Maria Antonietta la diva
Parigi, Porta della Conferenza, 8 giugno 1773, ore 11.30: la prima carrozza, proveniente dalla strada di Versailles, sollevò grida di giubilo quando apparve. Un fremito scosse Brissac, governatore della città, Michodière, comandante della gendarmeria, Sartine, responsabile dell’ordine pubblico. L’orchestra iniziò ad accordare gli strumenti. Fu detto ai trombettieri di squillare. Nello stesso istante il cannone degli Invalidi sparò un colpo di saluto, così dall’Hotel de Ville, così dalla Bastiglia. Man mano le salve tuonavano, una nube di fumo offuscò il cielo terso. Lucide e nere, con il giglio dei borboni in oro, trainate da eleganti puledri, sei vetture entrarono in piazza. Dalla folla il mormorio sfociò in applauso e i parigini si spinsero verso il corteo ricacciati indietro dalla guardia a cavallo. ‐ Non puoi stare qui! – urlò un gendarme a una venditrice ambulante.
‐ Non sto vendendo niente!
‐ Fa lo stesso, vai via!
La donna, con in spalla una brocca di stagno, si allontanò rimanendo a guardare. Slungò il collo tra la marea di teste e vide il maresciallo Brissac genuflettersi e porgere al delfino le chiavi della città, poi Michodière pronunciare un discorso tra applausi e fischi. Infine Maria Antonietta, la sola di cui fosse curiosa.
‐ Brutta non lo è… vero? – chiese a una vicina
‐ Bellissima, direi!
Esaminavano la diciassettenne bionda, proporzionata, sorridente e un po’ slavata, che l’illusione ottica della regalità promuoveva a diva.
‐ Altezza, fateci un bambino! – osò una pescivendola, sommersa da schiamazzi e risate perché tutti erano al corrente delle difficoltà sessuali del futuro re. Poi tra la folla circolarono fogli con canzoni per la “gioiosa entrata” e un gruppo le intonò spronando la venditrice a cantare.
‐ Non sono capace – si sottrasse lei cercando un varco.
Si chiamava Caroline Chevrier, vedova di Jean‐Baptiste morto nella calca di Rue Royale, sprofondato nei lavori in corso la notte del 30 maggio 1770, quando Parigi assisteva ai fuochi d’artificio per le nozze dei delfini. Di suo marito, negli archivi, si conservano queste annotazioni: Jean‐Baptiste Chevrier 21 anni/ attrezzista teatrale di Chorier via Galand/ riconosciuto da suo padre/ abiti. veste. calzoni. stoffa di cotone/ spada blu e grigia/bottoni in riga/basco di lana nero/camicia a collo di basino/1 vecchio fazzoletto con le iniziali/1 collare di cane e un guinzaglio/un bastone di canna.
Sposati e con due bambini, lei e Jean Baptiste si avviavano a una vita rispettabile e agiata ma la morte del marito l’aveva gettata sul lastrico. L’ obolo dei Delfini era svanito subito e per sopravvivere si era inventata un lavoro: vendeva alle pasticcerie dolci fatti in casa e, in occasioni come quella, brioches, caffellatte a due soldi la tazza, tisane medicamentose. La Francia pre‐rivoluzionaria, poverissima rispetto a oggi, non conosceva però le grandi carestie e il modo di sbarcare il lunario, faticosamente, si rimediava. Andava crescendo semmai un’insoddisfazione diffusa per l’ inferiorità sociale e la percezione che qualcosa di sbagliato ci fosse in chi vantava una superiorità divina. Caroline Chevrier, che frequentava per lavoro i caffè intellettuali, aveva orecchiato gli enciclopedisti e sentito predicare l’ uguaglianza: non ci aveva capito molto, né aveva letto niente essendo analfabeta, ma qualcosa si era sedimentato in lei e senza accorgersene, tornando
a vendere, pensò che dei Delfini non le importava scoprendosi poco riconoscente per la loro elemosina.
