La via d'uscita
Erano circa le quattro del pomeriggio, quando l'aeroplano di Jack iniziò la turbolenta discesa verso la pista d'atterraggio, nascosta alla vista da enormi nuvoloni bianchi; incredibilmente, deliziosamente bianchi.Sebbene l'aereo traballasse instabile come un ubriaco preso a spintoni, era convinto che le raffiche di vento non avrebbero potuto mettere in pericolo quel atterraggio avvolto, in un certo senso protetto, dal candore delle nuvole, sospese ad un'altitudine decisamente troppo bassa.E le nuvole sapevano proteggere bene i propri navigatori, esperti viaggiatori moderni, e quell'aereo attraccò indolore al Finger prestabilito, lasciando sbarcare la ciurma di cui Jack si trovava a far parte.Attraversò con impazienza lo spoglio aeroporto di Dublino fino a trovarsi, appena attraversati il controllo passaporti e, quindi, l'uscita, di fronte alla fermata del Bus che portava in città, attraversava il centro ed arrivava giù nella South‐side.Prese posto al sedile singolo proprio dietro al conducente. Stava andando a trovare due amici, Joey ed Jaime, che aveva conosciuto due anni prima e con i quali aveva trascorso l'estate in giro per l'Irlanda.Jack, in realtà, non si chiama davvero Jack: Jack è italiano, e si chiama in un altro modo, ma in questo breve racconto ha più significato chiamarlo con un nome anglofono.L'inglese di Jack ogni tanto zoppicava e la bizzarra dinamicità della città di Dublino non mancava occasione per metterlo a disagio, in svariate ed incomprensibili situazioni.Jack andava a sud, nella zona benestante della città, dove quella simpatica e preoccupante follia non era più così padrona delle strade. La fermata che gli venne indicata fu Leeson's Street Upper, ma lui scese un paio di fermate prima, per confermare a se stesso e all'universo la sua caratteristica imbranataggine.Camminò sul lato est del St. Stephen's Green Park, ancora in pieno centro, fino ad inoltrarsi in un labirinto di stradine e vicoli stretti, con villette graziose cinte da bassi steccati, con deliziosi giardinetti d'ingresso, che precedevano la porta d'ingresso: ogni porta era dipinta di un colore diverso da quelle adiacenti, regalando all'occhio una gradevole sensazione di allegria, un arcobaleno artificiale di porte, in un grigio, umido, ventilato e un po' piovoso pomeriggio dublinese di ottobre.Camminava trascinandosi dietro un trolley, un'altra valigia ed in mano una mappa della città, quando si arrestò di fronte ad una villetta con una porta rossa e a un uomo sulla settantina che spazzava con una vecchia scopa il giardino dalle foglie secche, sorvegliato in modo vigile da un gatto nero con una macchia bianca in faccia e uno sguardo un po' abbacchiato.Jack non fece subito caso all'uomo, confondendo il rumore della scopa che raschiava il pavimento con quello del vento che spazzava le foglie, quando fu questo a chiedere per primo:"Ragazzo, ti serve aiuto?" e, senza aver mai mosso lo sguardo in direzione di Jack, continuò nel suo lavoro.Colto alla sprovvista, Jack farfugliò frasi sconnesse, facendo intendere di essersi perso, come se l'immagine di un ragazzo con due valigie e una mappa in mano, fermo in mezzo ad una stradina residenziale di una, per quanto piccola, grande città, non fosse già abbastanza chiara.Riordinò velocemente i pensieri ed aggiunse: "Sto cercando Baggot Lane, seguendo la mappa sono arrivato in questa direzione da St. Stephen's Green, ma non riesco a capire dove sono finito."Il vecchietto sorrise. Si avvicinò per scrutare la mappa e disse: "Siamo troppo a Sud, la mappa non arriva fino a questa zona, e tu devi andare ancora più in giù" e indicò con il dito in direzione sud/est."Se ti va di aspettare un minuto, entro in casa a stamparti una mappa della zona", e si allontanò con un altro sorriso.Il calore, la gentilezza e l'ospitalità degli irlandesi si concentrarono in quel gesto e Jack provò un