La vecchina delle saponette

Da quanti anni non nevicava così tanto! Lucia, seduta alla scrivania del suo ufficio, guardava oltre la vetrata i fiocchi larghi e asciutti che andavano ad inspessire la coltre bianca. Tutto spariva pian piano sotto la neve. Era la vigilia di Natale e gli impiegati se n'erano andati presto, appena dopo pranzo. Erano cinque gli uffici che si affacciavano su quel cortile: alcuni di essi sarebbero rimasti chiusi fino al 2 gennaio, altri fino al 7 gennaio. Ditte di autotrasporti, per cui di solito automezzi di tutte le dimensioni andavano e venivano continuamente, perciò movimento e rumore erano incessanti; così il silenzio di quel pomeriggio era ancora più irreale. Impiegati e autisti si erano salutati, avevano brindato, e si erano scambiati gli auguri. Dopo, silenzio. Quel silenzio molto particolare che precede le ricorrenze eclatanti come il Natale; quel silenzio carico di attesa e allo stesso tempo di grande malinconia, quando sembra proprio che sia obbligatorio essere felici: per tradizione, forse per scaramanzia, insomma, per forza. Lucia, con la faccia appoggiata alle mani, guardava verso il cortile pensando che non c'è spada che possa trafiggerlo o scudo che possa respingerlo, fucile che possa abbatterlo, corda che possa impiccarlo, magìa che possa farlo sparire: il Natale torna sempre: implacabile, inarrestabile, inevitabile, come le tasse, l'influenza, l'aumento del costo del carburante. Lei invece assorbiva l'atmosfera straordinaria di quel pomeriggio solitario, silenzioso. Scrutava il cortile deserto e si crogiolava pigramente nella certezza che a nessuno sarebbe venuto in mente, la vigilia di Natale, di entrare lì per qualsivoglia motivo. Che bellezza! Aveva visto un'ora prima andarsene l'ultimo collega che l'aveva salutata da sotto la scaletta:
"Lucia, ancora lì? Non te ne vai a casa?"
"Ma sì, certo, fra poco chiudo."
"Buone Feste, Lucia, passale bene e riposati"
"Buone feste anche a te e famiglia. Ciao"
Ma lei non aveva voglia di andare a casa. Non perchè a casa non avesse nessuno che l'attendesse. Al contrario, aveva una bellissima famiglia: marito affettuoso e tre figli, e poi quella sera sarebbero arrivati anche i nonni che per fortuna c'erano ancora tutti e quattro. Ma non era ancora pronta per tuffarsi nell'allegro caos che l'aspettava in famiglia. Aveva bisogno, prima, di affrontare quel nodo di tristezza che la opprimeva, e sapeva che doveva farlo da sola. Ma c'era anche un altro motivo per cui non voleva andarsene dall'ufficio. Sperava di veder comparire nel cortile, da un momento all'altro, Carmen. Carmen le aveva promesso che sarebbe passata prima di Natale a riprendersi una borsa che le aveva lasciato in custodia a novembre.
Ecco, pensava Lucia, se in quel momento avesse visto  Carmen salire dalla scaletta e farle il solito cenno di saluto con la mano, il nodo di tristezza si sarebbe sciolto. Lei si sarebbe seduta vicino alla stufa, avrebbe commentato il maltempo con poche parole in dialetto veneto, le avrebbe rivolto un sorriso affettuoso, e poi, guardandola negli occhi, le avrebbe chiesto "Cosa c'è che non va?"
E Lucia sapeva che sarebbe bastata quella semplice domanda per farla sentire bene. Sapeva che di fronte al sorriso di quella donna che sfidava il freddo e la fatica per guadagnare pochi soldi, lei si sarebbe vergognata della sua tristezza razionalmente immotivata, e avrebbe ringraziato il destino per ciò che avrebbe trovato tornando a casa: una famiglia che le voleva bene, una casa accogliente e calda, la gioia di stare insieme.
Carmen era la "vecchina delle saponette". Solo da poco tempo Lucia conosceva il suo nome di battesimo, anche se da molti anni  frequentava l'ufficio. Praticamente Carmen era il simbolo stesso del Natale. Si presentava ogni anno a ridosso delle feste con la sua borsata di saponette, e le vendeva alle impiegate dei vari uffici. Ormai aveva sicuramente più di ottant'anni, ma Lucia non conosceva la sua età perchè quando le aveva chiesto quanti anni avesse, lei aveva risposto:"Tanti". Era evidente che non volesse svelare di più.
