Lucrezia Borgia
(Subiaco, 18 aprile 1480 ‐ Ferrara, 24 giugno 1519)
Mi aggiro in silenzio nelle stanze dei Musei Vaticani, mirando incantata le opere d'arte in esse contenute. Mi scopro instancabile e insaziabile dinanzi ai dipinti di Raffaello, insignificante sotto la volta della Sistina, stupefatta nel fissare le mummie egizie, fin quando entro nella Torre Borgia, fatta costruire da papa Alessandro VI e mi addentro nelle sale affrescate da Bernardino Betti, il Pinturicchio.
Qui mi soffermo sui volti dove il pittore ha ritratto i componenti della famiglia Borgia. I dipinti sono così belli che rapiscono lo sguardo e quasi mi pare impossibile che quelle figure così candidamente ritratte possano essere i crudeli personaggi che la Storia ci ha tramandato. O, almeno, una parte della Storia.
Chiudo gli occhi e un attimo dopo vedo la santa Caterina che, quasi per magia, si stacca dall'affresco e rimane sospesa a mezz'aria, fluttuando lieve, simile a un sogno. Ci risiamo, penso sgranando gli occhi e fissando la figura davanti a me che, sorridendo affabile, esordisce:
«Lo vuoi proprio sapere?»
Rimango mio malgrado incantata e mi accorgo che la gente che affolla la sala non si rende conto di noi, non ci guarda neppure, come se fossimo due creature invisibili. Lei, Lucrezia adolescente, presa a modello dal Pinturicchio per interpretare la santa, mi sorride e alza il braccio per mostrarmi i suoi familiari.
«Mio padre, Rodrigo Borgia, eletto papa con il nome di Alessandro VI, era un uomo buono, parco, gaudente, sostenuto dalla ferrea Fede che aveva nel Cristo, a dispetto di tutti coloro che lo hanno soprannominato l'Anticristo.»
«In effetti, si concedeva talmente tanta licenza che quando era ancora un giovane vescovo si è beccato un rimprovero dall'allora papa Pio II Piccolomini.»
Lei annuisce e ribatte:
«Era moralità del tempo. Non esisteva uomo di Fede che non fornicasse.»
«Alla stregua di tuo fratello?» domando insinuante.
La vedo scurirsi in volto per una frazione di secondo, quindi recuperare la regalità conseguita per ricoprire il ruolo primario di principessa del Vaticano.
«Mio fratello Cesare era un cardinale allegro, modesto, pieno di vita e i contemporanei possono sottoscrivere.»
«Era il fratello maggiore, vero?»
«Maggiore se parli dei figli che mio padre ha avuto da Vannozza Cattanei: ne ha avuti altri in precedenza da altre donne. Ma sì, Cesare era il maggiore, poi venivano Juan, io e infine Jofre. Quattro, e mio padre ci ha amato tutti, in particolare Juan, destinato alla carriera militare.»
Vedo i suoi occhi brillare mentre parla della sua famiglia e comprendo che il loro sangue valenzano li ha legati indissolubilmente.
«So che ti sei sposata a tredici anni.» rammento, provando a toccare un visitatore per assicurarmi di essere vista, ma costui non mi sente neppure.
«Sì, con Giovanni Sforza, conte di Pesaro e nipote del Moro. Purtroppo era un matrimonio destinato a naufragare per correre dietro ai venti politici.» commenta scuotendo la bellissima testa dai lunghi capelli biondi. «Puoi immaginare cosa significa essere costretta a sciogliere un matrimonio in quell'epoca? Mio padre e mio fratello erano così sicuri del fatto loro che non si sono mai curati dell'infamia che mi gettavano addosso.»
«Come un marchio a fuoco.»
«Proprio così. Quando Giovanni non è stato più utile, mio padre e Cesare si sono guardati intorno per cercarmi un altro degno marito che a loro potesse aprire le porte di altre proficue alleanze. A me non era concesso ribellarmi. Come non mi è stato concesso piangere la morte di mio fratello Juan.»
Sento la sua voce incrinarsi al penoso ricordo e posso solo immaginare il dolore da lei provato.
«Se non rammento male,» mormoro facendo un gesto con la mano, «fu ritrovato accoltellato nel Tevere, nello stesso periodo in cui eri costretta a divorziare.»
Lei china appena la bionda testa e sospira mestamente.
