Madame du Barry detta l'Angelo
I racconti di Versailles ‐ N. 2
Luigi XV, detto il Beneamato, non si era mai posto il problema di cosa fosse nella sua essenza la regalità, viveva nella certezza che il sovrano fosse un essere superiore e del tutto diverso dai comuni mortali, come i suoi precettori gli avevano inculcato. Asceso all’età di cinque anni al trono di Francia, si sentiva investito da Dio per elezione con la missione di difendere la religione cattolica. Credendosi una emanazione della divina provvidenza fu sempre sicuro che il padreterno non lo avrebbe mai punito, fossero pure i suoi peccati gravissimi. Senza preoccuparsene, dunque, tutta la vita si crogiolò nella tentazione. A sessant’anni aveva già regnato per più di mezzo secolo ma, indolente e poco amante del mestiere di re, lo aveva fatto delegando ad altri gli spinosi affari della politica per dedicarsi a ciò che gli premeva: le donne belle, la buona tavola e la caccia al cervo.
Come marito e come padre il Beneamato non si era impegnato molto, così non si impegnò come nonno. Suo nipote, il futuro Luigi XVI, evitava di incontrarlo perché ne aveva soggezione ma, pur credendolo un eletto, in fondo biasimava la sua esistenza libertina. Lo stesso faceva sua moglie Maria Antonietta che, appena arrivata a Versailles, era rimasta fortemente scioccata dall’incontro con la sua favorita, Madame du Barry.
Al tempo in cui il delfino Luigi Augusto festeggiava le nozze con l’ arciduchessa Antonietta, una quarantina di membri della famiglia reale si erano riuniti per cenare nel grazioso castello di La Muette, situato nel Bois de Boulogne. Tra gli invitati Maria Antonietta era stata colpita dall’avvenenza di una donna alta, dallo sguardo tenero incorniciato di riccioli color grano, dal seno candido e prorompente evidenziato da un abito sontuoso. Invidiandone l’ eccezionale bellezza si domandò perché nessuno si fosse preoccupato di presentargliela.
‐ Chi è quella signora? – chiese a Madame de Noailles, sua dama di compagnia.
‐ Madame su Barry è incaricata di far divertire il re… – rispose l’altra a metà tra l’ imbarazzo e il disappunto.
‐ Che bella occupazione! Vorrei essere al posto suo – ciarlò la ragazzina.
Madame de Noailles alzò un ciglio:
‐ Cosa ? Maestà, sapete quel che dite?
Maria Antonietta, dopo un attimo di esitazione, all’improvviso capì che si trattava dell’amante ufficiale del nonno. Non lo avrebbe detto in quel luogo e in quella occasione: pensò che doveva avere un grande ascendente sul re visto che le era permesso, malgrado facesse scandalo, sedere a tavola con tutta la crema dell’aristocratica parentela e degli ospiti illustri. Com’era bella quella donna! Com’era sfrontata, com’ era potente senza titolo alcuno. Da quel momento la delfina entrò in competizione con lei dichiarandole guerra. La detestava perché di fronte a quel fascino primitivo e sensuale, persino il lignaggio veniva sminuito e per una futura regina, titolo a cui Maria Antonietta aspirava, questo rappresentava una minaccia, tanto più grande quando scoprì che la du Barry veniva dai bassifondi, come in seguito seppe dalle zie che la odiavano senza pudore.
Era il 1768. Sulla soglia dei sessant’anni, il sovrano si ammalò di depressione per la scomparsa di madame Pompadour, sua amante per un ventennio e stimata consigliera. La dolorosa perdita si sommava inoltre a gravi lutti familiari: a distanza ravvicinata gli erano mancati la figlia, il figlio e il nipote delfino. L’interesse del re per la vita sembrò essersene andato, la cattiva salute della regina peggiorò la situazione. Ma inspiegabilmente, proprio negli ultimi mesi della malattia della moglie, Luigi XV di colpo era sembrato risorgere. Non si trattava però di un miracolo: presto si scoprì che la guarigione si doveva a l’Ange, cioè all’ “Angelo”, come era chiamata Jeanne Béçu, una signorina molto nota negli ambienti più libertini di Parigi.
Luigi XV l’aveva incontrata durante una delle solite uscite di palazzo.
La carrozza reale attraversava due ali di folla quando una giovanetta procace, vestita in maniera vistosa, ritta sul suo percorso, si era lanciata verso di lui tentando di prendergli la mano:
‐ Maestà, vi adoro… – e liberò da nastri e spilloni, con gesto inconsueto e trasgressivo, la sua chioma di seta.
Sedotto da tanta leggiadria, il vecchio sovrano aveva sorriso e in seguito si era affrettato a domandare chi fosse a Le Bel, il valletto di camera che con lei aveva scambiato due parole.
