Marmellata di mandarini

Nonostante la congestione nasale, mi arrivava forte l’odore di mandarini sbucciati.
Mia nonna sedeva nella penombra, con lo strofinaccio sulle ginocchia ed il coltello in mano. Sbucciava i mandarini metodicamente, eliminando prima la scorza aromatica e poi, con il coltello, ogni pellicina bianca. Lo faceva strizzando gli occhi ogni volta che l’operazione produceva schizzi.
Il fuoco schioccava là accanto, quasi in polemica con i ciocchi che lei aveva appena aggiunto.
“Nonna” le dissi all’improvviso trovando il coraggio chissà dove “hai sentito tutto il casino con mamma e papà?”
Lei continuò il suo lavoro come se non avessi neppure aperto bocca, ma una muta esitazione nei suoi gesti mi disse che aveva inteso.
Assecondai il suo voluto silenzio, perché conoscevo molto bene quella cara donna.
Infatti, dopo qualche minuto trasse un lungo sospiro e: “Ho sentito, ho sentito” disse a bassa voce.
“E cosa ne pensi?” le chiesi ormai padrone di un coraggio effimero come le fiamme della stufa che mi si riflettevano sul viso.
Altra pausa studiata, altre bucce di mandarino, alto crepitio di legna, altri minuti sudati.
“Ma tu gli vuoi veramente bene?” chiese, e dalle sue parole capii la fatica che le erano costate.
“Da impazzire, nonna” fu la mia risposta condita dalle lacrime.
“E allora tappati le orecchie” mi disse, ma lo fece in dialetto come per dare un peso maggiore a quella frase.
Soffiai il naso, per il raffreddore ma soprattutto per il silenzioso pianto di gioia che quelle semplici parole mi avevano provocato.
“Hai ragione” le dissi io a quel punto “ma significa che non mi vorranno più vedere, li hai sentiti?”
Le ultime parole mi uscirono strozzate dalla rabbia di quegli ultimi giorni, di quegli ultimi 18 anni: i miei.
Posò il coltello, radunò le bucce in un barattolo, gli spicchi in una pentola, e con la mano a cucchiaio raccolse i residui da buttar via.
Si alzò leggera, eppure il suo cuore non doveva essere molto leggero dopo quella chiacchierata.
Mise la pentola sul fuoco, aggiunse lo zucchero che aveva pesato poco prima, rimestò il tutto e mi si avvicinò.
Quel che seguì fu tutta la mia vita. 


“Ma ti vuoi svegliare una buona volta?” urla Gus dal bagno.
Io, come sempre, di alzarmi proprio non ne ho voglia, ma il rumore del caffè ancor prima del suo odore mi solletica il naso come in un cartoon.
“Sul tavolo ci sono già le fette imburrate” aggiunge Gus per convincermi, e questo mi convince.
C’incrociamo in corridoio, io ancora in mutande e lui – scontato – già vestito di tutto punto.
Un bacio veloce, quello che distrattamente ci scambiamo nei frenetici inizi di giornata in settimana, poi ci sediamo ai due lati opposti del tavolo, e mentre lui mi versa il caffè io apro il barattolo di marmellata.
Di mandarini, la mia preferita.
La ricetta è di mia nonna, che ora non me la fa più perché non c’è più.
Mi ha lasciato due mesi fa, una malattia ha deciso per lei, e così è stato.
Ma ho insegnato a farla da solo, un giorno mi è venuta vicino e mi ha detto: “Se non ti vorranno più vedere, ti avranno perso. Io non ti voglio perdere, e sarò sempre qui ad aspettare che mi vieni a trovare. E adesso siediti, che t’insegno come si fa la marmellata di mandarini”.
Non ha aggiunto altro. Anzi, che dico! Ha aggiunto un sorriso rugoso che mi ha ridato la vita.
Oggi mi gusto la colazione col mio amore, Gus, che sta per Gustavo, e che invece di Fabio mi chiama Fans.