sentimento di leggera soddisfazione che lo fece quasi emozionare.Il vecchio riapparse poco dopo, mentre Jack era intento ad osservare il gatto fiero, abbacchiato ma vigile come un felino di serie A.Tra le mani stringeva un foglio di carta e, con fare cortese, porse la mappa a Jack."Guarda, ho segnato con una croce nera il punto in cui siamo adesso, vedi?" indicò il vecchietto, e proseguì: "Tu devi arrivare quaggiù! Non è molto, saranno dieci minuti a piedi, se vuoi seguirmi ti faccio strada per un pezzetto". E si incamminò, seguito da Jack, sotto una leggera pioggerellina.Jack era sconvolto da tale ospitalità, e proseguì col cuore colmo di gioia, provando sentimenti di pura, sincera e istintiva amicizia verso quest'uomo.Perso fra i suoi soavi pensieri, Jack si accorse solo di sfuggita che stavano attraversando un campo che, in un passato più remoto, sarebbe potuto essere un orto comunale, mentre in quel momento assomigliava più ad una piccola discarica residenziale; Jack si accorse solo di sfuggita che l'uomo lo stava accompagnando per un pezzo di strada molto più lungo di quel che Jack si aspettasse all'inizio, provando perciò un senso ancora più forte di gratitudine e amore per quella città.Ad un certo punto l'amabile irlandese si arrestò e, indicando diritto davanti a sè, disse: "Il semaforo che si intravede in fondo alla strada, da quella parte, ti permette di attraversare direttamente su Leeson's Street. Da lì è semplice se segui la mappa! Buona fortuna ragazzo, salute!".Jack ringraziò di cuore, non abbastanza per i suoi gusti, ma non avrebbe saputo fare di meglio e si convinse che il suo sincero e schietto sorriso avesse comunicato al meglio la sua riconoscenza.Così, imbracciate di nuovo le valigie, proseguì nella direzione indicatagli, voltandosi un istante a rimirare il campo sommerso da detriti, bottiglie, cuscini, pezzi di divano e buste di plastica, coperchioni e barattoli di latta, il tutto ben recintato da una rete di ferro arrugginito qua e là, interrotta solo da una porticina sgangherata senza lucchetti nè serrature.Che peccato, una visione da terzo mondo nel bel mezzo di una zona di villette a schiera, un parco macabro che si sostituisce in maniera originale ai tanti splendidi e maniacalmente curati parchi verdi che colorano la città.Proseguì, incrocio dopo incrocio, fino a raggiungere la meta, ricongiungendosi con i vecchi amici da tempo rincorsi tra le sue fantasie notturne, a casa, nel suo letto.Era ancora ottobre, erano le prime ore di un caratteristico pomeriggio autunnale nella capitale irlandese, ed era tedioso ogni singolo centimetro cubo che circondava la mente di Jack, insoddisfatto e insofferente, abbandonato sulla poltrona rossa del divano.Le sere passate con Joey ed Jaime erano state tutte cariche di vivacità, passione e adrenalina, avevano suonato molto, facendo Jam session per le vie e i pub della città, oppure nel salone di casa, sempre con lo stesso spirito e la stessa carica.Ma il pomeriggio era sempre grigio, la mente pigra, e le serate iniziavano a diventare una piacevole routine.Quel giorno sarebbe uscito, avrebbe lottato e sconfitto la noia, giusto per una passeggiata, una boccata d'aria pesante e inquinata. Un'aria fredda al punto da far irrigidire anche la sua mente, che non perdeva occasione per vagare nelle fantasie più desolate e depresse.Era tutto il giorno che più pensava e più si intristiva, più si intristiva e più desiderava abbandonarsi ai pensieri, fino a nutrirsi della più pura melanconia.E pensava all'amore. Un amore passato che faceva fatica a passare del tutto; un amore finito, appassito, terminato con un addio; un amore non ancora nato e che proprio per questo faceva già male.Si ritrovò errante a percorrere il Grand Canal, un piccolo canale che, a forma di mezzaluna, avvolge la zona Sud della città. Frugò le tasche a cercare il pacchetto di sigarette e, deliziato, si