‐ Si chiama Jeanne – aveva risposto Le Bel ‐ ma per tutti è l’Ange… giovane signora che ha contratto un matrimonio in bianco.
Sul volto del re apparve un sorriso molto soddisfatto:
‐ E’ il caso che io la conosca, Le Bel, datti da fare per portarla a corte.
Ciò che Luigi XV non sapeva era che l’Ange era una prostituta che con le sue arti aveva convinto lo stesso valletto affinché la ponesse bene in vista sul percorso regale, facendolo contravvenire con grande rischio alla norma che ne vietava l’ accesso alle cortigiane professioniste.
La vita di Jeanne era stata avventurosa: nata nel 1743 a Vaucouleurs da un frate francescano, chiamato fratello Ange, e da una donna di umili origini, cresciuta a Parigi, aveva ricevuto un minimo di educazione nel convento delle Adoratrici del Sacro Cuore di Gesù. A quindici anni, tornata in famiglia, le era toccato pensare al proprio mantenimento. Sua madre, sarta e cuoca, spesso aveva contato sulla generosità di amanti occasionali e d’istinto Jeanne la prese ad esempio. Domestica prima, commessa poi in un negozio di moda, quindi aiuto parrucchiera, si era data senza risparmiarsi a numerosi ammiratori ma, a causa di un’ avvenenza folgorante unita alla fragilità di donna sola, spesso era finita nei guai. Ambiva come tutti a una vita piacevole, a indossare bei vestiti, a possedere gioielli. Era disposta a investire molto: suo capitale una grande sensualità che voleva far fruttare. Quando a ventuno anni conobbe il sedicente conte Jean Baptiste du Barry pensò che questo avventuriero scaltro le sarebbe stato di aiuto. Divenne sua amante e di li a poco lui fece di Jeanne quella che oggi chiameremmo “una squillo di alto bordo”.
Jean Baptiste du Barry discendeva da una famiglia di notabili provinciali che possedevano a Levignac sulla Save alcuni appezzamenti di terreno. A Tolosa, dopo aver cercato di farsi strada come avvocato sposando una moglie ad hoc, si era ricoperto di debiti rischiando la rovina. Megalomane e ambizioso, aveva cercato la rivincita nella grande capitale dove trasformò il suo amore per la dissolutezza in una redditizia professione. Energico, temerario sino alla violenza e alla sopraffazione, possedeva ciò che anche oggi distingue molti uomini di potere: il gusto della provocazione fine a se stessa e un’assoluta mancanza di scrupoli. Lo chiamavano roué, ruotato, meritevole cioè del supplizio della ruota, come Filippo d’Orleans definiva i compagni di bagordi. Con il danaro si permetteva una vita da gran signore: nella sua fastosa casa attirava libertini, scrittori di successo, curiosi. In compagnia delle giovanissime e graziose protette frequentava i luoghi alla moda ma, pur vendendo bene i favori delle fanciulle, era ancora in attesa dell’occasione che avrebbe definitivamente cambiato la sua vita.
Questa occasione gliela offrì l’Ange.
Incontratala nel 1764, il sedicente conte capì subito come possedesse qualità eccezionali, dovute non solo alla bellezza. La portò a vivere con sé, guidò il suo tirocinio erotico. Quando arrivarono i clienti fu un successo tale che l’ispettore di polizia Mathieu Marais, il 27 settembre 1765, classificò come “esistenza infame” il numero quotidiano di appuntamenti con uomini di tutte le età. L’Ange, mise a verbale Marais scandalizzato, veniva “affittata a chiunque purché nobile e facoltoso”.
Tra i tanti signori a cui era stata offerta, c’era anche il duca di Richelieu. Costui, grande gaudente e libertino, apprezzava molto i favori sessuali dell’Angelo e dopo l’amore qualche volta si fermava da du Barry a cenare. Una sera, nel salotto ricco di broccati, alla fine di un pasticcio di selvaggina generosamente accompagnato da un vino delle Borgogna, Richelieu sciolse la lingua con più convinzione e allegria del solito:
‐ Sapeste… sua maestà si sta spegnendo, pensare che era un tombeur des femmes! Tutti si danno da fare per trovargli una sostituta della Pompadour, ma finora non c’è riuscito nessuno… farebbe un bel colpo chi potesse…
‐ E perché pensate abbiano fallito? – chiese du Barry
‐ Ci vuole carne fresca e di prima scelta. Con l’età il re è diventato molto esigente! – rise allusivo Richelieu.
Il ruotato si accodò, ma non osò confessare l’intuizione che improvvisa lo aveva folgorato: Jeanne era l’amante perfetta da proporre a Luigi XV! Il giorno dopo era già corso a cercare l’ onnipotente valletto di sua Maestà.
