Le ultime ore di Molly (prima parte)

Adulti XXX, contenuto erotico esplicito. Racconto tratto da "Anima Porcella" di Monica e Manuel Drake ‐ disponibile su Amazon e nelle migliori librerie online.

“Sbrigati, Molly! Porta queste zuppe al tavolo in fondo, poi torna subito qui che devo farti vedere una cosa!”
Il vocione, dal tono perentorio e incazzato, giunse alle mie spalle e mi provocò un brivido lungo tutta la schiena. Per sfuggirgli, uscii velocemente dalla cucina e mi precipitai nella sala della locanda. La mia situazione certo non migliorò. Anzi, l’ambiente era immerso nel più totale caos e affollato da avventori rozzi e chiassosi: c’era chi batteva i pugni sui tavolacci di legno lurido per far prevalere le proprie argomentazioni, chi rideva sguaiatamente a battute totalmente idiote, chi urlava per richiamare l’attenzione di un cameriere, chi cantava inni camerateschi e anche qualcuno che, ormai ubriaco fradicio, russava con la testa immersa in ciò che gli rimaneva nel piatto che, spesso, era il suo stesso vomito.
Essere catapultata così repentinamente dalla mia fantastica condizione di imperatrice, avvolta dal lusso e dalla tranquillità, ad una così infernale e degradata, mi provocò un istinto suicida, tanto ero quasi certa che mi sarei reincarnata altrove e, qualsiasi altro luogo o tempo, sarebbero stati meglio di quello che stavo vivendo.
“Ehi, giù le mani, porco!” urlai ad un tizio che mi si era aggrappato al culo con entrambe le mani, mentre cercavo di servire intatte le zuppe, come mi era stato ordinato dal proprietario di quel maledettissimo posto.
La risposta del porco fu, come al solito, una risata sguaiata, suggellata dalle pacche sulle spalle che ricevette da alcuni suoi compari, uno dei quali commentò: “Fantastico il culo di Molly, vero?”
“E dovresti sentire come sono sode le sue magnifiche tette…” gli fece eco il tizio di fronte.
Tornando fortunatamente illesa verso le cucine, mi diedi un veloce sguardo: riuscii a realizzare che, pur non essendo molto alta, risultavo piuttosto attraente, con i miei capelli colore del fuoco, la pelle chiarissima e delle belle tette, non troppo grosse, ma ben tornite e invitanti.
Voltai un angolo e mi ritrovai di fronte l’oste che mi attendeva, furente e paonazzo, con le mani sui fianchi: “Devi rispondere educatamente ai clienti! Fai in modo che non debba buttarti fuori già al tuo primo giorno di lavoro!” mi urlò.
“Ma, il tizio mi ha palpato il culo…” risposi cercando di giustificarmi.
“E che cazzo vuoi che sia!” replicò, sempre urlando. “Probabilmente, tu non hai capito una cosa, Molly!”
Mi afferrò per un braccio e mi fece attraversare a forza la cucina, per poi spingermi dentro un piccolo magazzino di cui chiuse la porta a chiave dietro di sé.
Venne verso di me slacciandosi il laido grembiule che portava in vita. Arretrai il più possibile, fin quando le mie spalle non urtarono uno scaffale colmo di provviste. Al che, alla sua totale mercé, non potei far altro che osservare le sue mosse successive: continuando a fissarmi quasi ipnotizzato e a sudare, si aprì i pantaloni che lasciò cadere fino alle caviglie e, da sotto il pancione enormemente gonfio e parzialmente coperto da peli lunghi e scuri, prese a menarsi l’uccello, anch’esso grasso e pelosissimo.
Dopo alcune decise segate, sempre tenendolo in pugno, con l’altra mano mi afferrò una tetta e la strinse fino a farmi male. Ero terrorizzata e con il battito cardiaco impazzito. Egli se ne accorse e, probabilmente per mitigare la mia tensione, mi fece qualche complimento: “Hai delle tette bellissime, mia cara Molly. Sono sicuro che, se sarai paziente nel soddisfarmi, diventeremo buoni amici.”
Detto ciò, allentò la presa al mio seno e passò la mano sull’altro, più delicatamente, sempre senza distogliere lo sguardo dalle mie colline.