L’ingresso a Parigi dei futuri sovrani avrebbe dovuto verificarsi dopo le nozze ma l’avvenimento era stato rinviato per il lutto degli oltre 130 morti durante i fuochi d’artificio. Inoltre le signore zie e Luigi XV, gelosi che i nipoti fossero applauditi mentre a loro non accadeva più, erano stati lieti di negare il permesso. Maria Antonietta, ansiosa di vedere la città, avrebbe voluto visitarla in incognito e già sognava di passeggiare a cavallo per i boulevards quando zia Adelaide si era intromessa per accompagnarla con la dama di corte. In casi come quello, il cerimoniale voleva che la Delfina escludesse la propria dama, cosa non facile essendo figlia di “madame l’Etiquette”: Anne Claude Laurence contessa di Noailles, gran maestra della casa e sacerdotessa dell’etichetta, creò tante difficoltà che l’idea fu presto abbandonata. Quel momento era adesso arrivato: Luigi e Maria Antonietta guardavano sorpresi e inorgogliti migliaia di persone festanti che sovrastavano l’orchestra al grido di “Viva il Delfino! Viva la Delfina!”. Non ricordavano una folla così in vita loro: facce sorridenti, emaciate, sdentate, paffute, sfregiate dal vaiolo, con cappelli, parrucche, bandane, donne, uomini, vecchi, bambini, tumultuavano intorno alla carrozza mentre lasciavano Porta della Conferenza in direzione del Lungosenna Conti. Dopo aver assistito alla messa nella cattedrale di Notre Dame, essersi fermati a Sainte‐Geneviève davanti alla Patrona di Parigi, raggiunsero il Collège Louis le Grand, dove avevano studiato anche Diderot e Voltaire. Furono accolti con un saluto aulico e forbito. Il rettore, davanti alla platea universitaria, elogiò l’attività didattica e gli allievi. Il volto di un promettente quindicenne lo ispirò a sottolineare: ‐ Ecco un futuro avvocato per il regno di sua maestà. Era un provinciale di Arras, occhi grandi, accesi, sotto un’ aureola di capelli crespi, si inchinò profondamente: ‐ Maximilien de Robespierre… per servirvi… ‐ e resse il loro sguardo senza tradire emozioni. Più tardi l’affollatissimo pranzo in pubblico alle Tuileries, dove Maria Antonietta e Luigi si spinsero a passeggiare per i giardini, accerchiati da scalmanati e supplicanti che impedirono di muoversi per tre quarti d’ora. Le guardie si videro costrette ad avanzare con la frusta e la spada. ‐ Assolutamente no! – gridò Luigi, sentendosi qualcuno per la prima volta e questa mitezza fece il miracolo perché non ci furono, come d’abitudine, né morti né feriti. Sulla terrazza che dominava il raduno, il governatore Brissac esclamò: ‐ Madame, senza pregiudizio per Monsignore, qui avete duecentomila innamorati! Mai si era vista una valanga di persone così sterminata e appassionata inneggiare una regina futura. Tornarono a Versailles frastornati e a lungo ripensarono a quel giorno. Dal suo castello fuori dalla realtà, lontana dai problemi veri, il 14 luglio, Maria Antonietta scrisse in una lettera alla madre: Non dimenticherò mai quanto accaduto martedì scorso. Abbiamo fatto il nostro ingresso a Parigi. Riguardo agli onori, abbiamo ricevuto il meglio che si possa immaginare. Ma non è questo, benché importante, ciò che più mi ha colpita, bensì la tenerezza e l’affetto di questo povero popolo che, malgrado le tasse di cui è gravato, vedendoci si è fatto trasportare da una grande gioia.
‐ Vostra maestà è molto amato dai Parigini, visto come ci hanno festeggiato! ‐ la Delfina guardò compiaciuta Luigi XV che alzò le sopracciglia soddisfatto.
‐ Il merito è vostro…
‐ Solo vostro sire… ‐ insistette per evitare l’ invidia e ottenere il permesso di tornare nella capitale – vostro nipote ha risposto a tutte le domande con abilità, ha fatto un figurone…
Il re acconsentì e chiese che fossero le zie ad accompagnarla in incognito. Les mesdames dal canto loro, come quasi tutti i cortigiani, furono felici di ingraziarsi la promessa sovrana. Il trionfo di Parigi aveva trasformato per incanto la vita di Maria Antonietta: ora si sentiva accettata, aveva meno nostalgia della sua terra, e suo marito, che non la invidiava ma approfittava della sua luce riflessa, le porgeva orgoglioso il braccio all’Opera, alla Commedia francese, al Teatro italiano, dove veniva accolta come una diva. Giovanissima e piena di energie, affogava le frustrazioni sessuali e la paura del futuro, ridendo, ballando, abbandonandosi a compere frivole tra le bancarelle alla fiera di Sant’Ovidio sull’immensa piazza Luigi XV, oggi piazza della Concordia.
