La Trilogia, cap 3: Felicità a Basse Frequenze
E’ da tempo che cerco di spiegare alle persone, ma soprattutto a me stesso, il disagio che mi sto portando dietro. Un disagio che prima non c’era, maturato un po’ alla volta col passare degli anni, con l’avvento dell’età, per così dire, adulta, quando i primi peli bianchi cominciano a farsi vedere nella barba e non come causa ma come conseguenza. Posso sicuramente dire che non si tratta di un senso di inadeguatezza, sono nato a cavallo tra la generazione X e la generazione Y, anche detta “generazione del rinvio”, sotto la costante minaccia della guerra nucleare, quando il punk scaldava i nostri cuori al grido No Future e Ace Of Spades scalava le classifiche mondiali. Figuriamoci se nella mia vita potrei mai sentirmi minacciato da un digitarian post‐millennials cresciuto tra palestra e Peppa Pig. Il mio disagio riguarda altro, è un vero e proprio calo di entusiasmo, un limbo in cui guardi dietro e ti sembra di aver già fatto ogni cosa mentre davanti, con la trap che impazza in ogni dove, zero stimoli sia ripetere le cose vecchie ma fatte meglio, sia a concepirne di nuove.
Allora, sinceramente, nel mio stare fermo, faccio il minimo indispensabile per essere felice e vaffanculo a tutti. Lotto quanto basta per me e per le persone che amo. Poi se proprio un giorno dovesse girarmi male allora compro delle scarpe. Dice “vabbè come se le scarpe potessero davvero aiutarti”, no, tutto ciò è un palliativo, non è che la giornata davvero migliora, a dirla tutta non aiutano quasi mai, ma vuoi mettere una giornata di merda con delle scarpe nuove? O preferite una giornata di merda con le solite scarpe vecchie?
Certe volte devi mettere in conto che una giornata di merda nasconde tutto un suo background e da singola diventa un intero periodo di merda più o meno lungo dove non resta altro da fare che indossare le proprie scarpe nuove, facili da gestire, recarsi al più vicino e fornito negozio di strumenti musicali, comprare un altro basso elettrico. Chiaramente li parliamo di cifre importanti a cui dovresti essere organizzato con un apposito “fondo bassi”, una specie di salvadanaio virtuale che divide i tuoi risparmi in specifici fondi di destinazione d’uso, non è che hai davvero un cassetto dove metti gli spiccioli con su scritto “bassi”. Naturalmente quando si mette mano a fondi così cospicui è necessario parlare di periodi che vanno da un minimo di quattro mesi di merda fino ad un massimo di un anno merda.
Considerando che il mio attuale parco bassi vale praticamente quanto un rene, un rene di piccole dimensioni ma pur sempre un organo di una certa importanza, io posso affermare con estrema convinzione che la felicità ha un prezzo, un prezzo che quando passa attraverso quattro corde ed un pickup può essere davvero alto. Dunque devi tenere sempre bene conto se ne vale la pena, se davvero hai sofferto abbastanza o abbastanza poco. Lasciate perdere le menate che ci racconta il capitalismo sui soldi che non fanno la felicità, basta solo sapere come spenderli. Ovviamente si può essere felici anche in uno stato permanente di povertà ma non si è felici perché si è poveri, soprattutto se sei un musicista.
Esistono, ovviamente, periodi di sofferenza intermedia e questo i costruttori di strumenti musicali lo sanno bene, ecco perché nei cataloghi di ogni brand sono presenti anche bassi di livello medio, che ti danno una felicità effimera, solo estetica, senza nessun feeling, dove spendi sei o settecento euro e sei felice a tempo determinato, un contratto col sorriso a scadenza che può variare da alcune settimane a qualche mese, dopo di che lo rivendi, così sei felice qualche altra settimana ancora perché hai posseduto il basso e recuperato anche l’inutile spesa scellerata che hai fatto. Quando compri questa categoria di strumento non ammetti mai che il tuo era solo un capriccio estetico, un vezzo più comunemente chiamato G.A.S. (Gear Acquisition Syndrome), traducibile come “Sindrome da acquisto compulsivo di strumentazione tecnica”, gli psichiatri la inseriscono e la classificano nella grande categoria dei “Disturbi del controllo degli impulsi e della condotta”, una specie di shopping compulsivo che riguarda l’attrezzatura tecnica ma non ancora riconosciuto come un disturbo da dipendenza comportamentale tipo il sesso compulsivo e la cleptomania. Dunque non è difficile lavorare su te stesso per convincerti che hai assolutamente bisogno di quello specifico strumento e del suono che ha. Diversamente riguarda la questione dello status che un basso porta con sé che non riguarda né l’estetica né il suono: non sei un cazzo di nessuno se non possiedi un Fender Jazz!