Dopo interminabili istanti, mi pose la mano sul capo, mi costrinse a chinarmi di fronte a lui e presentò il cazzo davanti alla mia bocca. Esitai prima di imboccarlo, perché aveva lo stesso odore del grasso rancido di maiale, come tutto il resto del suo corpo.
Soggiogata dalla sua decisa presa tra i miei capelli, non ebbi alternativa, se non quella di iniziare a spompinarlo con tutte le forze ed augurarmi che sborrasse il più velocemente possibile.
Contrariamente a quanto avevo ipotizzato, il lurido grassone dimostrò un certa resistenza a tutte le mie arti di giovane, ma già sgamata, bocchinara. Mentre glielo pompavo senza pietà, fregandomene completamente se ciò potesse provocargli dolore, la mia testa rimbalzava contro il suo pancione e, tra un affondo e l’altro, sentivo la mia fronte restare incollata ad esso per via del sudore e del lerciume di cui era intriso.
Non mi fu facile arrivare ad una veloce conclusione: il cazzo tozzo, semi imbucato tra le pieghe del suo ventre, ricoperto della mia saliva, mi sfuggiva di mano e sgusciava dalle mie labbra, ritardando inesorabilmente la sua sborrata, di cui ricevetti il primo schizzo sulla bocca, mentre feci riversare il resto della brodaglia sulle tette.
Ciò piacque molto al mio padrone che, lasciata andare la tensione dell’orgasmo e l’incazzatura precedente, sorrise paciosamente scuotendo le ultime gocce di sborra che mi finirono sul collo.
“Sei stata molto brava, cara Molly. Andremo molto d’accordo, noi due. Ne sono sicuro. Ma ora devi soddisfare i clienti che ti hanno richiesta. Datti una veloce ripulita, poi corri per prima nella camera 3, poi nella 4 e, infine, nella 1. Quello della 2 non mi ha ancora pagato i tuoi servizi extra, perciò aspetta che ti dica qualcosa io. È tutto chiaro, bellezza?”
Rimasi impietrita ad osservarlo. La prospettiva di fare la prostituta con quei vermi era per me davvero ributtante. Ricevetti un sonoro ceffone, seguito dalla medesima domanda: “È tutto chiaro? Ti ho chiesto!”
Portandomi la mano sulla guancia dolorante, scossi affermativamente la testa e mi fiondai verso l’uscita del magazzeno.
Prima di lasciare la cucina, immersi un lembo della gonna in un boccale di birra abbandonato da chissà chi e mi detersi il viso e il petto, nauseata dall’odore dello sperma, ormai quasi completamente incrostato.
Con le lacrime agli occhi, salii la scala che conduceva al piano superiore, dove c’erano le camere, i cui numeri erano sommariamente intagliati con il coltello sulle assi delle loro porte sgangherate e cigolanti.
Tutto era sgangherato, cigolante e lurido in quel maledetto posto. Prima di bussare alla prima camera che mi era stata indicata, giurai a me stessa che non sarei diventata anch’io sgangherata, cigolante e lurida: piuttosto, mi sarei ammazzata.
“Vieni pure avanti, Molly!” mi fu risposto dall’interno, aspettandosi ciò per cui avevano pagato.
Quando entrai, trovai la sorpresa: i clienti da soddisfare erano due, sdraiati uno accanto all’altro, su due letti separati ma piuttosto vicini.
Le mie narici furono subito martoriate dal fetore dei loro piedi, avvolti da calzini macilenti e di colore ormai indefinito. Le loro vesti non erano da meno e mi venne spontaneo pensare come cazzo fosse possibile che preferissero spendere parecchi soldi per pochi minuti con una puttana, piuttosto che comprarsi qualche indumento più decoroso che gli sarebbe durato smisuratamente più a lungo di una semplice scopata.
“Io e il mio amico abbiamo già tirato a sorte per chi ti scoperà per prima, e ho vinto io!” esclamò raggiante il tizio, parzialmente sdentato, alla mia sinistra.
“Sai che cazzo me ne frega di chi sarà il primo?” pensai.
“Tira fuori il tuo cazzone e fammi vedere quanto ti viene duro.” lo esortai, e lui ubbidì come un cagnolino. Iniziò a menarselo, inconsapevole che, così facendo, mi stava risparmiando un bel po’ di lavoro.
“Che idiota!” riflettei, compiaciuta per quanto ero stata brava a manipolare il mio primo cliente da puttana.
