Last meeting of a Hotwife
Eroticomico, ironico, per tutti.
Autobiografia futuristica...
Con l'augurio che non ci sia mai un'ultima volta, bensì una continua e costruttiva voglia di fare...
"Calliope deleteria e prava, destati ordunque e squarciami d'amor. Da minotauri inseguita da me rifugio trovasti. Concupiscènza, immemore voluttà, onirica pletora d'appagamenti."
Kauspisia Molfert
1 – La voglia
Capri, NA ‐ 2020
Mio marito me lo faceva ancora... anzi, lui era sempre il solito: fantasioso, subdolo e un po’ esibizionista. Ora che in casa i ragazzi non c’erano più, a volte, lo faceva anche da solo, quasi di nascosto. Quando tornavo a casa, dopo una commissione, poteva capitare di trovarlo, acquattato in qualche angolino, mentre lo stava facendo, quasi ci fosse qualcosa di cui vergognarsi.
Il più delle volte, devo dire la verità, lo faceva con me; era molto attento alle mie esigenze, proprio come ai vecchi tempi. A letto poi, resisteva anche un’ora. Ora mi parlava, ora, preso dall’enfasi, lo faceva ad alta voce, quasi strillando.
Ma a me non bastava...
Chi ha letto, in un passato ormai remoto, qualcosa di mio, potrebbe anche capire e, anche se ci spero poco, giustificarmi.
Lo so che ormai ho superato i cinquanta; so anche di essere una donna fortunata: ho figli grandi, affettuosi, un po’ distanti, è vero, ma mi adorano e si fanno in quattro per me.
E mi stimano, anche, mi ritengono una madre abbastanza saggia. A volte li ho sentiti vantarsi, con gli amici, per la mia cultura... pur non sapendo assolutamente niente di me, di quella che era stata la mia seconda vita.
E per fortuna: altrimenti io ne morirei! Mai e poi mai dovranno sapere che la mamma, ormai anche un po’ “culona”, lei, tanto brava coi fornelli, è stata una scrittrice di racconti erotici. E che titoli, che argomenti ha osato trattare: amori lesbici, depravazione, abbandono sensuale, sadismo... omosessualità e strane “triangolazioni”, tutti argomenti ben oltre ogni estremo concepibile per l’animo umano.
Adesso, finalmente, tutto il materiale era scomparso per sempre, dai miei documenti e dal mio PC.
Grazie al cosiddetto “Cloud”, a nome di tal Giovanna, sperduti nell’infinito spazio virtuale, c’erano ancora tanti scritti ma erano li, dimenticati, abbandonati a se stessi. Da anni nessuno leggeva più libri di carta, mentre gli e‐Book “dormivano” nei cimiteri virtuali, dove raramente, qualche nostalgico o qualche studente s’affacciava.
Qualche vecchio laido, qualche appassionato satiro, probabilmente, conservava nel segreto della soffitta, una raccolta cartacea da me pubblicata oltre sei anni fa; una manciata di racconti, édita per una sola volta. Ricordo che all’epoca, aveva addirittura fruttato alcune centinaia di euro.
E la miccia scaturì proprio da quella terribile raccolta: un vecchio giornalaio, che chiudendo per sempre, svendeva e regalava la sua resa, attirò la mia curiosità. A tempo perso diedi una sbirciata e mi trovai di fronte il mio romanzo erotico, sgualcito, impolverato... probabilmente senza essere mai stato neppure sfogliato.
Eppure, quei pochi grammi di carta umidiccia, bastarono a farmi tornare la voglia, il friccicore, il desiderio ardente. Maledizione!
2 – Passioni del passato
Il sito Meetale, esisteva ancora, ora si chiamava “Meetale Town”. Era diventato una specie di città virtuale, dove gli iscritti avevano a disposizione uno strumento, il Tales Creator, per dettare a voce le loro fantasie; intanto, il programma, raccogliendo immagini dai miliardi di file sparsi nel WEB, costruiva scene tridimensionali, spesso caleidoscopiche, in molti casi sfogliabili o scomponibili. che, Alla fine, con un veloce sguardo d’insieme, si riusciva a trasmettere all’osservatore, una sintesi di emozioni e piacere, che si basava su luoghi comuni, ormai acquisiti in maniera ancestrale, innata.
