Matrimoni nella famiglia Landri

La moglie di Carmelo non venne al mio matrimonio, perché le ero (e le sono) antipatica. Liberissima.
Però la sua antipatia per me si basa su un equivoco nato quando la futura moglie di Carmelo ed io avevamo al più sedici anni.
Risposi scherzosamente ad una domanda e la futura moglie di Carmelo prese sul serio quella risposta. Da quella risposta concluse che o era tirchia o povera in canna. La seconda circostanza considerata un peccato ancora più grave nel suo ambiente.
In effetti, la mia risposta intendeva alludere a tirchieria o mani lunghe di qualcun altro, ma la futura moglie di Carmelo fraintese.
Oltretutto ‐ mi chiedo ‐, all'epoca, la futura moglie di Carmelo non sapeva che la palma della tirchieria nella famiglia Landri apparteneva proprio al padre di Carmelo?
Ad ogni modo, quell'equivoco pose la radice, nella mente della moglie di Carmelo, di un'insanabile antipatia e la moglie di Carmelo non venne al mio matrimonio.
Oddio, fece benissimo. Quel matrimonio non avrebbe neanche dovuto avere luogo e, comunque, non desideravo nessuna festa. E, adeguandomi a tenere un ricevimento, non avrei voluto le famiglie di zio Giulio, il padre di Carmelo, e di zio Furio. Al più, pensavo di invitare le loro figlie, le mie cugine coetanee e basta.
Invece, lasciai che i formalismi avessero il loro corso. Errore. Meglio chiarire subito: con voi non voglio avere nulla a che fare.
Ad ogni modo, al mio matrimonio vennero mio cugino Carmelo e la sua primogenita, la quale, all'epoca, aveva dieci anni e si divertì moltissimo.

Naturalmente, il mio matrimonio non fu il primo della mia generazione nella famiglia Landri.

Il primo matrimonio fu quello di Giulietta, terzogenita di zio Giulio e mia coetanea.

Mi ritrovai a pensare: " Meglio che mostri bene che sono contenta; in quanto quelli, attribuendo agli altri gli stessi loro sentimenti, saranno convinti che io sia invidiosa che Giulietta si sposi, mentre io sono ancora lontana da questo traguardo".
Traguardo, d'altronde, al quale non aspiravo proprio.
Infatti, quando Giulietta girò per i tavoli distribuendo alle nubili confetti dal cesto con un cucchiaio, affermando che chi li riceveva si sarebbe sposata da lì a tanti anni quanti erano i confetti ricevuti, implorai: "Dammene quattordici!". "No, al più sette". Mi rassegnai.
Per la cronaca, non riuscii a rimandare più in là di tredici anni.

Il secondo matrimonio fu quello di Carmelo, celebrato in quanto di lì a sei mesi sarebbe arrivato un bambino.
Essendo ancora figlia di famiglia, non pensai a non presenziare. E, poi, non portavo rancore.

Il terzo matrimonio fu quello del fratello maggiore di Carmelo, celebrato in quanto di lì a meno di sei mesi sarebbe arrivato un bambino.
Non mi faceva piacere presenziare. E avrei anche avuto una giustificazione plausibile: in quella data avrei dovuto essere ad una riunione di lavoro a Dallas.
In realtà, quell'occasione l'avevo lasciata andare. Il project manager locale si era infilato in quella riunione al mio posto, senza dire niente.
Non recriminai, un po' perché avevo paura nella fase di decollo e di atterraggio degli aerei e un po' perché ritenevo quella riunione del tutto inutile e, oltretutto, non ci sarebbe stato nemmeno il tempo di fare un po' la turista. Così, decisi di non battergli due dita sulla spalla e dirgli: "Ne co', la riunione é per chi nel progetto copre il mio ruolo: devo andare io".
Così andai al matrimonio e posi cura nel prepararmi.
Il risultato fu:
a) la reazione della sorella minore dello sposo, Loretta, la quale, appena mi vide, senza neanche salutarmi, si voltò preoccupata verso la mamma e chiese: "Mamma, sto bene?";
b) i complimenti dell'allora fidanzato della sorella minore dello sposo, seduto al tavolo accanto me;
c) che nell'album delle foto del matrimonio non ci fosse neanche una, dico una, foto dove vi fossi anch'io.

Il quarto matrimonio fu quel disgraziato matrimonio di cui ho detto (il mio).
La cerimonia e il ricevimento furono riuscitissimi, tranne qualche piccolo inconveniente che succede sempre, tipo il ritardo degli sposi, ma avevo dato ordine che il buffet in piedi prima del pranzo fosse aperto in nostra assenza, o il fatto che lo sposo non sapesse ballare.
Comunque, gli ospiti stettero benissimo, inclusi i bambini.

