Lo spogliarello dell'anima
Spesso sento un impulso irrefrenabile a scrivere, un’impellenza a svuotarmi dei pensieri che si rincorrono alla rinfusa nella testa. A volte, però, quando accendo il computer eccitata da un’idea, all’improvviso rallento e, di fronte al monitor bianco che mi fissa, mi blocco.
Succede quando mi sforzo di ornare le idee, quando tento di vestirle con parole nuove, di impacchettarle in frasi originali, non consumate. In realtà vorrei semplicemente che i pensieri sgorgassero lì, sul foglio virtuale, che si traducessero senza bisogno di grammatica, struttura e stile, senza inciampare sui tasti e cadere nella convenzione. Vorrei sapermi abbandonare, improvvisare come un musicista jazz impazzito dal ritmo, che cavalca le note senza sapere dove andrà a naufragare. O come un pittore, ipnotizzato dalle tinte surreali che schizzano fuori dal pennello, e che fanno palpitare la tela ad ogni tocco. Ogni volta che comincio a scrivere vorrei liberare un linguaggio carico ma al tempo stesso leggero da far volare. Un orgasmo di parole. Quando scatta la scintilla, all’improvviso decollo, esco dalla palude del foglio bianco e parto. Tutto sta nel cominciare l’avventura senza una meta precisa, cercando di tenere il ritmo dei pensieri, senza pudore e senza timore.
In questo momento, per esempio, mi vengono in mente due cose a proposito dello scrivere e del perché si scrive. La prima è una convinzione e un consiglio di un mio caro Amico, e cioè “se proprio vuoi scrivere cerca di infilare qualche cosa di davvero sorprendente almeno ogni due o tre pagine, qualcosa che spiazzi chi legge, che sconcerti o fulmini, che inviti a riflettere o che diverta pazzescamente! Un aforisma, una frase che basti a se stessa e viva per sempre!” Certo, è uno scherzo per lui che è un maestro di fantasia e immaginazione ma in realtà non è così immediato, almeno per me, e nemmeno così frequente se penso alla quantità enorme di romanzi che spulcio nelle librerie, con la vana speranza di trovarci un arcobaleno al posto del solito bianco e nero.
La seconda cosa che mi balena alla mente me la suggerisce Anais Nin, scrittrice uterina, come le piaceva definirsi. Una volta disse: “Sono i sensi la fonte più ricca della scrittura, e gli strumenti dello scrittore non sono l’inchiostro e la carta ma il suo corpo, la sensibilità dei suoi occhi, delle sue orecchie e del suo cuore. Se sono atrofizzati, non deve più scrivere.” Sono innamorata di questo pensiero. Vorrei saper stringere un nodo tra le sensazioni e le parole e invitare chi legge a ballare con me, a sentire il profumo della pioggia sulla pelle, regalare le carezze delle onde sui piedi, il solletico del sale sulle labbra e vorrei mostrare di quanti rossi diversi può essere fatto un tramonto. Ecco, vorrei essere capace di far viaggiare a cavallo dei miei sensi. Non semplicemente fornire una cronaca di viaggio ma trasmettere energia, esperienza. E per esperienza non intendo i fatti ma le sensazioni innanzitutto. Se poi un giorno riuscissi anche a infilare nei miei racconti peregrini quella “frase geniale” che spiazza e stupisce, bèh allora farei le capriole dalla gioia e diventerei la prima fan di me stessa, se non altro perché una volta tanto sarei io a sorprendere il mio caro Amico filosofo, e non lui me!
Senza pretendere tanto nel frattempo scrivo, perché mi fa bene, sperando non faccia troppo male al lettore di passaggio. Questo mi fa venire in mente come sia più facile scrivere pensando di non essere letti da altri. E’ più facile togliersi la maschera. E’ rassicurante, un invito a spogliarsi di tutto senza imbarazzo e a gustare in silenzio la piacevolezza di restare completamente nudi. Diventa un’esperienza liberatoria, addirittura terapeutica. E’ come “creare un mondo tutto mio, un’atmosfera in cui poter respirare, regnare e ricrearmi”, come diceva Anais, parlando dei suoi diari. Ecco, il Diario è il luogo ideale, l’atmosfera in cui all’anima è concesso di spogliarsi e di guardarsi senza veli allo specchio.
L’esuberanza emotiva dei tredici anni mi aveva spinta a riempire pagine e pagine di diari, convinta fossero uno sfogo naturale dei pensieri e un prezioso ricordo per quando sarei invecchiata. Negli anni mi hanno fatto compagnia Freud e Fromm, Sartre e Camus, Hesse e Kafka. E anche loro sono in qualche modo entrati nei miei diari, contagiando i miei pensieri, perché così come il nostro corpo è fatto di quel che mangiamo, allo stesso modo la nostra mente assimila tutto ciò che leggiamo, anche se prima o poi ci sembra di dimenticare. E purtroppo in parte è così, dimentichiamo, ma resta un’impronta indelebile che scolpisce i nostri pensieri, così come le proteine accrescono i muscoli. Ricordo che più leggevo, più scrivevo e viceversa, senza il rischio di impantanarmi. Quello che rimpiango di allora è la spontaneità, l’onestà della scrittura, come risposta a un istinto primordiale piuttosto che ad una necessità estetica. Non oso pensare a quel che avrei scritto in quegli anni se sotto al banco, al posto di Fromm o Camus, avessi nascosto il Marchese De Sade o Henry Miller!
Ho continuato a raccontare le mie esperienze e i miei panorami emotivi per anni e ora voglio ricominciare a raccogliere i ricordi e condirli dei sapori che col tempo ho imparato ad apprezzare, nutriti da una consapevolezza e una sicurezza in me stessa che non ho mai posseduto prima. Non voglio farmi sfuggire niente, voglio assorbire la realtà con tutto quello che può darmi e trascenderla, andare oltre il ricordo, oltre il presente, impastare le immagini della mia mente con le vibrazioni del mio cuore prima che i miei sensi si atrofizzino e io inaridisca senza avere niente più da dire. E mi riprometto di farlo con la stessa purezza di linguaggio che usavo da giovane, convinta che la semplice spontaneità sia un buon antidoto contro la monotonia e la noia. E semmai mi sentissi smarrita davanti al foglio bianco che mi interroga, cercherò di sorridere e mi prenderò un po’ in giro, ricorrendo all’ironia, filosofia necessaria, come Qualcuno mi ha insegnato, a consolarmi di ciò che non sono e soprattutto di Quello che non ho né mai avrò.
Forse è vero che l’indole non si cambia ma credo possa essere educata. Perciò spero di regalare alla me stessa vecchia un lungo, lunghissimo Diario che comincio da ora. Pagine ricche di passione, di stimoli e di energia che la possano incantare ed emozionare fino all’ultimo sorso, stemperate qua e là da uno spruzzo di buon senso e saggezza che la facciano riflettere su quanto è bella la vita e convincerla che sarebbe stato un delitto rinunciare a raccontarla.
Naturalmente spero possa divertirsi a leggerlo il più tardi possibile!