Leandro
Era una notte buia e tempestosa quando, ascoltando i precipitosi passi della pioggia scalpitare sul selciato e udendo a tratti il respiro del vento ansimante sfiorare la mia finestra, sentii la sua voce. Era ormai una settimana che poltrivo, avviluppato tra le lenzuola, senza decidermi a reagire. “Smettila di vegetare!” aveva esclamato mia madre nelle trecentoquarantacinque sue telefonate durante questi sette giorni ma, accusando forti dolori di cui non conoscevo, né m'andava di conoscere la natura, avevo trovato il modo di tenermi alla larga dall'ufficio. Ero stanco di tutti e di tutto, deciso a chiudermi in me stesso per snobbare l'ipocrisia di coloro che mi circondano; ero deciso a barricarmi tra queste quattro mura e a vivervi il resto di questa dannata esistenza, cercando di frenare i ricordi che lentamente mi affiorano alla mente, ricordi di quella stupida adolescenza trascorsa tra i banchi di scuola, restando al mio posto per compiacere alla rigida disciplina, ma chiudendo per sempre i miei sogni nel cassetto.
“Leandro, vuoi fare lo scrittore?” mi domandavano i falsi amici d'una volta, sghignazzando come ubriachi ed io, inscatolato in questo corpo a velare i miei veri sentimenti, non rispondevo. È destinato forse ad esser calmo chi si chiama Leandro? Eppure non sono mai stato calmo, se non all'apparenza e certo non lo ero quando sentii la sua voce. Smarrito, fissai il ripostiglio, poi la finestra: impressionante la suggestione dello spettacolo pirotecnico che si svolgeva fuori, spettacolo di tuoni e pioggia, sostenuti da un vento incessante.
Leandro! Ecco, il mio nome, pronunciato da una voce familiare, a me nota, ma non poteva essere lei!
M'aveva salvato dall'isolamento ‐ lo so ‐ m'aveva offerto una speranza ed io avevo incominciato a credere di nuovo nella vita. L'ho conosciuta, l'ho amata, ma come ogni speranza è spirata via insieme al vento. La sentivo, era la sua voce, la distinguevo tra la burrasca e diventava sempre più forte...
Leandro! Ancora il mio nome, la mia condanna, il mio atto d'accusa, ma di cos'ero colpevole, io, se non di esser rimasto nell'ombra per tanto tempo? Dopo tanti anni, dopo le false promesse dei falsi amici d'una volta, lei aveva giurato e quel giuramento era valso più di tutto. M'aveva tradito ed io avevo reagito, ma in quella notte buia e tempestosa lei si ripresentava a me, scalpitando di corsa sul selciato ed ansimando con violenza, sino a sfiorare la mia finestra.
Era impossibile! Doveva essere lì, nel ripostiglio, dove l'avevo lasciata. Corsi ad aprirlo: il sacco era lì, il suo braccio pendeva fuori, stillante di sangue...
“Pentiti, Leandro, pentiti! Sei ancora in tempo per salvarti!” mi urlava, e così tutta la notte. Soltanto all'alba è tornata la calma, allora mi son vestito e sono corso qui.
"E questo è tutto?" ‐ chiede il commissario.
"Già" ‐ afferma Leandro, col viso sbattuto: "Però è avvincente la storia del mio riscatto. Ci sarebbe di che trarne un romanzo. E dire che mi credevano pazzo!"