Lilit ed il coniglio selvatico

Lilit aveva dormito male, ed ora quasi sveglia mentre la luce incerta del mattino rischiarava la stanza disordinata, sentiva crescere in sé l’irritazione, andava puntigliosamente elencando le incombenze che l’attendevano: erano troppe e  molte sarebbero state trascurate, si sentiva sempre più scontenta.
Si alzò indecisa e incrampita come sempre, diede una occhiata distratta fuori della finestra verso la  vecchia palma affollata di nidi: i passeri già litigavano rumorosi con gli storni, tutto normale quindi.
Prima di dedicarsi alla doccia mattutina, con fastidio ravviò i grigi capelli troppo lunghi, andavano tagliati pensò, e l’irritazione crebbe: da tempo prendersi cura di sé era diventato solo un impiccio, un'incombenza in più.
Ancora in accappatoio e rabbrividendo scese in giardino; in casa dormivano tutti e lei sentiva il peso della loro presenza: non dover fare rumore mentre preparava le colazioni, lo yogurt per il figlio, la frutta per la figlia, l’orzo, il caffè.. chi sa se il marito aveva lavorato nel suo studio tutta la notte.. se aveva fumato, se... basta!
Decise di allontanarsi da loro, fuori l’aria era frizzante ed una leggera sbavatura di rosa interrompeva qua e là un cielo scipito su un mare grigio. Era molto che non le capitava di vedere una bella alba accesa, una di quelle albe che si rispettano e si ricordano, di un bel  rosa vivo, pastellato qua e là da leggere nuvole azzurrine, ma il disappunto sparve presto e il pensiero vagò subitaneo oltre, idee ed immagini si affastellavano scombiccherate tra loro.
Questa sensazione di vaghezza, l’affastellarsi di pensieri, immagini e ricordi, da un po’ le capitava sempre più spesso ed  era stancante, cercò quindi di fermare l’attenzione al suo giardino mentre si inerpicava verso la parte più alta del terreno a gradoni; si industriò volenterosa a stabilire a quale dei tanti lavori avrebbe dovuto dare la precedenza, visto che anche lì il disordine  si andava inesorabilmente accumulando insieme a foglie cadute ed erbacce disubbidienti.
Ora il respiro si era fatto affannoso, che fastidio! Era seccante pensò, mentre si sedeva rassegnata  a prendere fiato su una sbilenca panchina di marmo e pietra sotto un ulivo, era seccante non farcela più, doversi sempre riposare, limitare.
Si guardò intorno: dal mare salì fin a lei, filtrata dai mirti e dai lentischi profumati, una lieve brezza salmastra. Fu questo particolare che la fece precipitare nello sconforto più nero mentre lacrime trattenute le appannarono la vista. Provò ad analizzare tra sé  il motivo di tanto irrazionale struggimento, e decise che  le mancava maledettamente il mare, le pesavano i limiti fisici sopraggiunti, disse a se stessa che era il non  non poter nuotare e non poter pescare che  le provocava quella pena sottile.
Si guardò intorno un po’ smarrita, alle sue spalle filtrava tra i rami dei cespugli il sole, vide allora le ragnatele  tessute durante la notte, grondanti gocce di rugiada lucenti come strass, belle! Sorrise anche questa volta allo spettacolo, si riscosse e si avviò decisa verso la parte più alta e solitaria del giardino, chi sa se riusciva a vedere i cuccioli del furetto  si disse. In realtà voleva distrarsi, anche se sapeva bene che il suo dolore più profondo, conosciuto, analizzato e saggiamente accantonato mille e mille volte, non avrebbe trovato pace comunque.
Amara, considerò che il tempo non le era favorevole: troppi anni erano passati, troppe le domande erano rimaste senza senza risposta. Si commiserò, non solo  il tempo trascorso le era nemico, ma anche  l’età anziana, e se c’era davvero qualcosa da sapere, se qualcuno sapeva, di certo era morto ormai, morti erano i suoi, ostinati e ferrei custodi di chi sa quali segreti. Chi mai avrebbe potuto più dipanare i ricordi confusi e sbiaditi di lei bambina? Un salotto, tappezzerie di seta liberty, un pianoforte, il profumo delle rose gialle che si arrampicavano fin quasi al davanzale, uno sgabello di pianoforte... una promessa ed una ragazzina che aveva creduto ed aspettato fiduciosa tanto, troppo tempo.
Di tutto un mondo il cui ricordo lontano le riportava una eco di  gioia, di favole, fiori, fate, risate e tanto amore,  restava ormai solo la certezza che una qualche verità le fosse stata negata, era consapevole  di essere stata privata di un qualcosa  o forse di qualcuno a cui aveva tenuto assai, ma le restava netto come una sciabolata, solo il  sentore di un dolore di bambina, e gli incubi, e i sogni.. che poteva fare? Riprese a piangere, un po’ stupidamente in fondo. Le capitava frequente, se  sola, di autocommiserarsi, piangeva e le pareva come di incanto di essere in un altro tempo, in un altro giardino, dai vialetti ben curati, con i fiori fitti fitti intorno alla grande siepe di mirto a forma di ferro di cavallo, fiori  che  non si potevano raccogliere, mentre non si doveva fare troppo rumore giocando; una grossa fune a fare da altalena tra due ciliegi fioriti, i mandorli, una figura indistinta era lì, un marcantonio di omone che rideva e la faceva girare tenendola in braccio. Dio mio, che nostalgia, che pena! Le venne in soccorso a distoglierla da tanto inutile  affanno  un rumore tra i rami, temette una serpe, invece aguzzando la vista, distinse poco lontano  tra i rami  un giovane coniglio selvatico che la guardava immobile, forse nella speranza di non esser visto. Lei si fermò, tesa nello sforzo di  non spaventarlo. In realtà non era un incontro tanto insolito, il suo giardino era ormai una delle poche oasi di rifugio per piccoli animali selvatici, accerchiati da cacciatori e peggio.L’animaletto, rassicurato dalla sua immobilità, si diresse verso quella che doveva esser la sua tana e lei ne fu sollevata e rallegrata. Sorridendo cominciò la discesa verso casa ed i pensieri neri, i ricordi sfilacciati ed angoscianti erano spariti: il coniglio l’aveva riportata al presente, alla sua vita.
Intanto il sole si era alzato, tutto intorno sapeva di vita in movimento, le auto in lontananza, i cani  verso la macchia, le papere allarmate dal postino, capì che era ora di tornare. Prese la via più lunga per ritardare il ritorno, si fermò a raccoglier certe prugne selvatiche dolcissime che mise nell’orlo dell’accappatoio raccolto a cocca, rubò qualche pallida albicocca precoce da un giovane albero, qualche rachitica  nespola asciugata dal sole.. e fu sulla soglia  dell’ampio soggiorno profumato di caffè: si erano alzati ormai tutti,  marito, figli, gatti. Qualcuno, certo sua figlia, aveva raccolto e messo in vaso le rose, quelle di un assurdo colore evidenziatore definito "moderno" dal suo fornitore, rose strane che la lasciavano sempre un po’ interdetta. Lilit per un attimo si fermò a guardarli: erano  sereni, erano belli, erano tutto. Le tornò la paura, il terrore di perdere anche loro. 
Poi si fece coraggio e sorridente, entrò in casa.