Quando Lucia la vedeva entrare nel cortile, avvolta nel suo cappottone grigio,la sciarpa di lana che le faceva anche da copricapo, incurvata sì dal peso degli anni, ma anche dal peso di quel borsone pieno di saponette, provava molta tenerezza ed anche pena, ma quando aveva provato ad aiutarla, Carmen si era ribellata con forza, la forza dell'orgoglio. Allora la faceva sedere in ufficio e le offriva una bevanda calda, e poi comperava tante saponette, non tutte, altrimenti Carmen avrebbe pensato che lei volesse aiutarla, e Lucia non voleva offendere la sua sensibilità. Però scherzava:
"Me ne dia tante saponette, chè poi per un anno lei non si farà più vedere"
"Certo, certo, ma devo tenerne qualcuna per accontentare altre clienti. Ah, come si sta bene qui al caldo!"
Si sfilava lentamente i guanti spessi di lana e stendeva le mani rosse e gonfie verso la stufa; un sorriso malinconico si diffondeva fra le rughe del viso.
"Parla veneto, Carmen. Da dove viene?"
"Dalla provincia di Treviso, ma abito a Torino da cinquant'anni"
"Non è troppo faticosa per lei questa vita?"
"Eh, cara mia!"
E non aggiungeva altro. Non si confidava facilmente. Lucia non era riuscita neppure a sapere dove abitasse. L'anno precedente Carmen si era lasciata sfuggire che la sua casa era fredda perchè la stufa si era rotta, e Lucia si era offerta di regalarle una stufa, ma lei era arrossita violentemente ed aveva rifiutato in un modo che non lasciava spazio per insistere. Non c'era davvero nulla che si potesse fare per lei, al di fuori di quel poco tempo da dedicarle una volta all'anno quando arrivava il Natale.
A volte capitava anche che Carmen sonnecchiasse qualche minuto col viso appoggiato ad una mano, vinta dalla stanchezza e consolata dal tepore dell'ufficio. Allora Lucia cercava di non fare rumore e sperava che non suonasse il telefono proprio mentre la sua ospite riposava. Poi magari chiacchieravano un po', come quando le aveva detto di chiamarsi Carmen.
"Sa, mio padre era un appassionato di musica lirica, soprattutto della Carmen di Bizet e così quando nacqui mi chiamò Carmen. Non mi è mai piaciuto molto come nome, ma piaceva a mio padre perciò per me va bene. Lui era un uomo dolce, mite, che quando non lavorava ascoltava musica e leggeva poesie, ma  la guerra se lo portò via per sempre."
Poi aveva taciuto, la voce incrinata dall'emozione, e aveva cominciato a rovistare nella borsa in cerca di un fazzoletto per asciugare le lacrime, rimanendo qualche minuto in silenzio. 
"Mia madre invece era un vero generale; severa e autoritaria, però giusta. Una donna volitiva, forte. Ci ripeteva sempre: Ricordatevi che tutto è nelle vostre mani. Se le chiedevamo cosa significasse, lei tagliava corto: sarà la vita a farvelo capire."
"Un altro modo di dire che ognuno è artefice del suo destino."
"Oh no cara, molto molto di più. Lei era combattiva, diplomatica, calcolatrice; affrontava la vita come se fosse in guerra e pensava che non esistesse altro modo di vivere. Forse aveva ragione, ma io assomiglio a mio padre. Ho sempre lasciato tutti liberi di essere liberi, senza sotterfugi nè ricatti. Ed eccomi qui: sola."
Lucia allora le aveva chiesto se avesse figli.
"Sì, uno. Non lo vedo da molto tempo. Non vive in Italia. Ora le mostro le saponette: le nuove profumazioni."
Il tono era di quelli che non consentono ulteriori domande. 
Ma quest anno le cose erano andate diversamente.
Lucia, il viso fra le mani, fissava la neve che continuava a scendere abbondante, e ripensava a quel giorno di novembre quando Carmen era arrivata all'improvviso. Non si era seduta in ufficio a chiaccherare, non aveva bevuto nulla ed aveva molta fretta.
"Buonasera Lucia, posso darti del tu? Ma sì, potresti essere mia figlia. Ho bisogno di un favore. Devo assentarmi per fare alcune cose urgenti e non posso portare con me questa borsa così pesante. Posso lasciarla qui? Passo a riprenderla prima di Natale."
"Ma certo Carmen, gliela tengo volentieri. Non si preoccupi." Lucia era sinceramente contenta di poterle fare un favore. "
"Ciao Lucia....a Natale allora."