La sera che Jeanne Bécu fu introdotta alla presenza del re indossava una veste immacolata, elegante e virginale, adatta alla parte di “sposa in bianco”. Si era lavata con molta acqua calda e il suo sesso aveva ricevuto il battesimo d’ambra, quel rito di profumazione per cui era famosa. Al tempo in cui gli aristocratici si pulivano pochissimo, pisciavano a ogni angolo della reggia, indossavano parrucche intrise di sudore, Jeanne si lasciava dietro una scia di primavera, si muoveva con passi seducenti, avviluppava nelle sue spire amorose. Luigi XV, malgrado la vita da gaudente e le molte esperienze amatorie, non aveva mai conosciuto un’autentica professionista. Nemmeno al Parco dei cervi, ritiro di Versailles dove aveva messo al mondo una dozzina di bastardi, gli era capitato di provare ciò che sperimentò quella notte. Jeanne Beçu, istruita dal du Barry e per nulla intimidita dal regale cliente che sentiva disarmato nella nudità, compì il suo capolavoro.
Alcuni giorni dopo passeggiando per il parco con il bigotto duca di Noailles il re confidò estatico:
‐ Quella donna possiede l’arte di rianimare i miei desideri.
‐ Sua Maestà non è mai stato in un bordello – rispose con sincerità il duca.
Ma Luigi XV, trasognato e con la mente altrove, non afferrò.
Il monarca e l’Ange si incontrarono ancora e poi ancora e presto divenne chiaro a tutti che la loro frequentazione stava passando da saltuaria a stabile. Preoccupato per lo scandalo che ne sarebbe derivato, assalito dai rimorsi, Le Bel decise, non senza angoscia, di rivelare al re la verità. Con pazienza lo sorvegliò dall’ occhio di bue, sala attigua a quella del sovrano così chiamata per la finestra tonda, dove i visitatori illanguidivano lusingati di fare anticamera per ore sotto una volta di stucchi e putti d’oro. Nel momento in cui fu solo, fattosi coraggio, il valletto chiese di parlargli. Il Beneamato , stupito e temendo noie, lo guardò diffidente.
‐ E’ per via di madame… ‐ lasciò cadere Le Bel.
‐ Madame?
‐ Maestà perdonatemi…
‐ Dimmi Le Bel…
L’altro deglutì sibilando:
‐ Si dice che Madame abbia avuto molti amanti, addirittura che sia una professionista…
Attimi di panico e silenzio.
‐ E chi lo dice?
‐ Tutti… la corte, Maestà… il passato di madame…
Il sovrano lo bloccò:
‐ Quale passato? Il passato non esiste…
‐ Maestà…
‐ Chi ti dice che non siano panzane?
‐ L’intera Parigi è testimone…
A quelle parole il re si adirò davvero:
‐ Calunnie! Non ci credo… se anche fosse non me ne importa!
‐ Maestà…
‐ Lasciatemi in pace!
‐ Maestà…
‐ Vattene! Voglio stare solo…
Superati lo sconcerto e il dolore, l’ansia per un problema che non si era posto e che non voleva sentirsi porre, Luigi XV si ritirò nelle sue stanze rifiutando di incontrare chicchessia, ma dopo qualche giorno capì con disperazione che a Jeanne Béçu mai avrebbe rinunciato, fosse pure uscita da un bordello. Quella donna era l’ emanazione giovane delle sue vecchie carni: un fiore da non recidere! Col tempo, però, maturò l’idea che le offese alla morale non dovevano essere sottovalutate perché alla lunga avrebbero minato il suo potere divino e, proprio per vivere quella relazione in libertà, stabili di far qualcosa per salvare l’onore e per zittire cortigiani e sudditi.
Fu Jean Baptiste du Barry a trovargli la soluzione, un escamotage soddisfacente per il reciproco tornaconto. Nell’impossibilità di sposare Jeanne lui stesso, in cambio di una lauta ricompensa propose un matrimonio di facciata con il proprio fratello scapolo, e poiché la famiglia du Barry millantava titoli nobiliari Jeanne sarebbe divenuta contessa e le sorelle del du Barry sue dame di compagnie. Il ruotato trafficò con così pochi scrupoli e tanta abilità che quando ritornò a Levignac sulla Save, il paese natio della Guascogna disteso accanto a un corso d’acqua, lo fece dotato di un capitale invidiabile e della promozione a Conte dell’isola di Jourdain.
