Ladri di vita
Mi guardo intorno inquieto, come a cercare qualcosa.
Vedo le tante persone racchiuse nel singolo individuo che comunicano silenziosamente con le tante persone racchiuse in me. Sono immagini chiare e sfocate, fumo, nebbia, spettri di una coscienza collettiva dalla quale cerco di estraniarmi ogni volta che posso. Forse mi trovo all’interno di un ufficio. Devo fare qualcosa, ma ora mi sfugge.
Sono in fila. Nell’attesa mi accorgo di avere in mano una cartella rossa, liscia. Dà soddisfazione al tatto più di quanta ne dia il pavimento sotto i piedi. Ho anche un numero che certifica la mia appartenenza ad un ordine temporale forse già prestabilito dalla rotazione terrestre.
Provo un piacere sommesso e confortante nel passare un lembo del mio numero sulle tre zigrinature della mia cartella rossa. Mi accorgo che stò suonando una musica silenziosa che raggiungerà un crescendo e farà accadere qualcosa di inaspettato … Nessuno la sente , ma sentiranno sicuramente i suoi effetti e, secondo me , nulla sarà più lo stesso.
I miei occhi restano folgorati alla vista di un orologio quasi incastonato nella parete di una colonna.
Non ne capisco il funzionamento, non sembra appartenere a questo mondo. Il quadrante opaco, al posto dei numeri piccoli specchi di cui l’ultimo con cornice nera. Tre lancette identiche con punta di freccia partono insieme e progressivamente si distanziano prima di aver completato il giro. Avviene tutto molto rapidamente. Credo di essere il solo ad averlo notato e mi guardo intorno per sincerarmene. Non capisco cosa misura e non oso chiederlo a nessuno per il pudore di apparire tanto disinformato. Lascio correre, anche se ogni tanto occhi e pensieri tornano a curiosare ed a fare domande.
Guardo l’impiegata al di là del vetro … dall’altra parte tutti i colori risentono di un verdino pallido, forse le luci, forse le tinte dominanti, forse appartengono ad un’altra specie. Credevo fosse più giovane quella donna, forse il vetro, forse la luce, non saprei.
A rincuorarmi, l’impressione che la fila sia andata avanti; infatti non c’è più la ragazza mora dai lunghi capelli ricci e neanche il ragazzo con i capelli corti dagli ampi tatuaggi. Cinque pensionati mi separano dall’obiettivo che continuamente sfugge alla mia attenzione. Questo mi costringe ad aprire la cartella con frequenza per evitare una situazione imbarazzante … Mi tranquillizza avere tra le mani qualcosa di fermo, qualcosa di mio, pronto a rammentarmi il perché della mia presenza in quel luogo. Anche dietro di me il numero degli anziani è aumentato. Penso di essere l’individuo più giovane. Con la medesima cadenza riapro la cartella e mi rincuoro. Vado ancora avanti. Credo di essere lì da molto tempo,ma non saprei quantificarlo. Io sono il prossimo, ricontrollo il contenuto della cartella, finalmente.
D’improvviso mi trovo all’uscita.
Non so cosa ho fatto, ma comunque esco. Il sole è più caldo e luminoso, le zone poste in ombra dai palazzi sono quasi gelide ed io torno a pensare a quello strano orologio di cui ignoro il meccanismo.
Mentre cammino verso casa sono attratto da alcune vetrine che si trovano sotto un porticato d’ampio respiro. Una in particolare mi piace, quella di un piccolo negozio dell’usato. Con grande attenzione e curiosità lascio sfilare tutta la mercanzia davanti ai miei occhi , che progressivamente mi sembrano più stanchi. Mi fermo davanti ad uno specchio … è la cornice ad attrarmi, ma solo la mia immagine riflessa riesce a condizionare il mio passo, arrestandolo.
Sono fermo, inchiodato, non credo ai miei occhi…
Improvvisamente ricordo gli specchi dell’orologio e ne capisco il significato.
L’uomo che vedo riflesso nello specchio ha ottant’anni o forse più,è malandato ed ha una cartellina rossa in mano. Non ricordo cosa dovevo fare, apro la cartellina e dentro ci sono solo fogli bianchi puliti e immacolati che non mi rincuorano più.
E pensare che quando mi sono svegliato, poche ore fa, avevo trentadue anni e non sapevo cosa dovevo fare.