accorse di avere ancora in tasca il foglio con la mappa dell'area Sud, quella che gli stampò l'amabile vecchietto. Si fermò ad osservarla: vi era tracciato un percorso che partiva dalla casa del vecchio fino a raggiungere Baggot Ln. , dove si trovava l'appartamento di Joey ed Jaime.Decise di ripercorrere quei passi, senza un vero e proprio motivo, solo per il piacere di ritrovarsi di fronte a quella villetta, magari per ringraziare di nuovo una persona gentile. Sentiva di volerlo fare.Si diresse ad Ovest, sempre lungo il piccolo canale, fino ad arrivare sulla grande e larga Leeson's Street; a questo punto virò verso Nord.Affascinato e turbato dal caos di quella strada a troppe corsie, si arrestò quando riconobbe la rozza recinzione in ferro che delimitava il campo‐discarica. "Una discarica nel bel mezzo di un complesso di villette per persone per bene, molto singolare" pensò Jack tra sè, attraversando il viale che lo separava dall'ingresso al campo.Ammirò quell'entrata che tanto gli pareva un sipario e, come un attore che entra in scena, sentì il suo corpo formicolare d'adrenalina ed eccitazione.A passi svelti quanto incerti, si inoltrò sentendosi smarrito, non sentendosi del tutto il cervello, solitamente incastonato come una pietra preziosa nella fedele coperta del suo cranio.Sentì un attacco di tachicardia, vide tutto rosso davanti a sè, si osservò dall'esterno, con la testa che girava, e gli occhi insanguinati, la sclera iniettata completamente di sangue; da un'angolazione alta e frontale, era fermo con le mani distese lungo i fianchi, nel panico più totale notò una mano che gli si posava sull'orecchio destro, come a sussurrar qualcosa impossibile da udire.Non sentì nulla e, come svegliandosi, la visuale ritornò in prima persona e, con un respiro affannato che lo portava sempre più in iperventilazione, volse di scatto la testa verso destra, al ricordo della vista di quella mano, venosa e rugosa, una mano di vecchio.Non c'era nessuna mano posata sul suo volto, e lo scatto improvviso lo fece ripiombare nel delirio.Mosse un piede, avanzò di un passo, barcollante proseguì. Non aveva idea di cosa stesse accadendo dentro e intorno a sè, ma si convinse che muoversi lo avrebbe fatto stare meglio, lo avrebbe fatto svenire forse, ma sarebbe stato comunque meglio di quel dormiveglia fitto di nebbia e malessere.Di nuovo, un piede alla volta, avanzò attraverso il campo recintato che una volta era un grande rettangolo, mentre ora il perimetro era sconfinato ed impossibile da delineare.Era tutto così strano. Pensò che, dall'alto, dovesse assomigliare a un puntino nel mezzo di una discarica che, ora, sembrava un parco di autodemolizione, pieno di carcasse di vecchi autobus.Quel posto era un labirinto che, al posto delle classiche siepi alte, lasciava alle carrozzerie senza ruote degli autobus il compito di delimitare il percorso.Tuttavia era facile sapere dove andare. Forse perchè ancora spaesato e confuso, ma Jack non vedeva vie alternative, non trovava bivii davanti a sé: il percorso era uno, inconfondibile.Assaporò amaramente il panico che si andava risvegliando in lui e, in preda ad un attacco di claustrofobia, cominciò a correre fino ad esaurire, in poco tempo, il poco ossigeno che l'ansia gli concedeva di usare. Bastò un centinaio di metri per farlo stramazzare al suolo, privo di sensi.Galleggiava soave in un mare calmo e pacato, pacifico e dolce, caldo. Rinvenne dopo un tempo incalcolabile ma, essendo la luce fioca del pomeriggio ormai del tutto scomparsa, avendo essa lasciato il posto ad una notte di gelida foschia, probabilmente il delirio di Jack era durato delle ore.Si mise a sedere, poggiando la schiena ad uno dei vecchi autobus, notando angosciato che nulla era cambiato, che il suo incubo continuava a vivere nel suo mondo cosciente.Dopo aver messo meglio a fuoco, purtroppo non rinsavito del tutto, o forse per niente, fissò i suoi occhi su quella che sembrava dapprima solo una macchiolina nera e rumorosa.Un gatto nero, con una macchia bianca, lo fissava minaccioso, non smettendo di soffiare, velenoso, come una vipera."