Martedì 17/09/2013 Taccuini di Cambridge - 1° Parte

L’occasione per lo scrivere me la fornisce il mio secondo viaggio alla volta di Cambridge: d’ora in avanti, la mia routine consisterà nel prendere, alle otto di ogni mattina, questo bellissimo, pulitissimo autobus inglese per arrivare da Bottisham, piccolo paesino, a Cambridge.
Questo piccolo viaggio mi permette di pensare a tante cose: a tutte le emozioni provate in questi giorni, a cosa significhi stare qui, al senso che avrà tutta questa esperienza per me.
Ricordo ancora quando sono arrivata, ormai tre giorni fa: la trepidazione dell’atterraggio, la consapevolezza che la mia avventura cominciava proprio lì, a London Stansted.
Anche il tempo mi chiariva che avrei salutato un po’ l’Italia: un cielo grigio e 
un’aria gelida mi accolsero all’arrivo, quando ero partita da Falconara con il sole!
Ma un po’ di Italia la rivedo ogni giorno: la mia padrona di casa, Daniela, è una ragazza romana che si è stabilita qui e ha formato, con il suo compagno Lawrence, una scoppiettante e vivace famiglia mista,  in cui si passa velocemente dall’inglese all’italiano e viceversa, senza soluzione di continuità.
E’ divertente giocare con le loro due bambine, Elena e Juliet, sentendole alternare il loro perfetto British English ad un esilarante romanesco.
Sono state proprio loro le persone con cui ho trascorso le mie prime ore a Bottisham ed, in un certo senso, mi sono sentita subito a casa: una bella cena in tipico english style, con verdure cotte e agnello, coronò la mia prima giornata in questo grazioso “village”.
Mi viene ancora in mente la fierezza e la soddisfazione nel disfare la valigia e riporre le mie cose nell’armadio: sentivo che potevo farcela da sola, con le mie uniche forze e questo senso di indipendenza e di autonomia, provato anche a Trento, ora, con la mia permanenza all’estero, non faceva altro che approfondirsi e sostanziarsi  sempre di più.
Non mancarono, però, le prime disavventure: quella gelida domenica, mi ritrovai in esplorazione a Bottisham da sola, con l’unico ausilio di un ombrelletto tartassato dalle forti ventate, alla ricerca delle fermate dell’autobus, che avrei dovuto prendere l’indomani, ma ahimè, poco visibili.
Per fortuna, un grazioso pranzo in un pub di Bottisham, a base di “Breast chicken”, e le preziose indicazioni di Daniela e di mio padre, oltre che alla portentosa tecnologia di Google‐maps, fecero tornare di nuovo il sereno: ora, martedì 17 Settembre, dopo un lunedì di rodaggio, posso ritenermi soddisfatta e dire, finalmente, che ho la situazione in pugno. 
Perché è così: quando sei da solo, in un paese straniero in cui non conosci nessuno, ogni difficoltà appare insormontabile  e lo sconforto ti invade, facendoti credere che non sei in grado di fare nulla per tuo conto.
Poi, però, quando le cose lentamente si raddrizzano e cominci a capirci davvero qualcosa in tutto questo, nulla ti rende più orgoglioso e felice: ti ritrovi a sussurrarti, fra te e te, “Io ce l’ho fatta, io ce la posso fare”e credere fermamente in quelle parole, perché oggi lo si è dimostrato e così i giorni a venire.
Certo, l’emozione del primo giorno non si scorda mai: era veramente qualcosa di superlativo la mia espressione alla vista della Classical faculty library , la biblioteca degli studi classici di Cambridge.
Non avevo mai visto nulla di simile: interi scaffali e scaffali colmi di libri, perfettamente ordinati e catalogati, con un acribia e una precisione a dir poco rassicurante.. il paradiso di ogni classicista, come me!
Passerò lì gran parte delle mie giornate, in compagnia di due simpatiche ragazze romane conosciute ieri: direi che non avrei potuto scegliere habitat migliore!
Ogni tanto, mentre studio o sottolineo  delle parole, alzo la testa e getto uno sguardo intorno a me: vedo tanti miei coetanei o, comunque, tanti altri studenti, alle prese coi miei stessi grattacapi, ma con quel delizioso british accent, che mi sto sforzando di adottare anche io.