«Fu un momento terribile per me e per tutto il mondo cristiano. Il fatto poi di non aver mai saputo chi avesse osato uccidere il figlio prediletto del papa, lasciò tutti con l'amaro in bocca.»
[lucreziaborgia02] «Si sussurrò che fosse stato Jofre, tuo fratello più piccolo, perché Juan era l'amante di sua moglie.»
«Sciocchezze.» taglia corto con decisione, alzando il mento come una regina. «Noi Borgia siamo stati a lungo infamati da parole che hanno scavalcato i secoli, proferite da persone che ci hanno sempre odiato. Era vero che Juan fosse l'amante di sua moglie, ma Jofre non ha mai ucciso nessuno. Si disse pure che fosse stato Cesare, ma neppure lui avrebbe mai alzato la mano su un congiunto.»
«E chi fu a ucciderlo?» domando incuriosita. «La Storia non ha mai svelato l'arcano.»
«Fai la domanda alla persona sbagliata: io ero chiusa in convento in quel periodo, in attesa del divorzio e pronta a impalmare il secondo marito, il duca di Bisceglie.»
«Indubbio, qualcuno che conosceva bene le sue abitudini lo ha colpito e poi si è ritirato nel buio.» indago pensierosa.
«Sì, e quello che so per certo è che mio padre incolpò gli Orsini, senza, per altro, averne mai le prove.»
«La scomparsa di tuo fratello fu la causa dello spogliamento di Cesare.»
«Ovvio. La nostra famiglia aveva bisogno di un uomo d'arme più che di un uomo di Chiesa e Cesare scese in campo.»
«Una morte quanto mai provvidenziale per l'ambizione del Valentino.» faccio notare.
Lei mi fissa dall'alto in basso, con il distacco dell'essere superiore e ribatte:
«Cosa ne sai tu? La gente dice che uccise il fratello per diventare condottiero; io sostengo che fu costretto a divenire condottiero perché gli avevano ucciso il fratello.»
Con un cenno della testa le concedo il beneficio del dubbio e insinuo:
«Si dice pure che tu abbia avvelenato i tuoi mariti.»
Si mette a ridere di cuore, portando una mano alla bocca ed io rimango incantata dinanzi alla sua bellezza e ai suoi modi gentili, da sempre decantati dai poeti e dalle persone a lei vicine.
«Io non ho mai avvelenato nessuno. Amavo talmente tanto il mio secondo marito che quando Cesare me lo ha ucciso per potermi rendere vedova e donarmi agli Este, sono quasi impazzita dal dolore.»
«Vuoi dire che, nonostante il matrimonio politico, eri innamorata di Alfonso d'Aragona?»
Lei socchiude i magnetici occhi a mandorla e sospira.
«Chi non l'avrebbe amato? Era giovane, bello e gentile e ho pregato per avere una lunga vita insieme a lui. A quanto pare,» aggiunge con tono struggente, «ho pregato la persona sbagliata.»
Vedo una piccola goccia di rugiada bagnare le sue ciglia e commento:
«Allora ricusi l'accusa di avvelenatrice.»
«Così come ricuso tante altre calunnie gettate sul nostro nome.»
«Eppure la gente ci crede.» faccio notare inarcando le sopracciglia.
Lei abbozza un sorriso e volge il chiaro sguardo oltre la finestra, perdendosi in ricordi lontani. Io ne approfitto per provare a toccarla, per vedere se è reale o se è il frutto della mia fantasia e lei mi lascia fare, condiscendente e intimamente divertita. Con timidezza le sfioro la manica a sbuffo e sento sotto i polpastrelli la vellutata morbidezza del broccato e le coste in rilievo ricamate con fili d'oro. L'emozione quasi mi stronca e alzo lo sguardo per guardarla, bellissima e delicata, eterea ed evanescente.
«Mio padre fu troppo buono nel concedere che il popolo, e chi lo sobillava, sparlasse di lui e lo rendesse ridicolo; Cesare, al contrario, puniva persino i pensieri.» mormora.
Esito dinanzi alla sua espressione assorta, come rapita da un vago senso di voluttà e solo dopo un po' le rammento:
«Si dice che tuo fratello fosse un mostro.»
Lei mi fissa e un attimo dopo allunga la mano per scansare una ciocca di capelli che mi era caduta sugli occhi ed io arrossisco come una scolaretta.
