Le foglie di Verlaine

È notte, fa caldo, e il fumo  dell’ennesima sigaretta cerca di portarsi via quei pochi pensieri rimasti, un po’ troppo ingombranti. Dal terrazzo conto le macchine che passano veloci. Dieci anni fa avevo anche smesso di fumare, poi la solitudine, alle due di notte, ti fa riscoprire le cattive abitudini.
Ancora un sorso di coraggio. Col tempo quel goccio di grappa si è trasformato in un bicchiere, e poi in una bottiglia. E poi in altro.
Il più delle volte non riesco neanche ad andare a letto, mi addormento qui, sulla sdraio. La mattina mi guardo allo specchio, e la mia barba è sempre lunga. In ufficio si lamentano in continuazione. Faccio sempre tardi e sono impresentabile. Ma andassero a fare in culo.
La mia ex moglie l’ha capito in fretta. Un giorno, stufa delle mie paranoie, mi ha cacciato di casa. “O la smetti di vivere solo per te o è meglio che vai via”, disse. Mi presi qualche giorno per riflettere, ma lei aveva già deciso. Mio figlio non mi telefona neanche più. Neanche io lo chiamo.
Fuori dalla porta c’è una lunga fila di problemi che prima o poi entreranno. Ci vorrebbe Mr Wolf, mi aiuterebbe a risolverli. Definitivamente.
Negli ultimi mesi ho passato intere giornate al computer. Facebook mi ha risucchiato in una spirale senza fine, alla ricerca di qualcosa che soddisfacesse al meglio i miei desideri. Ma qui non si scopa. C’è Poetessa lussuriosa che sembrerebbe anche disposta ad uscire, ma abita a Milano… E come ci arrivo? La macchina, o quello che resta, al massimo mi porterebbe dall’altra parte della strada. Senza capelli e con la pancia molle, ma dove voglio andare!?
Anche stasera la solita civetta. È un violino che mi lacera il cuore. Forse è meglio bere: Mr Wolf, dove sei? Fumo l’ultima sigaretta.
D’improvviso un brivido mi sveglia, qualche secondo per capire dove sono. Giro la testa verso la cucina e riesco a vedere l’orologio al muro. Sono le 5:28, mi sono addormento sul divano e fa freddo, anche se è settembre e di giorno fa un caldo che toglie il respiro. Mi alzo e barcollando vado in cucina, mi ributto sul divano e senza neanche accorgermene ripiombo nel sonno. All’improvviso riapro gli occhi, sono le 7:52 e tra 8 minuti dovrei essere in ufficio. Anche stamattina arriverò in ritardo. Se arriverò.
Accendo una sigaretta e mi scolo il fondo del bicchiere di ieri sera. Nel frattempo vado in bagno. Accendo la radio, ogni mattina la stessa storia. Ormai dà solo notizie economiche. Da quando c’è la crisi, sembra che tutti siano diventati degli economisti. E tutti degli affamati.
Mi vesto alla meglio, e vado al lavoro. Mi fermo a fare colazione: un caffè, un sambuca e un’imprecazione per questo tempo che corre, corre… ma dove sta andando!?.
Dieci minuti e sono davanti all’edificio dove lavoro. Mi siedo sulla panchina e inizio a fumare. Questo impiego non mi è mai piaciuto. Arriva un barbone che rovista nella sua busta di plastica. Cerca per 5 minuti, finché tira fuori una salsiccia, che avrà almeno un mese. Bianca. Che schifo. Mi alzo e vado via. Mi rigiro per la curiosità di sapere: la sta mangiando.  
La monotonia che in questi giorni si sta accumulando è devastante. Tutti uguali. Non faccio che camminare, parlare da solo, e scopare da solo. Non ho i soldi per la compagnia. Oggi se non hai i soldi, non sei nessuno; se non hai una laurea, non sei nessuno; se non hai amici, non sei nessuno. Io non esisto, è l’unica spiegazione. Credo di essere invisibile.
Dopo essermi fermato ad un altro paio di bar, ma forse molti di più, torno a casa come se tornassi da lavoro. La fame non abita più con me. Basta qualche buon bicchiere di vino e vai con Dio. Mi metto sul letto, vedo scorrere scene di vita come un fiume in piena. Rammentare è sempre traumatico, qualche lacrima lo dice con certezza. La stanza inizia a girare intorno: primo tempo; intervallo; secondo tempo; fine. Sento il corpo abbandonarsi a se stesso. Dormo.
Mi alzo dal letto e apro la porta. Bussano da qualche ora. Inciampo nel più banale dei fossi. Dentro casa c’è un fosso? Lo copro con un tappeto e apro, spostando migliaia di palline da ping pong di colore verde che coprono il pavimento. Tante sono rotte. È Magda, l’amica del cuore. Si butta al collo e inizia a baciarmi. Cerco di trattenerla, per non cadere. Cadiamo. Poi ci spostiamo nell’altra camera, e ci lanciamo sull’unico posto che ricorda un letto. Lasciamo i nostri desideri uscire dal corpo come onde di un mare in tempesta. Lei sbatte su di me come acqua sugli scogli. È salata e la mia sete aumenta. Finiamo a terra. Ritorniamo sul letto. Ritorna la calma di un mare piatto, custode dei riflessi del sole al tramonto. Restiamo in silenzio mentre l’acqua ci bagna i piedi. 
D’improvviso un brivido mi sveglia, qualche secondo per capire dove sono. Giro la testa verso la cucina e trovo Magda al mio fianco. Mi alzo, la guardo. Le tocco i capelli, le metto la mano dietro al collo e la sgonfio. La ripongo nello sgabuzzino, nella sua scatola. Mi ributto sul divano e senza neanche accorgermene ripiombo nel sonno.