Quando nel novembre del 1773 Carlo Filippo, conte di Artois, sposò Maria Teresa di Savoia, sorella della contessa di Provenza ‐ come lei bruttissima, magra, con un naso esageratamente lungo ma piccolissima di statura ‐ la Delfina non accolse l’evento con timore bensì, sapendo che la famiglia Capet non era molto prolifica, solidarizzò con la nuova cognata. Fra le tre coppie si instaurò una grande intimità e, all’infuori dei giorni in cui i pasti erano in pubblico, pranzavano e cenavano insieme negli appartamenti della contessa di Provenza.
Una sera Maria Antonietta tagliava un petto di pollo, il suo piatto preferito:
‐ Sarebbe bene invitare con noi le signore zie…
‐ Non si usa… ‐ fece eco il conte di Artois
‐ Chiedete a Madame l’Etiquette se si può fare – suggerì Provenza con la bocca piena.
Tutti scoppiarono a ridere.
‐ Decido io il da farsi – sbuffò la Delfina ‐ Le zie ceneranno con noi.
‐ Zia Adelaide è seccata perché si gioca nei vostri appartamenti, non più nei suoi – s’intromise la contessa di Provenza.
‐ Se il gioco deve riunirsi dalla prima dama non è colpa mia…
‐ Invitiamo le zie a vedere le commedie? – azzardò la contessa di Artois.
‐ Siete impazzita? Nessuno deve sapere che recitiamo!
C’era in quel periodo una compagnia teatrale formata dalla Delfina, i due fratelli di Luigi Augusto, le loro mogli e il fidato bibliotecario Campan con suo figlio. Con gran divertimento e in segreto interpretavano le migliori commedie del teatro francese: svago introdotto da madame Pompadour che il re e le sue figlie riprovavano. Unico spettatore il futuro Luigi XVI. Per non essere scoperti avevano scelto una sala dell’ammezzato dove nessuno entrava e il palcoscenico, che si poteva smontare, veniva nascosto in un armadio. I signori Campan erano stati coinvolti per ampliare e perfezionare il repertorio: il padre, oltre a recitare, faceva il regista. Bellissimi i costumi, storicamente fedeli. Attore bravissimo il grasso Provenza, bravo il conte di Artois, Maria Antonietta se la cavava, le cognate assolutamente no.
Un giorno fu messa in scena l’operetta comica di Lesage “Crispino rivale del suo padrone”, imperniata sul personaggio del servo che cerca fortuna raggirando il signore innamorato. Crispino era l’anziano signor Campan; il padrone, il bel conte di Artois; la donna amata dal signore, Maria Antonietta. Luigi Augusto rideva per le battute, per le papere, per l’allegra confusione, per il piacere di scoprire graziosa l’arciduchessa austriaca che aveva dovuto sposare per forza e alla quale, malgrado l’impotenza sessuale, si stava ora affezionando.
‐ Geniale! – applaudì fino ad arrossare i palmi bianchi e grassocci.
Finita la recita la Delfina scese dal palcoscenico e apostrofò il signor Campan:
‐ Ho dimenticato l’occorrente per struccarmi, andate a prenderlo senza farvi vedere...
Con l’abito di scena e ancora truccato, Campan imboccò una scala nascosta che conduceva direttamente agli appartamenti reali. Salendo gli parve di udire un rumore, si fermò dietro la porta. Un valletto aprì di colpo e trovandosi davanti la maschera di Crispino cadde riverso per lo spavento:
‐ Aiuto!
L’altro si chinò:
‐ Sono io, non mi riconoscete? Giurate che non direte a nessuno quello che avete visto…
‐ Signor Campan cosa…
‐ Giurate…
‐ Lo giuro…
Ma quando tornò dalla Delfina e le raccontò l’ accaduto Campan si sentì rispondere:
‐ Mio Dio questo gioco è diventato troppo pericoloso, non possiamo correre il rischio di essere scoperti.
E da quel momento la compagnia si sciolse.