È il gatto del vecchio", pensò, facendo fatica ormai a distinguere un buono da un cattivo presagio.Il gatto d'improvviso smise di emettere quel fastidioso suono e, senza smettere un istante di guardarlo con arroganza felina, iniziò a trotterellare agile lungo il labirintico viale.Jack lesto si alzò in piedi e, barcollando per un istante, iniziò ad inseguire il gatto, che non correva davvero, bensì sembrava danzare come una ballerina tra una svolta e l'altra.L'immagine di sé che si affaticava per inseguire un gatto in un mondo che aveva ormai perso ogni criterio di razionalità riuscì quasi a far sorridere Jack. Non fosse stato per la critica drammaticità della situazione, quella sembrava fosse una scena grottesca presa da un cartone animato, le sconosciute Avventure di Jack nel Paese delle Meraviglie.Quel gatto doveva conoscere bene il fatto suo, dato che non impiegò molto per trovare l'uscita. Trovare non è proprio il termine adatto, visto che, per quello che Jack potè notare, neanche in quell'ultimo tratto di labirinto avevano incontrato bivi o incroci di alcun tipo, perciò il gatto si era giusto limitato a seguire la strada.Era come se Jack avesse perso i sensi poco prima di trovare l'uscita, un'uscita che senza dubbio sarebbe stata a poche decine di metri dal punto in cui svenne quel pomeriggio."Finalmente" si disse Jack, col fiatone ed il sudore grondante a fiotti sulla fronte, e gli bruciava gli occhi riempiendoli di sale. La sua mente era lucida, o almeno così gli sembrava che fosse. Come se la sbornia del giorno precedente fosse ormai svanita dopo qualche ora di sonno. Il gatto ora era seduto ad un angolo della strada, oltre l'uscita (o l'entrata, come preferite chiamarla?) intento a leccarsi una zampa, senza badare più a lui. Jack varcò la soglia del campo‐discarica‐labirinto ed attraversò esausto il recinto. Era pazzesco: non ricordava assolutamente quel posto, non aveva ricordi di quei viali deserti e spenti che gli si paravano davanti agli occhi.Ricordava delle villette a schiera, ma era come se qualcuno avesse ridisegnato a mano quel posto, lasciandosi sfuggire qualche particolare.Le uniche luci, gialle, provenivano dai lampioni alti agli angoli dei vari vialetti che si incrociavano a vicenda, paralleli e perpendicolari. Sentendosi perso dentro ad un videogioco decise di proseguire il cammino, andare avanti fino a morire o superare il livello. Non badò al fatto che nei videogiochi i personaggi non muoiono, ma basta premere un bottone per richiamarli in gioco, passare loro una nuova (ma sempre uguale) linfa vitale.Ripiombò nell'angoscia temendo di rivivere la brutta esperienza provata nel labirinto dato che ora, al posto degli autobus, c'erano le tante villette a schiera ad inscenare un nuovo percorso. La location era cambiata, sì, ma il tema del gioco sembrava essere sempre quello: lui che vagava confuso in un senso unico che non lasciava scampo al libero arbitrio. L'occasione di mollare, Jack, non ce l'aveva.Ogni villetta aveva un piccolo cortile più o meno curato, ed erano tutte uguali. Differiva solo il colore delle porte, che si alternava secondo lo stile dublinese. Una volta Joey disse a Jack, mentre passeggiavano per il centro della città: "Se ti guardi intorno farai caso al fatto che non ci sono porte adiacenti che abbiano lo stesso colore: sono tutti alternati! Qui a Dublino se vuoi cambiare colore alla tua porta di ingresso devi prima chiedere un'autorizzazione al comune. Secondo te perchè?"Jack riflettè qualche istante sulla domanda, poi rispose: "Non lo so... sarà una tradizione. E non puoi svegliarti una mattina con frizzante spirito rivoluzionario che ti ribolle nelle vene e decidere