Naturalmente questi assemblaggi di pensieri potevano avere pure una colonna sonora; essa si creava sul momento, era inedita e del tutto esclusiva.
I più fortunati, insomma chi se lo poteva permettere, avevano in casa l’Opale: quell’ovulo tecnologico, adesso tanto in voga, dove ci si rinchiude, per avere esperienze “full immersion”: giochi; guidi; passi del tempo con “amici virtuali”, ricevendo un’esperienza totale... anche se illusoria e totalmente virtuale. Col tuo corpo, te ne stavi a casa tua, rinchiuso nell’Opale, senza fare neppure un passo... all’occorrenza, una flebo laser, ti inoculava un liquido speciale che ti alimentava e ti teneva in vita. Infatti, nel modulo, ci potevi restare anche qualche giorno, senza mai uscirne.
L’avevo provato, c’erano le sale apposite, avevano preso il posto dei cinema, ma l’esperienza era troppo “estrema” per me e poi, l’ovulo, puzzava.
Il mio amato PC tridimensionale e touch screen, bastava e avanzava. Me lo avevano regalato i ragazzi per il Natale del 2018 e me lo tenevo caro caro.
Mi collegai una sera, mio marito era già a letto, mentre io fremevo, e una voglia matta mi pervadeva tutte le membra. Ero calda!
Il bisogno... la lunga astinenza, mi rendevano folle e disposta a rischiare. Spulciai tra i nomignoli nelle mie cerchie: Emma, la dolce, Skank, con la sua lucida follia... Tony... ah, il vecchio Tony, sempre gentile, sempre disponibile... lui ne sapeva tante di cose, forse... forse?
No, mi vergognavo troppo per rivolgermi a lui; dopotutto per me era stato una specie di maestro, un paterno punto di riferimento. Ricordo che sopportava pazientemente il mio “stile” anche se, in cuor suo, di certo non approvava. In questa occasione, forse, avrebbe potuto anche capire ma, niente: non sarei mai riuscita a chiedere a lui, nonostante fosse stato un uomo di mondo.
Alla fine scelsi uno giovane, pressoché sconosciuto; ci accomunava l’amore per la produzione erotica, visto che anche lui, sebbene con i nuovi sistemi, narrava di Eros. Infine, dalla sua scheda, si leggeva che era della Campania... essendo relativamente vicini, forse tutto sarebbe stato più facile.
Gli scrissi una mail, fui abbastanza diretta, gli chiesi ciò che volevo e se poteva aiutarmi.
Il giorno dopo arrivò la prima risposta... ridicolo: il mio “amico” non aveva capito niente! Si offriva lui, proprio lui, in prima persona, per accontentarmi. Follia pura! “Vecchio mio, pensai, allora non hai capito... di scrittori ne trovo quanti ne voglio...”
Risposi immediatamente. Mi scusai falsamente per il “malinteso”, poi gli spiegai chiaramente il mio punto di vista: di uno come lui, proprio non sapevo cosa farne.
“Sei stato gentile” scrissi “ma proprio non ci siamo. Vedi mio caro, io desidero provare emozioni vere, profonde. Qualcuno che lo desideri veramente... nonostante l’età, nonostante l’epoca e la mentalità, così diversa. Ormai è una febbre che mi brucia dentro: io ne voglio uno... ma che sia giovane, vero e sincero, almeno per quella mezz’ora, neanche tanto di più. Te lo dico come una persona di famiglia, una vecchia zia, capiscimi: cercarne uno su internet, freddamente, come una ninfomane cerca l’amante occasionale... io proprio non ce la faccio.”
Precisai, però, che ero disposta ad offrire un compenso ma... per vie traverse, tutto doveva sembrare naturale; volevo sentire tutta la forza del suo desiderio... ecco.
Ero stata una bella donna e una prolifica scrittrice, soprattutto erotica, non potevo proprio, adesso, passata la cinquantina, cercarmi uno per strada, una specie di gigolò, da sola... come i maschi cercano le puttane!
Forse il giovane ci rimase male, forse capì.
Chiusi la comunicazione e mi arresi all’inevitabile: sarei morta senza provare più il vero piacere, quella trepidazione che solo un vero uomo, adulto e consapevole, ti può donare... donne non ne cercavo. Non so, non mi era mai capitato... almeno con me, quasi nessuna aveva ammesso di averlo fatto... né si era confessata apertamente.