Se n'era andata subito e Lucia si era chiesta cosa avesse da fare di così urgente. Poi aveva riposto la borsa dentro un armadio.
Qualche giorno dopo, passando davanti ad un negozio di scarpe, aveva visto un paio di pantofole morbide e calde e le aveva comperate. Poi aveva confezionato un bel pacco regalo e l'aveva sistemato nell'armadio vicino alla borsa. Carmen non avrebbe rifiutato un paio di pantofole, e chissà, magari avrebbe accettato di trascorrere il Natale con lei e la sua famiglia.
E adesso il Natale era arrivato.
Ormai il cortile era quasi del tutto al buio, illuminato solo dalla luce fioca di due lampioni. Lucia si alzò e radunò le cose che doveva portare a casa. Un panettone, del vino e una stella di Natale. Mise tutto in auto. Cominciò a pensare che forse Carmen non sarebbe arrivata più per quel giorno, ma non aveva il coraggio di andarsene. Dopo aver riflettuto un bel po' decise di guardare nella borsa che aveva in custodia: forse avrebbe potuto trovare un indirizzo, un numero di telefono, qualcosa che le consentisse di rintracciarla. Non le piaceva frugare nell'intimità altrui ma non aveva alternative. Prese la borsa dall'armadio e la posò sulla scrivania; la aprì e la svuotò appoggiando le confezioni di saponette con delicatezza sulla scrivania, e pensando con tenerezza a tutte le volte che Carmen le aveva maneggiate nonostante la stanchezza e il freddo. Poi vide un foglio di quaderno piegato e, sperando di trovare scritto lì un indirizzo, lo prese e lo lesse: 
"Cara amica,
non ci vedremo più. Sto morendo.
Grazie per la tua ospitalità, per il tuo tempo, per le bevande calde.
Grazie per tutte le saponette che hai comperato,
anche se non ti servivano.
Grazie per la stufa che avresti voluto regalarmi.
Grazie di tutto, con tutto il cuore.
Nella borsa c'è una scatoletta di cartone: l'hai vista? 
Dentro c'è la mia catenina d'oro. 
Prendila, ma non chiuderla in un cassetto.
Portala, per mio ricordo."
Lucia si lasciò cadere sulla sedia, leggendo e rileggendo quelle poche righe, incredula. Con gli occhi pieni di lacrime aprì la scatoletta e lasciò che la catenina le scorresse fra le dita. Sulla medaglietta era raffigurato un angelo, forse l'angelo custode. Se la mise subito, lei che non aveva mai indossato nessun tipo di monìle, e rimase immobile ad accarezzarla. Poi all'improvviso si sentì addosso tutto il freddo dell'inverno, tutta la solitudine del mondo. Il suo pianto silenzioso diventò violento e i singhiozzi la scossero a lungo, mentre, stupidamente, continuava a ripetersi: "Non credevo di esserle tanto affezionata!"
Poi smise di piangere. Prese la borsa e anche le pantofole e mise tutto in auto. L'ambiente intorno ormai lo sentiva ostile e, a quel punto, desiderava soltanto tornare subito a casa.
Per strada non fece caso al traffico mezzo bloccato a causa di un ingorgo causato dalla neve. Attese paziente in coda, distratta e col cuore pieno di amarezza. Si sentiva in colpa. Forse avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava. Sospirò. Come avrebbe potuto capire! Il comportamento di Carmen rispecchiava il suo carattere: non voleva l'aiuto di nessuno e soprattutto non aveva voluto vivere e farle vivere un doloroso addio.
Finalmente arrivò a casa e, appena aperta la porta, la investì subito il calore dell'ambiente. Nella sala, illuminata come mai, c'era il tipico allegro disordine delle feste. Carta colorata, fili luccicanti, pacchetti variopinti. Un albero di Natale carico di tutto troneggiava accanto al divano. La tavola era già ben apparecchiata, con la cura e l'attenzione delle grandi occasioni.
"Mamma, sei a casa!"
"Ciao mamma! Tardi anche oggi!"
I suoi ragazzi le furono subito intorno per aiutarla a portare in casa ciò che aveva in auto. Suo marito la salutò dalla cucina dove era alle prese con una cantinetta da montare che voleva regalare a suo padre.
"Ciao cara, non ti agitare, me ne vado subito dalla cucina: ho quasi finito."