«No, non lo era. Era determinato e ispirato da un alto ideale: quello di unire un'Italia lacerata da guerre intestine; e per portare a termine i suoi progetti non si è fermato dinanzi a nulla. Basti dire che mi ha fatto sposare Alfonso d'Este, recalcitrante e inviperito contro la mia persona perché credeva a tutte le malelingue che correvano sulla mia famiglia.»
«Ma poi ha finito con l'amarti.»
China appena la testa e annuisce.
«Sì, si è ricreduto, come tutti, del resto. Ha pianto moltissimo la mia dipartita.»
Colgo quel commento per mormorare insinuante:
[lucrezia1jpg] «Si dice che alla morte del Valentino, il tuo pianto straziante somigliasse a quello di una donna innamorata.»
Lei si gira a guardarmi, raddrizza le spalle e i suoi occhi grigi brillano come diamanti.
«Cesare era l'uomo più seducente e bello del suo tempo. Nessuno poteva avvicinarlo senza cadere nel magnetismo del suo fascino. Persino i suoi condottieri, quando hanno provato a ribellarsi al suo straripante potere, gli sono caduti tra le mani appena li ha richiamati. Era impossibile resistergli. Tutti, prima o poi, si scornavano contro i suoi modi affabili, il suo timbro di voce dolce e sommesso, la sua forza fisica che amava mettere in mostra; prova a chiedere al suo fido Michelotto: si è lasciato torturare pur di non rivelare i suoi segreti. Cesare era una forza della natura e nessuno poteva o riusciva a resistergli.»
«Eppure ti ha ammazzato il marito.» le ricordo.
Lei esita, si tocca la fronte con la mano e sospira, come riportata indietro di secoli, a un periodo buio della sua vita, il periodo indimenticabile di Roma.
«Per un po' l'ho odiato, è vero.» ammette riluttante. «Ma era impossibile odiare a lungo il Valentino: era il mio fratello preferito.» aggiunge con insinuante dolcezza e con sguardo che non ha bisogno di altre parole.
Questa volta chino io la testa, accettando la sua mezza risposta e m'informo:
«Come ti sei trovata lontana da Roma?»
Sospira malinconica e chiude un attimo gli occhi, quindi risponde:
«Roma era tutto per me: era il bene e il male, era la felicità e il dolore, era la gioventù e l'irresponsabilità. Io ho amato oltremodo Roma e quando l'ho lasciata, costretta a trasferirmi a Ferrara, ho pianto a lungo. Tu hai mai lasciato l'Urbe?» indaga fissandomi dritto negli occhi.
«Solo il tempo strettamente necessario per andare in vacanza.» ammetto sorridendo.
«Io l'ho lasciata per sempre e quel vuoto non si è mai colmato.»
«Eppure a Ferrara,» ribatto, «alla fine ti sei trovata bene; tuo marito, dapprima riluttante, alla fine ti ha amato e ha pianto la tua morte, così come i ferraresi. Sei rimasta nei loro cuori.»
[Immagine1] «Sì, è vero, nondimeno ho dovuto faticare non poco per sopire i malanimi. Ero vista come una strega, come una donna dissoluta e dai facili costumi. Nulla di tutto ciò, anche se a tutt’oggi lo si crede. Pensa un po',» aggiunge con aria birichina, «quando sono morta, di parto, hanno finalmente scoperto che portavo il cilicio. No,» conclude con un sorriso dolce, «non sono mai stata il mostro che mi si dipinge, tanto meno lo è stato Cesare. La nostra unica colpa, semmai, è stata quella di essere una famiglia di umili origini che vantava due papi e che ha travolto nomi altisonanti come gli Orsini, i Colonna, i Savelli, gli Aragona, gli Sforza, i Malatesta, i Baglioni e tanti altri. Di nemici ne abbiamo avuti molti, a partire dal re di Francia ai reali Cattolici di Spagna, ma abbiamo avuto anche tanti ammiratori, quali il Machiavelli, Leonardo da Vinci, il Bramante, il Bembo, il Sangallo, i Medici e, soprattutto, il popolo.»
«Non è poco.»
«No, non è poco.»
Ci guardiamo per un lungo attimo, con la connivenza di due donne che si conoscono da una intera esistenza e la vedo sorridere un attimo prima di sfiorarmi la fronte con un bacio materno.
Rimango esterrefatta, rapita dal suo fascino malinconico e un nodo mi chiude la gola quando riprende il suo posto nel dipinto, immobile dinanzi alla figura di suo fratello Cesare.