3 – Schiava nel peccato
La settimana successiva, una “Giovanna scrittrice” abbastanza rassegnata, ricevette una sorpresa inattesa e assai gradita: il mio giovane amico mi aveva inviato un messaggio, senza fronzoli, quasi clandestino.
C’era solo un nome, un numero di telefono e poi, un’indicazione: “Ha 22 anni e vive a Salerno”.
Una sferzata elettrica mi attraversò dal coccige alla nuca e, di conseguenza, arrossii talmente da sentire la febbre sulle guance. Per fortuna, in casa, non c’era nessuno.
Dal dire, al fare... è vero, non è mai facile: nonostante lo desiderassi con tutta me stessa, non fu facile organizzarmi.
In certi momenti “d’emergenza” ti rendi conto di quanto è abitudinaria e scontata la tua vita. Ma ero decisa, e le difficoltà cercai di superarle tutte; mi sarei sentita un verme se non fossi stata in grado di vivere la situazione che io stessa mi ero cercata.
E poi, diciamocelo francamente, vivere un periodo di segretezza, nascondere le nostre mosse a chi ci ama, ha un suo fascino perverso; magari non tutti i giorni ma, come dicevano i Romani: “Semel in anno licet insavire.” E questo era il momento giusto di “impazzire”, per me!
Provai a contattare il giovane una domenica mattina con un “whatts‐app”, lui mi fece uno squillo nel pomeriggio, poi ci scambiammo la mail. Volle vedere una mia foto!
Era stato al Liceo, sì!
Adesso frequentava l’Università, a Fisciano.
Il suo amico gli aveva promesso cinquanta dollari... confermai, vergognandomi e godendone, allo stesso tempo.
Quando si poteva fare?
Beh... quella fu la parte migliore: ci saremmo visti di mattina, quindi, sospetti: zero!
“Ci vediamo alla stazione di Salerno o davanti al Municipio?” scrivo.
“Avrei pensato... in albergo, è più discreto. Che ne dici? Ti conoscono al Baia Hotel?” Lo scrissi con disinvoltura ma la mia mente di moglie e mamma, cercava di calcolare a quante “spese nel supermercato” poteva corrispondere il prezzo di una camera, in quell’Albergo a cinque stelle.
Ormai ero diventata una macchina pronta a trasgredire: segreti e misteri non si contavano più. Mi sentivo eccitata, ringiovanita e un po’ zoccola, visto tutto l’intreccio che stavo tessendo, tutta sola.
Mio marito non sospettava nulla, anzi era felice di vedermi... felice!
I miei ragazzi... neanche a parlarne: se loro fossero capitati nell’albergo e mi avessero incontrato in compagnia di uno studente di primo pelo... semplicemente non avrebbero creduto ai loro occhi, nemmeno se gli avessero mostrato i documenti e il test del DNA.
La cosa più amara di tutta l’operazione fu la spesa, non navighiamo nell’oro e di mio, sono sempre stata un po’ tirchia. Però ero in ballo... e i miei sogni, le mie fantasie, valevano di più. Almeno una volta, una volta ancora, prima di diventare una vecchia decrepita.
Il più corretto fu ragazzo del WEB, che pagò lui il suo amico, senza chiedere niente per sé, fu un vero signore... chissà, forse gli feci anche un po’ pena.
Il giornalaio puzzone, nonostante i pochi libri che ancora gli restavano fossero destinati al macero, intuito il mio interesse per la copia, chiese ben 25 dollari; che ladro.
Il concierge dell’Hotel pure ne approfittò, e alla grande. Una camera mi sarebbe costata, bassa stagione e albergo vuoto, 180 dollari: un’ora o una notte non cambiava niente. Quando la mia romantica follia, mi portò a chiedere il roof garden, situato all’ultimo piano, seppe “violentarmi” senza muovere nemmeno un dito.
Non solo mi spillò 250 dollari, senza fattura né ricevuta, ma mi trattò come una “malata” sessuale, comunicandomi a bassa voce che stavo comprando anche il suo silenzio e quello delle cameriere.
Uscii dall’Albergo, più povera e più infuriata!