Il quinto matrimonio fu quello dell'ultimogenita di zio Giulio, Loretta. Matrimonio e battesimo insieme, in quanto prudenza non aveva permesso di celebrare prima il matrimonio.
Qui espressi la mia posizione: "Alla funzione in chiesa vengo, ma al ricevimento no".
Mio padre insorse: "Ma che c'entra Loretta!?"
"Appunto perché non c'entra, vengo alla funzione, ma al ricevimento no".
Invece, alla mia veneranda età, ancora agii da figliola obbediente. E sbagliai, come avevo sbagliato ogni volta, o quasi, in cui avevo agito come voleva mio padre.
In chiesa, mi ritrovai seduta nella panca dietro la famiglia di zio Furio. Come si dava da fare, la figlia maggiore, riccioli d'oro Dorina, a voltarsi e mostrare gli occhi luminosi e il sorriso largo, come ha imparato a recitare dalla mamma, per mostrare che era contentissima e che voleva bene a tutto il mondo!
Mi detti premura, al momento dello scambio del segno di pace, di spostarmi e trovarmi lontano. Quel deficiente, o complice o deus ex‐machina, di mio marito, invece, rimase lì a scambiare entusiasticamente il segno della pace con quei perfidi e falsi.
Avrei fatto bene a non andare al ricevimento.
Il padre della sposa, zio Giulio, aveva fatto le cose per bene. Aveva riservato un tavolo per ogni suo fratello e famiglia, eventuali generi e nuore comprese. I bambini erano tutti insieme ai tavoli loro riservati.
Inoltre, c'era il tavolo per i fratelli della sposa e relativi consorti.
Quel canchero del primogenito dei miei genitori, pensò bene, insieme alla sua compagna, di snobbare il tavolo riservato per nostro padre e famiglia, e fece aggiungere due sedie al tavolo dei fratelli della sposa, essendo molto amico col cugino, fratello maggiore della sposa; amicizia condivisa tra la sua compagna e la moglie del cugino. Donne moderne che snobbavano le regole ammuffite dei matusa: una viveva more uxorio con prole e si vantava di non essere sposata; l'altra raccontava che, suo malgrado, senza capire come, si era trovata, in abito bianco, a salutare il futuro suocero con una stretta di mano davanti la porta di una chiesa, perché si era ritrovata incinta.. Sedendosi lì si divertirono e poterono parlare di tutto il nulla su cui condividevano gli interessi, mentre al tavolo del padre la conversazione sarebbe stata stentata e forzata.
Intanto, zio Giulio pensò bene di organizzare uno scherzo a danno del fratello maggiore, mio padre, il quale dapprima sopportò senza dare peso; in seguito, poiché lo scherzo si protraeva, replicò con veemenza all'ignaro insolente inviato dal fratello.
Pensai: "Confermiamo che avrei fatto bene a non venire".
A mio parere, a quel punto, il primogenito dei miei genitori avrebbe fatto bene a ripensarci (su una cosa che non avrebbe proprio dovuto pensare), alzarsi e prendere posto, con la sua compagna, al tavolo loro riservato con il padre, a fare capire che non tollerava che chicchessia si prendesse gioco e mancasse di rispetto a suo padre, stimato professionista settantottenne.
... Già, ma era stato lui il primo a dare l'esempio.

Sesto matrimonio.
Si sposa la secondogenita dello zio Furio.
Mio marito ed io rientriamo a casa una sera e troviamo per terra un foglietto infilato da sotto la porta. C'è scritto: "C'è posta per voi".
Siamo gli unici a possedere una cassetta postale nel condominio. Gli altri condòmini le avevano sempre rifiutate perché 'antiestetiche'; in realtà perché non volevano spendere soldi per comprarne una a testa e perché zio Furio aveva piacere ad impicciarsi dei fatti degli altri, sbirciando la posta di tutti che veniva abbandonata dal postino su un ripiano nell'ingresso del palazzo. E aprire la mia col vapore.
Andiamo a controllare e troviamo l'invito al matrimonio della secondogenita di zio Furio.
Scrivo sul retro della busta: "Respinto al mittente" e la lascio sul ripiano dove viene lasciata la posta per tutti gli altri.

Settimo matrimonio, sei anni dopo.
Mio padre é mancato un anno prima e la compagna del primogenito dei miei genitori ha deciso che é giunto il momento di contrarre regolare matrimonio.
Da quattro anni non sto bene e da due ho cominciato a far sapere ciò che penso di loro e che avrei fatto bene a far sapere loro con calma da almeno vent'anni prima.
Non aveva alcuna intenzione di andarci.
Considerate le mie libere espressioni di opinione, il primogenito, con discrezione, dice a mio marito: "Forse é meglio che Liliana non venga ..."
“Giorgio se ne vò jì e ‘o vescovo ne ‘o vò mannà“, replicò ridendo mio marito.

Non so se, a tutt'oggi, siano stati celebrati altri matrimoni nella mia o successiva generazione della famiglia Landri.
E non me ne importa.