La facoltà è bellissima: è grande, tecnologica, spaziosa, con il museo di archeologia proprio sopra la biblioteca e una stanzetta accogliente, comoda per un veloce break prima di immergersi di nuovo in mezzo allo studio.
Per ora ci sono pochi ragazzi, le lezioni cominceranno i primi di ottobre e allora Cambridge sarà più animata che mai: in tutta la città, i colleges, le residenze per gli studenti, cominceranno a riempirsi ed infoltirsi di gente, pronta per un nuovo anno accademico.
Nonostante ciò, la biblioteca non è affatto deserta ed, anzi, ben frequentata: passandoci quasi tutta la giornata, vedo molte persone, adulte e più o meno giovani, sedersi ai desks e leggere avidamente pagine e pagine di libri, intervallando per alcuni momenti con la scrittura al computer di ciò che hanno da dire e ricercare.
Potrà sembrare, la mia, una fredda e monotona routine, ma non è affatto così: girando per quegli scaffali, perdendomi fra tutti quegli splendidi libri, alla ricerca di quello giusto per me, è come se respirassi la grandezza e l’immortalità di quei grandi uomini, dei quali analizziamo ancora le idee e l’operato, anche a millenni di distanza.
Certo, il senso di fallimento e piccolezza è dietro l’angolo: talvolta, mi sento quasi una timorosa formica vicino a degli inarrivabili giganti, incapace di alzare lo sguardo verso di loro, tanta l’inadeguatezza che prova.
Poi, però, mi scuoto da questi tristi pensieri e la febbrile attività di ricerca per la tesi mi invade completamente, instillandomi la voglia di proseguire, passo dopo passo, verso la meta, anche se, per adesso, sembra ancora lontana.
Ma non mi lamento: l’inverno sarà lungo e la biblioteca molto calda, quindi ci sarà il giusto tempo per non lasciare nulla di intentato.
I giorni, inizialmente, sembrano non scorrere mai, invece il tempo sta già passando e, piano piano, sto sentendo Cambridge come casa mia e mi sto lentamente abituando  (anche se con molto sforzo!) alle sue giornate grigie e ai suoi orari così diversi dai nostri.
Anche la gente è diversa: è gentile, sorridente, rispettosa, ti chiede scusa se ti urta per sbaglio in strada e ringrazia l’autista al termine della corsa.
E’ la prova che un mondo migliore non solo è possibile, ma esiste per giunta e basta saperlo vedere: non credo, con questo, che l’Inghilterra sia un assoluto paradiso, ma penso che sia illuminante ed istruttivo, per noi italiani, starci e respirarne un pò l’aria.
Ho scoperto, con mia meraviglia, che  Cambridge si sta trasformando in una colonia di italiani: l’università è piena di studenti e professori miei conterranei ed ogni tanto, anche camminando velocemente, sento l’eco di qualche parola italiana, che si impone subito al mio orecchio per la sua estraneità a questo contesto.
Eppure, mi godo anche il mio silenzio, mentre ascolto di sfuggita le conversazioni degli inglesi, in autobus, al bar o negli streets: mi sembra di essere lo spettatore invisibile di un qualche spettacolo che quotidianamente va in scena e e mi ricorda come la bellezza di questo mondo consista proprio nella diversità e in tutto ciò che possiamo apprendere da questa.
Ma, lo devo proprio ammettere, cenare così presto, rispetto ai miei precedenti canoni, mi fa ancora strano: il compagno di Daniela dice che presto mi abituerò anche a questo e ne vedrò i positivi influssi.
Per adesso, mi accontento di accorciare le mie ore da sveglia dopo la cena e cerco di coricarmi un po’ prima del solito: la sveglia alle sette e l’intensa giornata, fra spostamenti e ricerca, si fa sentire.
Eppure, la sera è difficile prendere sonno: tante le emozioni provate, i ricordi della giornata appena trascorsa da riassaporare e le sfide della giornata successiva da affrontare in mente.
Ma questo è positivo: significa che sto vivendo questa esperienza proprio come andrebbe vissuta… e che sono pronta, pronta per tutte le avventure che mi riserverà nei prossimi giorni. E che continuerò a raccontarvi.
Cecilia Cozzi
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