Era un giovedì di dicembre. Nascosta sotto un cappello a falda larga, mezzo viso coperto da una sciarpa grigia, accostai con l’auto. Mi guardai intorno furtiva sperando che nessuno mi conoscesse. Nino, il mio “ragazzo” di quell’avventura, ancora non era li. Arrivò con l’autobus, pochi minuti dopo e salì in macchina alla svelta.
Aveva fretta. Si sa come sono i ragazzi: non hanno rispetto per le persone adulte. Per loro, una cinquantenne è una vecchia... ed io dovevo essergli sembrata anche mezza matta.
Il cancello dell’albergo era aperto, con quello che avevo speso, mi c’infilai dentro e scesi nel garage sotterraneo. Almeno gli avrei “scippato” un posteggio discreto a quella sanguisuga.
Il porco del portiere non ci chiese neanche i documenti, in tutta segretezza ci accompagnò, in ascensore, fino all’ultimo piano.
«Sono le dieci e dieci» mi disse discreto, mentre ci chiudeva la porta del roof alle spalle «per mezzogiorno dovete finire. Il bagno è in fondo... non sporcate, mi raccomando!»
Sono sanguigna: se non ci fosse stato Nino a pochi metri, gli avrei sputato in viso. Il “porco” mi stava fregando i soldi, a chi serviva il Salone delle feste in una mattinata del genere, con l’albergo praticamente chiuso? Non volli pensarci, non volli permettere a quel meschino di rovinare il mio idillio: mi era costato troppo. Era il momento di cominciare il mio sogno e di godermi quello che avevo costruito con tanto sacrificio.
Guardai Nino, se ne stava impalato, un po’ a disagio. L’ambiente era freddo, i termosifoni appena avviati.
In compenso l’arredamento era bellissimo, nonostante fosse più che altro estivo. Le poltroncine e le sedie erano in vimini, i mobiletti e i tavoli in rattan, con il piano in cristallo molato. Le piante, quasi tutte senza fiori, tranne i ciclamini, erano curate e sistemate con stile.
Ma il vero capolavoro era la veduta: quel salone era un’enorme veranda da cui si scorgeva, impetuoso e splendido, il panorama della Costiera Amalfitana. La giornata non era delle migliori, nuvole a chiazze, grigie come il ferro, limitavano l’azzurro splendente dei punti sereni. Il mare, nervoso e plumbeo, aggrediva la costa come la volesse schiaffeggiare da millenni.
Dimenticai tutto, ero felice.
Presi Nino per mano con dolcezza e lo guidai in fondo alla sala.
Tolsi cappello e sciarpa, aprii il soprabito ma lo conservai sulle spalle a mo’ di scialle e, davanti a quel ragazzo, nervoso e sconosciuto, mi lascia cadere su un largo dondolo, poi accavallai le gambe, voluttuosa e un po’ civettuola.
«Puoi sistemarti li, se ti trovi comodo» gli dissi, indicando una poltroncina, con la luce a suo favore. Poi estrassi il libro dalla borsa e glielo porsi:
«Lo scritto tutto io, sai?» la cosa non lo sorprese nè lo sconvolse più di tanto «Vabbè... leggimi Una notte a Bratislava, lo trovi nell’indice.
Poi... Conciata per le Feste e, se rimane tempo, La fata di ferro... ci sono assai affezionata.» dissi, emozionata.
Mi abbandonai sulla seduta, carezzata dalla voce un po’ stridula, a volte, impacciata di Nino che, poveretto, ce la mise tutta. Come tutti i giovani di oggi, aveva poca dimestichezza con il linguaggio scritto, ma... andava bene, andava bene anche così.
Avevo un “lettore”... il mio giovane lettore gigolò.
Dopo tanti anni avevo trovato qualcuno che leggesse, un estraneo, uno tra i tanti... non mio marito, non un amico compiacente o un altro scrittore, che più che leggere, spiava il mio livello di preparazione e le idee che la mia mente aveva partorito... no, era un lettore vero, probabilmente l’ultimo.
Avevo investito, in questo gioco perverso, una piccola fortuna... tutto per neanche due ore di piacere puro... ma ne era valsa la pena.
Nino mi leggeva “tutta”... ed io godevo, godevo, come...
come una scrittrice in calore!