“Bravo, sparati un bel segone, così mi fai bagnare tutta!” gli dissi toccandomi la passera attraverso l’ampia gonna, mentre l’altro teneva lo sguardo fisso sul cazzo dell’amico.
Attesi che si desse almeno una ventina di segate, poi andai verso il suo letto, mi ci misi in ginocchio e avanzai fino a quando fui a cavallo dei suoi fianchi.
Alzai la gonna e mi impalai su quel pisello dalle dimensioni abbastanza modeste.
Presi a fare su e giù appoggiando le mani sul petto del mio cliente che non riusciva a biascicare parola, tanto era impegnato a guardarmi il petto che ondeggiava all’unisono con il mio bacino.
Ad un certo punto, il compare, che non aveva mai smesso di maneggiarsi il pacco attraverso i pantaloni, disse: “Ehi, Molly, alza la gonna che voglio guardarti il culo mentre scopi!”
“Col cazzo! Questa è la mia scopata! Se vuoi vederle il culo, sgancia due Scellini!” protestò quello sotto di me.
“Bell’amico che sei!” replicò, recuperando da una tasca due monete che buttò sul nostro letto.
Così, quello che mi stavo scopando, mi alzò la sottana, permettendo al socio di vedere di profilo il suo cazzo che affondava e riappariva ritmicamente dalla mia fica.
Lo spettacolo durò poco, in quanto l’amico resistette ancora una trentina di secondi. Poi, venne allagandomi: “Wow! Eri proprio bello pieno!” osservai.
“Eh, sì. E tu sei stata così brava…” rispose, dandomi un’ultima smanazzata alle tette mentre mi sollevavo e sentivo colare la sborra lungo una coscia.
Prima di dedicarmi all’altro, feci per darmi una sommaria pulita, ma egli mi bloccò: “No, no! Ferma! Voglio scoparti mentre sei bella piena!”
“Come preferisci, porco!” dissi. Nel frattempo, si era abbassato i pantaloni e mi faceva cenno di andargli sopra velocemente.
Assecondai la sua richiesta. Il suo cazzo si fece facilmente strada nella mia vulva, affondando nella crema dell’amico.
L’effetto pastoso di tutto quell’impiastramento fu micidiale per la sua resistenza: riuscii a contare meno di dieci su e giù, poi mi ritrovai nuovamente con la fica inondata di sperma.
“Mmmh.., Ahhh…, Ohhh…” era tutto ciò che riusciva a dire, con gli occhi quasi ribaltati.
“Cazzo, mica starà morendo?” mi domandai, mostrando al suo amico la mia espressione allarmata.
“Tranquilla, fa sempre così quando gode…” mi rassicurò ridendo scompostamente.
Mi scavallai da quel mezzo cadavere e riassettai la gonna. “Bene, signori. È stato un piacere. Buonanotte.” dissi in procinto di afferrare la maniglia della porta.
“Aspetta, Molly! Questi sono tuoi!” disse il primo che mi ero scopata, porgendomi i due Scellini che si era fatto pagare dal socio.
Di fronte a tale gesto, ritenni che il tizio si meritava di ricevere un mio sorriso, così glielo concessi, assieme all’involontario scintillio dei miei occhi.
Presi velocemente il danaro, lo imboscai dentro al fazzoletto che tenevo nella tasca anteriore della sottana e mi dileguai nel corridoio.
Secondo gli ordini che avevo ricevuto dal padrone, ora toccava agli occupanti della camera 4 che, ahimè, erano in tre.
Con questi, il copione non fu molto differente da quello con i primi due, ad eccezione che uno volle che gli succhiassi l’uccello, mentre scopavo a pecora con un altro.
Constatai che non avevano proprio altre fantasie o ambizioni erotiche, ad eccezione di ficcare il cazzo in un buco e sborrare il più velocemente possibile.
“Meglio così!” conclusi, dirigendomi verso l’ultima camera che dovevo farmi.
Bussai ripetutamente senza ottenere risposta, così presi l’iniziativa di socchiudere la porta e fare capolino all’interno della stanza. L’unico occupante, spaparanzato nel letto con braccia e gambe divaricate, russava pesantemente a bocca spalancata.
“Peggio per te, coglione.” pensai. Richiusi l’uscio e tornai al piano inferiore.
