Marie, moi
Ho chiesto in prestito al destino un nome nuovo.
L'ho elemosinato alla vita dall'angolo dopo la curva, avvolta in una coperta di giornali che raccontano di storie non accadute.
L'ho voluto come una madre un figlio, per costruire un'altra vita.
Una nuova identità, un volto nuovo, l'ultima occasione.
Ho chiesto un nome nuovo per rinascere a colori dopo mille puntate in bianco e nero.
La prima parola di un romanzo ancora da scrivere. Il foglio bianco di un album da disegno ancora non usato. Ho chiesto la possibilità di un' infinità di parole tra cui scegliere, di tratti con cui cominciare.
Ho chiesto un nome nuovo per provare la meraviglia di un bambino davanti al suo giocattolo da scoprire.
Ne avrei potuto fare di tutto del mio nome nuovo, ma lui ha deciso invece cosa fare di me.
Il mio nome nuovo è diventato quello che non ero mai stata. Il meglio e il peggio.
È diventato il coraggio mai avuto, i pensieri mai espressi, le frasi non dette, i desideri mai confessati, la mia vera essenza sempre celata.
È diventato più di quello che volevo, prendendo piacere senza colpa e anelando nuove schiavitù per fuggire a quella più grave dell'amore.
È diventato urla sommesse di dolore per far tacere un dolore più grande.
È diventato tutto quello che mi permetteva di non pensare.
Con il mio nome nuovo ho cambiato volto, casa, città. Con il mio nome nuovo ho osato varcare sottili confini proibiti, ho osato far tacere la coscienza.
Con il mio nome nuovo sono diventata fragile e invincibile.
E alla fine il mio nome nuovo è diventato un dono e con esso la speranza concreta della felicità, fugace come un arcobaleno.
Una cosa sola non è riuscito a fare il mio nome nuovo: farmi fuggire da me stessa.
Ora ho un nome nuovo, e non so che farmene.
Non più.