Laura

Era diventata abilissima, lei stessa non riusciva a credere come facevano gli altri a non accorgersene. Non che questo non le facesse piacere, anzi. Era veramente soddisfatta della sua abilità e spesso ci rideva anche sopra.
Fino a quel giorno.
Fu un caso, solo un caso.
La mamma stava entrando nella sua stanza e la vide. Laura si stava vestendo per andare, come sempre, alla facoltà di giurisprudenza, la porta della sua camera era socchiusa (come aveva fatto ad essere così sbadata!) si trovava quasi nuda, davanti allo specchio e si stava soffermando sulla sua immagine: il suo seno si era ridotto a due pellicine informi, le ossa dello sterno facevano pericolosamente capolino sotto la pelle, il bacino era ridotto a due spuntoni sporgenti, le gambe avevano evidenziato un varco esageratamente largo, tra di loro, e le braccia, ridotte a due tubicini quasi impressionanti...
Non era soddisfatta della sua immagine, non si piaceva, ma d'altra parte non si era mai piaciuta.
‐ Oh Dio! Laura, come sei magra!
La voce della mamma la colse di sorpresa, facendola sobbalzare, ma non privandola della prontezza di riflessi che le permise immediatamente di coprirsi, nascondendosi così agli occhi indagatori della madre.
‐ Mamma, ho fretta, lo sai che alle 9 ho l'esame.
‐ Ma cosa è successo? Non mi ero accorta che eri diventata così magra!
Laura lo sapeva benissimo. Il suo abbigliamento era sempre sapientemente studiato, maglioni larghi, gonne, pantaloni, camicie, tutto era sempre scelto con estrema attenzione, per coprire, per nascondere, per camuffare.
‐ Dai mamma, sì, sono stata un po' sotto stress, sai, lo studio, l'esame e tutto il resto, ma non preoccuparti, ho solo perso qualche chilo, poi mi riprenderò, lo sai. Ora lasciami andare, altrimenti farò tardi!
La mamma si accontentò della motivazione, volle accontentarsi, perchè anche lei aveva fretta e non aveva tempo per cominciare una discussione e poi sua figlia aveva ragione, lo studio, una vita impegnatissima, sì, sicuramente la figlia si sarebbe ripresa presto, molto presto. E con questa convinzione più nella testa che nel cuore, uscì per andare, come al solito, a lavorare, lasciando solo quello strano fantasma fatiscente che di sua figlia ormai non aveva quasi più niente.
Il percorso era sempre il medesimo: dieci minuti a piedi, sette fermate della metro e ancora dieci minuti a piedi; tre anni che Laura percorreva quella strada. Lezioni, esami e ancora lezioni e ancora esami. Tutto come sempre, tutto come al solito.
Quella mattina avrebbe dovuto sostenere l'esame di Diritto Penale. Quanto aveva studiato per quella prova. Si aspettava un altro 30, un ennesimo riconoscimento al suo impegno, alla sua applicazione, alla sua intelligenza, alla sua promessa.
Non si sarebbe accontentata di un voto minore. Non avrebbe mai potuto. Non dopo la promessa fatta a suo padre.
Lo ricordava come se il tempo non fosse mai passato.
Suo padre! Erano passati 10 anni da quel giorno, ma lei ricordava tutto alla perfezione, fin nei minimi dettagli.
Il dolce dondolio della metropolitana la catapultò, suo malgrado in un altro tempo e in un' altra dimensione...  Prima fermata La voce di sua madre la raggiunse fuori dalla camera dell'ospedale, dove il suo adorato papà era ricoverato ormai da più di un mese. Lei era solo un'adolescente e ancora non aveva capito bene quale oscuro male costringeva l'uomo della sua vita in uno squallido letto, attaccato a tubicini che non gli consentivano nessun movimento.
‐ Lauretta, vieni, papà vuole vederti.
Semplici parole dette con la morte nel cuore. Seconda fermata
Non voleva entrare in quella stanza, ma lo fece. Si avvicinò all'uomo nel letto. Non sembrava più il suo papà. Non gli aveva mai visto quegli occhi vitrei, non conosceva quelle guance scavate, non riconosceva la gracilità di quel corpo, il respiro affannoso, la voce sussurrata...no, il suo papà era sempre stato un uomo forte, energico, ai suoi occhi bello, anzi bellissimo...quante volte l'aveva presa in braccio, l'aveva fatta ridere, le aveva asciugato le lacrime! Piccoli gesti che l'avevano sempre fatta sentire importante, amata e sicura di sé. Ora non c'era niente di tutto questo e lei aveva paura di quello sconosciuto pallido e sudato, che le faceva segno di avvicinarsi. Voleva scappare, fuggire, andare via da quel posto di morte. Invece si costrinse ad avvicinarsi e a sorridere. Fingendo, come una consumata attrice. Terza fermata
‐ Laura, vieni qui, ascoltami‐ una voce impercettibile, un anelito di fiato ‐ Me ne sto andando, voglio salutarti per l'ultima volta. Abbi cura della mamma e promettimi di essere sempre brava, di fare del tuo meglio, di essere la migliore.