di abbattere una tradizione. Allora, perchè?".Joey scosse la testa e disse: "Perchè si sa che a noi dubliners piace bere parecchio e ci sono molte vie lunghissime ad attraversare questa città. Lunghissime vie piene di portoni. Se avessero lo stesso colore, come faremmo a riconoscere l'ingresso di casa nostra?" e scoppiò in una risata esageratamente rumorosa, seguita da incessanti colpi di tosse che lo fecero diventare paonazzo.Non sapeva se fosse serio o se quella fosse solo una battuta da bar, uno scherzo simpatico che riesce bene dopo un paio di pinte. Poco importava adesso.Tutte le abitazioni sembravano disabitate e, attraversato un altro incrocio, si trovò di fronte ad una villetta che aveva la porta d'ingresso socchiusa, e dalla finestra si intravedeva una luce accesa.Quella villa la ricordava, anche se tutto intorno era diverso. La porta iniziò ad aprirsi lentamente, quasi sospinta da un leggero alito di vento, producendo un cigolio sinistro. Sulla soglia apparve il vecchio.Il vecchio ora era lì, lo guardava con aria divertita e curiosa, enigmatica. Sulla sua faccia non vi erano ghigni di alcun tipo, eppure trasmetteva una malvagità maliziosa. Ma Jack, sebbene si fosse quasi abituato a quella paradossale situazione, voleva credere di essere solo matto, niente di più che un povero matto in preda ai deliri. Stanco come non mai si affrettò verso il vecchio e, timidamente, mantenendo il contegno, disse:“Salve! Ho bisogno d’aiuto, credo di aver battuto la testa o qualcosa del genere … “ , ma Jack si accorse che l’espressione sulla faccia del vecchio non era mutata minimamente, assumendo ora una parvenza ebete. “Si ricorda di me?” continuò Jack, disperato e stufo di far parte di tutto ciò, sentendosi preso in giro. “Passavo di qui una settimana fa, lei mi aiutò a trovare la strada. Ricorda? Ero tornato questo pomeriggio per ringraziare proprio lei, ma devo aver battuto la testa, o forse ho la febbre … ma per l’amor di Dio mi vuole rispondere? Ho bisogno di un medico!”.Quello che una volta era stato un gentile e premuroso vecchietto ora sembrava addirittura non accorgersi di Jack; si mosse solo quando il suo gatto nero, in un sepolcrale silenzio, gli si andò a strofinare contro le gambe. Il povero Jack non sapeva più cosa fare, pensando di essere non più dentro un videogioco, bensì in un film dove le sue azioni erano già registrate, non stava vivendo davvero, stava solo guardando."Perché sei tornato qui? E cosa ti aspetti che io faccia?" sbottò all'improvviso il vecchio. Jack, che in un primo momento rimase di stucco, cercò subito di articolare in inglese una frase che sarebbe riuscita a spiegare almeno in parte quello che nemmeno lui era riuscito a capire. Eppure aveva la sensazione che il vecchio sapesse. Sembrava tutto un gioco, il suo gioco."Sono venuto qui oggi pomeriggio perchè, trovandomi nei paraggi, e ripensando alla gentile accoglienza da lei ricevuta, non avendo oltretutto di meglio da fare... insomma, pensavo che questa visita potesse essere un gesto carino. Ma è successo qualcosa venendo qui. Ho perso i sensi e ora sento che tutto ricomincia a girare, potrebbe chiedere aiuto?""Chiedere aiuto?" chiese il vecchio con aria sorpresa, continuando: "E per cosa? Per chi? Cosa vuoi esattamente figliolo? Perchè non mi spieghi che diamine vuoi da me e dal mio gatto?" concluse, guardando il gatto che di rimando miagolò qualcosa in qualche strano dialetto felino."Che cosa voglio?" urlò Jack impaziente, adirato e disgustato da questa messa in scena, provando ora un forte desiderio di fare qualche passo avanti e spaccargli la faccia. "Io me ne voglio andare, voglio trovare l'uscita da questo fottuto posto! Questo posto è... un labirinto." E balbettò queste ultime parole, temendo di dirle a voce troppo alta.A questo punto Jack guardò il vecchio e sbalordito lo udì articolare parole senza emettere suono. Non sembrava che