L’Opera royal, inaugurata il giorno delle sue nozze, affascinava Maria Antonietta: ne adorava i balli e spesso ci si recava in incognito solo per il piacere di incontrare facce nuove. Il 30 gennaio 1774, notte di carnevale, Luigi Augusto con la Delfina, il conte di Provenza con sua moglie e Artois con la sua, entrarono nel foyer protetti dal domino e dalle maschere. Odore di cipria, di crema, profumi di Grasse, mesdames e messieurs occhieggianti da schermi di pizzo. Risate, fruscio di paniers, candele, nicchie d’ombra. Che deliziosa atmosfera! pensò Antonietta presa da una gran voglia di ballare e divertirsi fino all’alba, felice di non dar nell’occhio. Riconoscendo anzi, in un angolo, alcuni barrysti confabulare, si sistemò lo scialle sul capo avvicinandosi per captarne furtivamente i discorsi.
‐ Niccolò Piccinni è un musicista insuperabile – sentì dire – Gluck non riuscirà a convincere l’Opera a presentare Ifigenia in Aulide…
‐ Dicono che sia raccomandato dalla Delfina perché è stato il suo insegnante di clavicembalo!
‐ Madame du Barry non permetterà l’affronto! Soprattutto dopo il rifiuto dei diamanti…
‐ Li ha rifiutati?! E il re?
‐ La vecchiaia è una brutta malattia…
Temendo di svelarsi si allontanò veloce: aveva udito quanto bastava e fremette di sdegno. Giusto rifiutare i diamanti della du Barry! Credeva di potere comprare una futura regina? E si sentì rafforzata nel battersi perché Gluck presentasse in quel teatro il suo lavoro ispirato alla tragedia di Racine. Voleva bene a Gluck e sua madre lo caldeggiava: avrebbe convinto il direttore.
Raggiunse il piano superiore. Era l’una passata ormai, si guardò intorno: gli altri dov’erano? Una voce melodiosa alle spalle:
‐ Tutta sola?
Si voltò e arrossendo lo osservò attraverso la maschera: giovane, biondo, lineamenti nordici, slanciato, elegante, bellissimo. Che emozione…
‐ Tutta sola ? – ripeté lo sconosciuto
‐ E voi?
‐ Anch’io… Vi divertite?
‐ Certo…
‐ Di dove siete?
‐ E voi?
‐ Sono svedese…
‐ Un paese dove non sono stata.
‐ Io sono stato in Germania, Svizzera, Italia… prima di raggiungere la Francia.
Si chiamava Axel Fersen, diciotto anni, come Antonietta. Conte, erede della famiglia più ricca del suo paese. In quel periodo era in viaggio per l’ Europa accompagnato dal tutore.
‐ Da quanto siete a Parigi?
‐ Da un mese… sono stato anche a Versailles…
‐ Davvero? – divenne insinuante e curiosa – raccontatemi…
‐ Mi ha ricevuto la madre di mademoiselle di Lorraine…
‐ Che ve ne pare di sua figlia?
‐ Carina ma non come dicono – rispose Fersen ignaro dello scompiglio nel quale mademoiselle aveva gettato la corte durante un ballo.
‐ E di Maria Antonietta cosa vi è sembrato? – fece turbata.
‐ Non saprei…
‐ Come non sapete?!
‐ Non l’ho avvicinata… il giorno di Capodanno sono andato al castello in ritardo perché faceva molto freddo e avevo ordinato una pelliccia che non arrivava…
‐ Capisco…. vi piace la musica?
‐ Certamente.
‐ E Gluck?
‐ Non lo conosco ma mi hanno detto che è un ottimo compositore.
“Adorabile”, pensò Maria Antonietta.
Conversarono fino alle tre, isolati e assorti, senza accorgersi dell’ora tarda. Glielo ricordarono alcuni nobili che, riconosciuta la Delfina, le si strinsero intorno.
‐ Altezza reale vi stavamo cercando…
Mentre una piccola folla la trascinava via, Fersen capì con stupore che aveva parlato con la prima diva di Francia. Imbarazzato sorrise, separandosi come chiedevano le circostanze. “Sua altezza, chi l’avrebbe detto! Stavamo bene…” pensò mentre si allontanava.
Anche lei era stata colpita dall’affascinante straniero, ma dopo un attimo già pensava ad altro. Non poteva sapere che in futuro quel giovane avrebbe avuto un ruolo essenziale nel suo destino di donna.