Ma Lucia non era affatto agitata. Era sconvolta, e cercava dentro di sè la forza per affrontare l'atmosfera di una serata così diversa dal suo stato d'amimo. Tutti erano felici e lei aveva voglia di piangere.
"Accidenti al Natale!" pensò.
La raggiunse sua figlia, con l'immancabile telefono cellulare in mano:
"Ciao mamma ero al telefono, non ti ho sentita arrivare. Hai già visto la tavola? Come ho apparecchiato?"
Lucia si avvicinò al tavolo.
"Sei stata bravissima. E poi! ma che belli questi segnaposto! Hai avuto una grande idea; cartoncino e brillantini. Davvero belli."
"Mamma, lo sai che non è stata una mia idea: io ho soltanto copiato. Nella scatola dei brillantini ce n'era uno già pronto e io ho fatto gli altri nello stesso modo. E' questo. Quando l'hai fatto?"
Intanto che parlava la figlia aveva messo in mano a Lucia un segnaposto di cartoncino rosso a forma di cuore: nel centro il nome "Carmen" scritto con i brillantini.
"Ho messo il posto a tavola anche per lei. Volevo giusto chiederti chi è."
"Non l'ho fatto io!" Balbettò Lucia, ma le parole rimasero soffocate in gola.
Proprio in quel momento il cellulare della figlia si mise a suonare e lei se ne andò in camera sua.
Lucia si sedette sul divano sbalordita, tenendo fra le mani quel segnaposto e cercando un senso a ciò che stava capitando. Superato lo stupore capì che non si poteva spiegare l'inspiegabile. Si alzò ed andò ad appoggiare il segnaposto al calice di cristallo che sarebbe servito per il brindisi, dove la tavola da pranzo era preparata anche per Carmen. Lucia era una persona  realista e molto pratica e non sapeva come comportarsi in una situazione così, ma poi decise di non parlarne, almeno non subito, per non turbare i famigliari. Dentro di sè però era molto emozionata anche perchè si stava accorgendo che quel peso che l'aveva oppressa per tutto il giorno, pian piano si stava sciogliendo, e la tristezza stava lasciando il posto ad una pacata serenità. Allora corse a prendere il pacco con le pantofole e lo sistemò sotto l'albero insieme agli altri regali. Tornò a sedersi sul divano: la speranza che Carmen fosse lì, insieme a tutti loro, la faceva sentire bene.
"Oh, eccoti qui sul divano.... e sorridi. A cosa pensi?" Il marito si sedette vicino a lei e le passò un braccio intorno alle spalle.
Poi le guardò il collo:
"Una catenina! Questa sì che è una novità"
"E' un ricordo."
"Un ricordo davvero speciale, visto che non porti mai nulla. Devo essere geloso?"
"Sì, gelosissimo" scherzò Lucia.
"Poi ti racconto" aggiunse "adesso vieni, hanno suonato il campanello: sono arrivati i nonni."
Poco più tardi era ormai ora di prendere posto a tavola e uno dei ragazzi si affacciò alla porta della sala:
"Allora, ci siamo tutti?"
Lo sguardo di Lucia incontrò quello dei figli, del marito, dei nonni, tutti rivolti verso di lei, e poi si soffermò sulla seggiola vuota preparata per Carmen, il suo piatto e le posate, il segnaposto coi brillantini che, proprio in quel momento, si staccò dal calice di cristallo e con leggerezza si posò nel piatto. Non poteva essere casuale: lei ebbe la certezza che la "vecchina delle saponette" fosse lì. In quel momento ebbe anche la consapevolezza di quanto grande fosse il suo potere su quella piccola comunità di persone. Solo con l'espressione del viso poteva rendere quella serata la più meravigliosa e indimenticabile per tutti, oppure il contrario. Quasi si stupì nello scoprirsi a riflettere sulla grandezza del suo ruolo, perchè lei era il centro, il punto di arrivo e di partenza per ciascuno di loro, lei era il minuscolo borgo che racchiude il mondo, il tempo e le stagioni. Lei era la stella polare e la distesa dorata di grano maturo. Perchè lei era la mamma.
Abbracciò con lo sguardo i suoi famigliari, e finalmente l'albero e i regali, le luci che addobbavano la sala; si lasciò inebriare dall'aroma di vaniglia e  arance che profumava la casa, e sentì che adesso sì, adesso era pronta ad accogliere il Natale.
"Allora, nessuno mi risponde? Ci siamo tutti?"  Incalzò divertito il figlio.
"Sì"  gli sorrise Lucia  "ci siamo tutti."