Le cianfrusaglie
Quel giorno il cielo era terso e la temperatura dolce, una tipica mattinata di primavera. In piazza c’era gente che si godeva il sole di fine aprile dopo una settimana di pioggia. La vendita delle bigiotterie non era particolarmente buona, ma qualcosa si riusciva a fare.
Potevano essere le 11, quando improvvisamente lo vidi. Marco, la persona più importante della mia vita. Restai attonita, sembrò che mi si fosse bloccato il respiro. Lui sicuramente non mi aveva visto. Come mai si trovasse in quella città era un mistero per me. Si era un po’ ingrassato e aveva perduto un po’ di capelli, ma era ancora un bell’uomo, non c’erano dubbi.
Dio, quanti anni! Diciotto anni e tre mesi. Un’eternità eppure i ricordi erano brutalmente vivi e presenti. Se mi avesse riconosciuta, si sarebbe avvicinato e certamente avrebbe fatto dell’ironia su questa mia attività di venditrice.
Avrei voluto gridare: “Marco, non mi riconosci? Sono io, sono Marcella! Hai visto, Marco, i segni del dolore sul mio viso? La caduta precipitosa della giovinezza, le rughe? Quanto male ci siamo fatti, Marco! Quante reciproche ferite!
E i giorni delle nostre illusioni, delle nostre passioni politiche, dell’eros insaziabile, della tenerezza preziosa e rara. I viaggi in terre lontane e il figlioletto nostro che era nato morto.”
Si avvicinò una donna, tanto giovane da sembrare una ragazza. Elegante col suo tailleur bianco e il cappello dalle falde ampie, adornato da un nastro nero, le scarpe a spillo e la borsa di Vuitton. Si baciarono. Lui, abbracciandola in vita, la condusse verso il mio banco. Lei dette uno sguardo superficiale alla mia merce. Ti piace qualcosa? Disse Marco. “No, per la verità non sono amante delle cianfrusaglie.” Lui sorrise. Si allontanarono lentamente.
E fu l’ultima pugnalata di Marco: non mi aveva riconosciuta.