrambi fu lo stesso nell’istante del trapasso.
Credo di sì, dato che la spiaggia ancora oggi dona le conchiglie dei sorrisi e dei baci che furono a chi è in grado di ascoltare pur avendo le mani sulle orecchie.