stesse davvero parlando, ma sentiva tutto forte e chiaro, di una chiarezza preoccupante: stava bisbigliando alla sua mente in una sorta di telepatia muta, ma con un chiaro timbro. Il vecchio gli disse che quelli come lui non trovano l'uscita perchè quelli come lui non vogliono uscire. Quelli come lui anche se escono, come fece Jack la prima volta, poi ritornano.Sono calamite per posti come quello. Inerme, Jack non reagì. D'altronde, non aveva la più pallida idea di cosa dire o fare. Aspettava qualcosa che lo richiamasse alla realtà, avrebbe voluto mettersi due dita in gola e liberarsi per sempre da quella sbornia maledetta, che gli aveva fatto passare per sempre la voglia di abbandonarsi all'ebrezza, di assaporare i piaceri dell'irrazionalità.Con un ultimo disperato sforzo compose, balbettando, quella che era ormai la sua ultima obiezione, l'ultimo tentativo di difesa: "Se quello che dice è vero, allora tornerò. Ma se proprio non vuole accompagnarmi cortesemente fuori di qui, come fece la prima volta, perchè almeno non lascia che io usi un telefono? Me ne andrò di qui e non ci metterò più piede, mi creda, potremmo scommetterci!".Il vecchio scosse la testa irritato, poi disse: "Ragazzo tu vuoi un telefono? Io non credo che ti serva davvero... non hai un cellulare Jack? Sei sicuro di non averne uno? Mi pare strano, eppure..."Improvvisamente gli occhi di Jack si illuminarono, ma al tempo stesso si sentì pesantemente inabissare in un groviglio di sensazioni inconsce. Il cellulare... Non è possibile raccontare esattamente la particolarità di quei momenti di riflessi intangibili.Jack era ricaduto in trance (ne era mai davvero rinsavito da quel pomeriggio alla discarica?), ma riusciva a captare suoni di mille voci tutte uguali, voci di vecchio, che erano difficili da distinguere, eppure trasmettevano tutte un messaggio ben recepito in tante piccole, diverse e remote parti del suo cervello. Vedeva un cellulare nella sua mano; non un cellulare, il suo cellulare, quello che aveva sempre avuto e che non usava."Perchè non ho telefonato?".Lasciandosi cullare dai suoi ultimi istanti di inerzia, come un materassino galleggia e affronta il mare, la mente di Jack riacquisiva coscienza e svegliava il corpo, che a sua volta tornava caldo.Tutto ciò avvenne con una calma perfetta, un'imperturbabile quiete era venuta a richiamarlo da sonni profondissimi. Aveva dormito tanto, si sentiva riposato e anche un po' eccitato. Aveva dormito bene tutta la notte; sebbene avesse la sensazione di aver sognato qualcosa tutta la notte, non era in grado di ricordare bene cosa. Allungò un braccio verso il cellulare posato come d'abitudine accanto al letto e controllò l'orario: si era svegliato dieci minuti prima che suonasse la sveglia, impostata per le 8.30. Si sentiva riposato, eppure avrebbe dormito volentieri un altro po'.Stava ripensando al sogno che non riusciva a rievocare, sentendo crescere un leggero senso di frustrazione: da quando aveva aperto gli occhi, Jack si sentiva come incastrato in una fitta tela di déjà‐vu dalla quale non riusciva a trovare una via d'uscita. Ma i déjà‐vu, si sa, sono tanto piacevoli quanto fastidiosi; un fenomeno affascinante e singolare.Probabilmente, convenne Jack, quel sogno era una ricorrenza, un periodico ospite delle sue notti. Ne era quasi certo, ma come poteva esserne sicuro, trattandosi di un déjà‐vu?L'orologio ora segnava le 8.35 e non aveva tempo da sprecare in futili osservazioni; man mano che il sole si levava più in alto nel cielo, i piedi di Jack erano sempre più piantati a terra e la sua testa sempre più avvitata intorno al collo. Quando andò a fare colazione, bevendo la sua tazza di caffè, già aveva smesso di pensare alla notte appena trascorsa. Aveva un aereo da prendere ed una bella vacanza lo stava attendendo oltre i confini, su a Nord. Dublino arrivo!, pensò Jack, lasciandosi sfuggire un sorriso.