L’Ange nell’autunno del 1768 si trasferì definitivamente a Versailles dove divenne la contessa du Barry. Luigi XV, mai largo di manica con le favorite precedenti, per assecondare i suoi desideri attinse alle casse dell’erario come fossero senza fondo: nei cinque anni che li videro insieme il sovrano le regalò vestiti, gioielli, residenze lussuose. Anche se Madame du Barry, istintiva, generosa e semplice, unica a trattare la servitù con cameratismo, all’inizio si sistemò volentieri col piccolo seguito nell’appartamento lasciato libero da Le Bel. Il povero valletto, infatti, poco tempo prima, era morto a causa di una crisi epatica. A Versailles si malignava che se ne fosse andato per il dispiacere di aver contribuito alla disfatta morale del suo signore, per non essere riuscito a impedirgli di esporsi al ridicolo della corte e alla perdita di stima dei sudditi.
Erano infatti molti i denigratori dell’Ange. Il duca di Choiseul primo tra questi: aizzato dalla sorella, livida per aver visto sfumare la possibilità di diventare a sua volta favorita, le fece una tale guerra che gli costò l’esilio. Madame du Barry non si curava troppo delle maldicenze, grata del potere che aveva ricevuto partecipando alle nozze dei tre nipoti del re. Girava per il Trianon con abiti che fluttuavano sulle sue forme armoniose: una moda nuova e un modo per restituire al sovrano il giusto lustro. Via stecche e panier, via ogni forma di trucco, annodati con nonchalance i riccioli biondi, l’Ange era splendida!
La stella di madame du Barry declinò il giorno che Luigi XV scomparve. Dopo la sua morte, Luigi XVI con una lettera le ordinava il confino a molte miglia da Parigi, nel monastero di Pont aux Dames. Partì piangendo in una fredda alba primaverile e la sera si ritrovò nella cella lugubre di un edificio in rovina. Difficile prova, giorni interminabili e senza futuro, ma col tempo si fece benvolere dalle suore e in capo a un anno il principe di Ligne, uno dei più grandi signori dell’epoca, mosso a pietà, si decise a chiedere udienza a Maria Antonietta:
‐ Madame – disse dopo un profondo inchino – Iddio vi ricompenserà per la vostra indulgenza… permettete che Madame du Barry ritorni a essere libera.
‐ Signore come potete chiedermi questo?
‐ Madame, lassù la carità è riconosciuta…. – e guardò il cielo ‐ non dubito che voi siate caritatevole…
Il labbro inferiore della regina fremette, sul volto un’ombra sprezzante e un lungo silenzio. Pensò alla rivale come a un idolo infranto. Deglutì.
‐ E va bene, purché abiti a non meno di dieci miglia da Parigi e da Versailles…
La nuova residenza di Madame du Barry fu il castello di Louveciennes, regalo del defunto re di Francia arredato da lei con stile personale. A soli trentatre anni, bellissima, di nuovo in possesso di ricchezze notevoli, non volle cercarsi un marito. Divenne seguace delle idee di Jean Jacques Rousseau scoprendo le gioie della natura, passeggiando nel parco all’inglese, godendosi i quadri, i mobili e gli oggetti preziosi, ricevendo la crema della società, partecipando alla vita di Louveciennes e facendo molta carità ai suoi paesani. Ma nel 1789 neanche quel ritiro di campagna si salvò dalla tempesta della rivoluzione. In quel periodo Madame du Barry con generosità e coraggio aiutò gli amici nascondendoli nella sua residenza e riallacciò i rapporti con la famiglia reale, superando l’ antica asprezza e prodigandosi per loro. Nel 1791, dopo un malaugurato furto di diamanti preziosissimi, dovette recarsi più volte a Londra per recuperarli. I suoi viaggi insospettirono le autorità francesi e al ritorno di uno di questi fu arrestata e imprigionata alla Conciergerie dove subì un processo. Testimoni d’accusa non pochi ingrati abitanti di Louveciennes e la servitù che pure aveva beneficiato della sua generosità. I suoi concittadini, gli amici e i conoscenti, le rivolgevano sguardi inquisitori, perversi e ottusi, mentre Fouquier‐Tinville, implacabile accusa agli ordini del comitato di salute pubblica durante il Terrore, camminando avanti e indietro sottolineava la requisitoria con enfasi ieratica: ‐ Colpendo una Messalina colpevole di cospirazione contro la patria, non soltanto vendicherete la repubblica delle sue offese!... ma sradicherete uno scandalo pubblico e affermerete il dominio della morale!...
Povera madame du Barry! Quando la condussero al patibolo pareva un vitello al mattatoio: urlò, pianse, stracciandosi le vesti implorò clemenza. La folla si commosse. Il boia, toccato nel profondo, si affrettò a concluderne il supplizio. Stessa sorte toccò al vecchio pigmalione: era un freddo giorno di gennaio del 1794 quando Jean Baptiste du Barry pose il capo sul ceppo e incrociando con lo sguardo il cielo livido si sentì trafiggere dall’inutilità della posta per cui aveva tanto combattuto.