Lungomare
Il vecchio scrutava, pipa in bocca, l’orizzonte marino. Un vento di grecale gli attraversava la sua faccia a sinistra, portando con sé innocue nuvole. Glielo avevano insegnato sin da bambino: il grecale non porta pioggia, solo un po’ di freddo. I gabbiani stridevano la loro voce nell’aria cercando di lottare disperatamente controvento. Il mare cominciava ad assumere quella caratteristica forma di increspato, di un colore verde intenso, quel colore con cui tutti immaginano il mare in inverno.
Si era ritrovato sul lungomare senza un apparente perché. Non aveva niente da fare quel giorno e perciò aveva pensato che quello fosse un modo come un altro di riempire quelle ore vuote che lo attendevano. Così, appoggiato al parapetto, continuava a scrutare alla ricerca di un segno, di un qualcosa che rompesse l’equilibrio di quel verde e dell’orizzonte blu scuro. Neanche una barca si vedeva. O perlomeno non quelle che lui definiva barche che consistevano poi in piccole imbarcazioni a vela o rustici pescherecci che portavano ogni mattina e ogni notte centinaia di pescatori nel bel mezzo del loro “habitat di lavoro”. Quelle barche ultramoderne e spaziose, con quei colori chiari metallici erano piuttosto (o almeno lui le considerava come tali) degli intrusi del mare. Delle novità non richieste. ‐ “Ecco cosa deve aver provato l’indios americano il 14 ottobre 1492” ‐ si trovava sovente a pensare. Tre imbarcazioni piene di diavolerie d’ogni sorta che avrebbero turbato per sempre l’equilibrio e la vita del loro popolo. E lo stesso accadeva per il mare. Solo che alle volte il mare si era ribellato con conseguenze assai spiacevoli per questi invasori, buttando alla deriva e strappando gli ormeggi di barche ritenute “capolavori dell’ingegneristica”.
Si spostò di qualche metro più in la, per cercare di vedere il paesaggio marino nascosto dallo stabilimento balneare che d’inverno assumeva la forma di una casa fantasma tutta diroccata. Se non fosse stato per le reti e i remi appoggiati sulla terrazza si sarebbe detta abbandonata da sempre. Sputò per terra e riprese a fumare con evidente piacere la sua vecchia pipa. Ogni boccata sembrava avesse il potere di ripararlo dal freddo. Il grecale ora soffiava con maggiore forza. Si tirò su il colle del maglioncino blu notte. Non che il freddo lo spaventasse. Ne aveva patito così tanto da giovane che ora le sue ossa, le sue labbra e il suo viso erano entrati in simbiosi con lui. Un dono gentilmente offerto dal suo lavoro.
Gli si avvicinò e cominciò anch’egli scrutare il mare.
‐ “Se non cala il vento stanotte la vedo dura” ‐ .
Lo guardò di sfuggita e assentì.
‐“Maledetto tempo. Alla domenica non si muove mai una foglia, in settimana decide di farci ballare a tutti quanti” ‐ e sospirò amaro.
‐“Come è andata ieri?” gli chiese.
L’altro riprese: ‐ “Uno schifo. Non so neanche come farò a ritornarci stasera. Non appena trovavi il posto buono quelle onde del cavolo facevano rollare il tutto. Addio stabilità e addio tutto. Ad un certo punto ho pensato che non sarei più tornato neanche a riva. Ho avuto paura. Brutto segno, brutto segno”. ‐ “Era la prima volta?” ‐.
‐ “Giuro, la prima e spero anche l’ultima. Se cominci ad avere paura di non rivedere la terraferma è meglio cambiare lavoro. Manco ci devi pensare alla terraferma la in mezzo”‐ e indicò con un cenno il mare.
Poi proseguì: ‐“A te è mai capitato?”‐ .
Il vecchio lo guardò con un sorriso: ‐“Può darsi. Non ci giurerei però; gli anni passano, la memoria svanisce e i ricordi delle paure sono i primi che se ne vanno”‐.
Accese una sigaretta e si aggiustò il berretto in testa. Aveva dormito solo poche ore e il rumore del vento che sentiva mentre era sdraiato sul suo letto, invece di invitarlo a dormire lo convinse ad uscire di casa. Magari di pomeriggio avrebbe cercato di riposare un po’ prima di uscire nuovamente. Altrimenti, sicuro, non avrebbe retto la notte.
‐“Si sa niente di ***?”‐ domandò, così, d’istinto. Il vecchio continuava a fissare il mare.
‐ “Nulla”‐.
‐ “Per me quello ha salutato tutti e ora chissà dov’è. Lo diceva che un giorno avrebbe mollato il mare per i campi. Alla fine lo ha fatto. Era sempre stato un suo chiodo” ‐.
Il vecchio non rispose.
‐ “Però è un peccato. Conosceva il mestiere meglio di tutti. Gli avevi insegnato bene. Peccato quel chiodo di idea. Cosa ci troverà la gente nella terra…” ‐.
Il grecale soffiava ora impetuoso.
–“Maledetto vento. Ci manca solo la pioggia ora”‐.
‐ “Non ne porta, non ne ha mai portata”‐ ribattè subito il vecchio.
‐ “Sarà, ma giuro che se piove io stasera salto; vado alla taverna e mi rinchiudo. Cerco di rifarmi di domenica; maledetto baro!”‐ e sorrise con rabbia.
‐ “E’ tempo di andare ora va, a presto. Ci vieni tu da ### domenica?”‐.
‐“Non so, farò sapere”‐.
Il mare continuava ad incresparsi sempre più. Ora i gabbiani sembravano in piena balia del vento; forse avevano deciso di lasciarsi trasportare e punto. Pensò a ***: chissà cosa stava facendo, se stava facendo. Sperava che dovunque fosse stato, quel maledetto grecale gli avrebbe dato una tregua almeno a lui. Ora che si era autoesiliato dal mare. Che aveva perso il suo essere. Il mare ora era in burrasca.