Lettera d'amore di rabbia e di guerra
Ieri non ho potuto incontrarti, ma oggi ho voglia di starti vicino. Anche se non potrò toccarti, perché ognuno distante dall’altro e rinchiusi nel proprio ufficio, vorrei accarezzarti solo con il fruscio delle parole che di questi tempi è tanta roba.
Oggi non ho propria voglia di evadere le pratiche d’ufficio. Non ho propria voglia di lavorare. Ad essere leale devo ammettere che non sono né cattolico e né tanto meno calvinista o protestante. Per cui odio sempre lavorare. Amo come ben sai l’ozio latino. Che non significa essere lavativo o fannullone. Ma abbracciare quella filosofia che ti consente di progredire nella vita di tutti i giorni. Il mio lavoro preferito è leggere, scrivere, giocare indifferentemente a qualsiasi cosa, andare al cinema, al teatro, ascoltare musica, bere vino.. Sono stati almeno 15 giorni infernali lavorati continuamente, sballottato tra comuni e comuni del comprensorio, oggi no. Proprio non mi va. E tutti lo sanno perchè mi presento alquanto lunatico a lavoro per non dire stizzito. Questa maschera ormai mi appartiene ma so benissimo che fa parte del mio gioco e della mia filosofia di vita. “Fare l’indiano per non andare in guerra” . Non ho alcuna intenzione di battere i record io. Per battere chi, poi? Battere me? Oggi mi sono preso del tempo a morsi, capisci? Ed ora c’ho la pancia vuota ma la mente limpida e comunque sia il messaggino che mi hai inviato l’altro ieri “dei complimenti altrui” mi è piaciuto un casino. Una carezza alle mie noie di giornate e alle stanchezze di una vita che a volte non accetti ma ti appartiene.
Non so come accompagnarti lungo questo weekend. Oltre a condividere la stessa e identica routine di casa e di giardino. Proverò a farlo a modo mio. Man mano che scrivo qualcosa penso verrà a galla. Non escrementi spero come quelli descritti l’altro giorno. Ma sento che qualcosa verrà a galla. In superficie, dal mio spirito, tanto per intenderci. Saranno come al solito parole d’amore di rabbia e di guerra…
La mia premura a volte abusa della volontà altrui…Ti scrivo al dire il vero non frequentemente ma aspetto sempre un tuo idillio del domani che si fa preda, ma noto le tue lontane fatiche e il tuo ventre molle che combatte, ogni mattina, una “stupida” guerra. Di luce, di specchio e di consenso. E’ come un bagliore di scie luminose che dal chiassoso cielo stramazza di suoni per terra. E che risale da terra dopo aver decimato il pianeta, terra. Immagini di forme progredite e alquanto mature che si sovrappongono ad un turbinio di sensi. Rubati. Sottratti. E nascosti. Nell’intimità eterna di un’ora. E che disegnano un’altalena di mille emozioni e colori diversi, a volte addolcite dalle consuete presenze, a volte bramanti alla ricerca di un “demone” che si nutre di assenza. Di qualcosa che manca per riempire fino al limite l’orlo di un bicchiere, mai sazio e mai pieno. Mai pago. Per soddisfare il desiderio artefice del gioco che si fa strada e avanza, nell’interstizio del cervello.
Scusa mia adorata baby ma volevo semplicemente dirti che la quotidianità uccide l’essenza di uomo e di donna su questa fracida terra. E che a volte o quasi sempre abbiamo bisogno di fughe in avanti per non finire intrappolati come conigli in gabbia a mangiare erba. Abbiamo nel quotidiano i nostri affetti che ci circondano. Le nostre consuetudini che ci muovono come burattini e ci confondono. I nostri piaceri che sono solo miseri benefici momentanei e fin da subito riluttanti. La nostra benzina e il nostro alcol. Motore a scoppio per il corpo e sale grosso per lo spirito. I nostri desideri che sempre più affievoliscono scontrandosi con la quotidianità del tempo. Lasciamo piccoli spazi alle trasgressioni di giornata che sono solo pensieri e parole. Scritti e risate. Non costano niente e per questo ce ne appropriamo con facilità disarmante.
Come leggi sono un fiume in “pena” stamattina. Quella parola la metto tra virgoletta per segnalarti che non è un errore, ma ch’è giusta e voluta. La “pena” sono le spine che porto dentro la gola e che custodisco gelosamente come archivi d’autore. Tu donna di un fascino ormai divenuto ideale e che mi appartiene e che riempi il bicchiere fino all’orlo di rosso bramare! Sei la spina che rappresenta l’essenza del fiore del male. Sei il mio seme di Bacco. Sei la mia parte di donna che a ben vedere poi ogni uomo senza saperlo porta dentro di se. Mi piace vedermi e di conseguenza vederti giocare a fare l’adulta, saltellando sull’asfalto per strada a raccogliere la pietra sul disegno della “campana”. Io sono il numero “n” che rappresenta l’infinito e l’incognita. Tu sei la deliziosa armonia della vita che procede e avanza. Dentro di me. Fuori di sè.