La ragazzina annuì con il capo, non per vera convinzione, ma solo per poter andarsene via da lì al più presto.
Il bip bip della macchina cominciò ad essere insistente. La porta della stanza si spalancò. L'equipe medica che entrò sembrava impazzita: confusione, agitazione e nessuno che si accorgeva di lei, che in un angolo stava assistendo, sola e disperatamente confusa, alla morte di suo padre.
La macchina cominciò ad emettere solo un sibilo costante, fisso, continuo.
Lui moriva e lei non desiderava altro che andarsene, avrebbe dato chissà che cosa per non essere lì, in quel momento Quarta fermata
Quanto era pesata sulla sua coscienza quella sensazione! Quante volte ci aveva pensato dopo, quando tutto era finito e lei si era ritrovata sola con sua madre, in una grande casa in cui ogni angolo, ogni mobile, ogni rumore le ricordava lui.
Per lei era stato naturale mantenere la promessa.
Quasi un modo di farsi perdonare ciò che lei considerava un peccato gravissimo.
Lui le aveva chiesto di essere la migliore, sì! L'avrebbe fatto! Avrebbe onorato quel semplice gesto fatto col capo al capezzale di suo padre.
Cominciò a studiare, a non accontentarsi, a migliorare, non accorgendosi di chiedere sempre troppo a se stessa, di andare a volte troppo al limite delle sue capacità.
Non concedersi mai un periodo di pausa non era normale per una ragazza della sua età. Ma a lei non interessava, la bestia che sentiva in corpo la faceva procedere, sempre dritta, sulla sua strada, senza mai voltarsi indietro. Quinta fermata
I risultati a scuola e nello sport erano al di sopra di ogni aspettativa e la mamma era più che felice di quella figlia che non le dava mai nessuna preoccupazione. La donna guardava in superficie e non si accorgeva che la figlia aveva sempre meno amiche e che ogni piccola relazione con i ragazzi della sua età non durava che poche settimane.
Non ci faceva caso e anche quando a volte si soffermava sul problema, attribuiva la colpa solo ed esclusivamente ad una vita forse un po' troppo carica di impegni. ‐ Scusi, deve scendere?
Nessuna risposta, non poteva, doveva tornare, rientrare in se stessa...
‐ Come? Ah! No, no, prego ‐ disse farfugliando, rendendosi conto che ormai mancava poco all'arrivo. Sesta fermata... settima fermata.
La tensione per l'imminente esame si faceva sentire, Laura non era abituata a quella sensazione di ansia. Per lei, così studiosa e diligente, non era mai stato un problema, affrontare una prova o almeno così credeva o di questo si convinceva. Ormai era diventata bravissima a mentire anche a se stessa. In realtà per lei ogni prova era faticosa, ogni volta mettersi alla prova le provocava un profondo senso di malessere, perché doveva riuscire, essere forte, primeggiare, in qualsiasi situazione e a qualunque costo!
Ma quella sensazione, appena uscita dalla metropolitana, le era nuova, non la conosceva e la spaventava. La testa cominciò a girare, prima piccole vertigini, poi un vortice più violento che la costrinse a rallentare; sentiva nel petto battiti forti, sempre più veloci; il respiro cominciò a diventare affannoso, difficile... si sentiva soffocare... il braccio... che male al braccio... Avrebbe potuto chiedere aiuto, ma si convinceva che tutto sarebbe finito, che era solo ansia per l'esame, che presto sarebbe stata meglio... non poteva stare male... doveva andare all'università... doveva sostenere la prova... doveva... doveva... La sirena dell'ambulanza squarciò l'aria, ma Laura non la sentì, non poteva sentirla.
‐ Signorina, signorina! I soccorritori si chinarono su di lei, ma lei non se ne accorse nemmeno.
Gruppi di curiosi formano capannelli accanto a lei, commentando con superficialità e cattiveria:
‐ Mah! Che tempi! La solita drogata! Poveri noi, come siamo ridotti! 1... 2... 3 ‐ 1... 2... 3... mani esperte sul povero torace.
Sulla povera bocca... una mascherina respirava per lei.
I soccorritori continuavano ancora e ancora e ancora, non volevano darsi per vinti, non volevano rassegnarsi ad una situazione fin troppo evidente.
‐ E' stato il cuore. Non c'è più niente da fare. Povera ragazza, guarda come si era ridotta, è impressionante...
Quando l'ambulanza si fu allontanata, anche le persone sul marciapiede si erano disperse. Ormai non c'era più nessun “fuori programma” a rompere la monotonia di tutti i giorni e tutti poterono tornare al loro tran tran quotidiano, con un pettegolezzo in più da raccontare.