La sala era ormai quasi deserta: restavano, accasciati sulle panche, solo un paio di ubriachi che i due camerieri e il barista stavano sollevando per poi buttarli fuori, in mezzo al fango, assieme ad altri compagni di bevute che avevano già ricevuto il medesimo trattamento “di cortesia”.
Davanti all’entrata della cucina, mi si parò l’oste: “Allora, Molly, te lo sei guadagnato lo stipendio con quei maiali? Sono rimasti contenti?”
“Sì, signore. Credo proprio di sì…” risposi tremante, sia per il timore di un nuovo rimprovero, sia per i muscoli delle gambe che mi dolevano e la passera che mi bruciava.
“Domani chiederò ai clienti se mi hai detto la verità.” minacciò, puntandomi il dito davanti al volto. Poi, cambiò tono: “Adesso, vai pure a dormire. Domani è domenica e apriremo solo nel tardo pomeriggio. Così, avrai mezza giornata libera per farti un bel bagno e andare in chiesa a confessare i tuoi peccati di sgualdrina.”
Quest’ultima affermazione mi lasciò basita: “Quali peccati dovrei confessare? Forse, le porcate che mi avete costretta a fare con la forza e con le minacce?” avrei voluto rispondere, ma ritenni più prudente tacere e ritirarmi nella cameretta che mi era stata assegnata sul retro della stamberga confinante con la locanda.

L’indomani, fui svegliata dall’ingresso nello squallido stanzino della moglie dell’oste, una megera con lo sguardo truce che non mi degnò di un saluto.
Mi portò una brocca d’acqua, appena tiepida, e un piatto con la misera colazione: un pezzo di pane semi raffermo, una tazza di latte e una cucchiaiata di marmellata, della quale stentai a comprendere con quale frutto fosse stata fatta.
Cercai di farmi bastare l’acqua per lavarmi, poi consumai il frugale pasto.
Mi vestii con l’unico cambio che avevo, diedi una sistemata ai capelli che raccolsi dietro la nuca, e lavai nell’acqua gelida gli abiti che indossavo la sera precedente.
Prima di andare in chiesa, passai dalla locanda per ritirare la paga settimanale. L’oste era solo e mi venne incontro: “Vedo che ti sei agghindata degnamente per presentarti al Vicario…”
“Grazie.” risposi, non trovando nulla di così “dignitoso” nel mio abbigliamento.
“Tieni, te li sei meritati!” aggiunse con un ghigno soddisfatto, porgendomi un mezzo pugno di monete che, volutamente, erano di piccola pezzatura, per illudermi che la cifra fosse superiore rispetto a quella che effettivamente era.
“E questo è un piccolo extra. I clienti sono stati entusiasti e mi hanno riferito che sei andata oltre le loro aspettative, con la tua fichetta… Ah, ah, ah…”
Presi la mancia e la unii al resto dei soldi.
“Però, adesso, devi andarti a confessare. Non voglio che sotto il tetto di casa mia ci sia una peccatrice che non ha ricevuto il perdono di Dio!”
“Vado subito, signore.” risposi sommessamente.
“Brava ma, intanto che ci sei, confessa anche questo.” Al che, mi spinse contro un tavolo, mi fece voltare e mi costrinse ad appoggiare il busto sul piano.
Mi sollevò la sottana, mi allargò le gambe usando i piedi e, senza lasciarmi il tempo di fiatare, con un colpo secco mi sfondò il culo.
Il dolore lancinante mi fece emettere un grido che lui fu svelto a soffocare, tappandomi la bocca con una delle sue tozze e untuose manacce.
Fece i suoi porci comodi scopandomi come una cagna, mentre tentavo di trattenere le lacrime e si faceva sempre più radicata nel mio animo la mia risolutezza di farla finita.
“Datti una pulita!” mi ordinò, lanciandomi uno straccio, “Non vorrai mica presentarti al cospetto del Signore con il culo tutto sborrato…”
Afferrai la pezza di tessuto ed eseguii come un automa, poi uscii svelta e mi diressi verso il centro del villaggio, cercando di evitare le pozzanghere e le merde che incontravo sul cammino.

(parte 1 di 2)
Racconto tratto da "Anima Porcella" di Monica e Manuel Drake ‐ disponibile su Amazon e nelle migliori librerie online.