Michelangelo Buonarroti

(Caprese, 6 marzo 1475 ‐ Roma, 18 febbraio 1564)

Viaggiare in aereo per me è sempre un'emozione incredibile, un avvicinarsi un po' di più a Dio, così come lo era per i cristiani nel medioevo quando costruivano le cattedrali che svettavano verso il cielo.
Lassù, in mezzo alle nuvole, provi a sbirciare attraverso l'oblò e quello che si apre ai tuoi occhi è un mondo fantastico, una diversa prospettiva da quella usuale, più suggestiva e divina. Perché la Terra, il sistema solare, l'intero universo sembrano realmente usciti dalle mani magiche di un essere superiore. Un chiaro spettacolo della natura!
Sospiro, scorgendo le dolci ondulazioni del Sahara che sembrano flutti dorati e il mio pensiero vola ai giorni mai dimenticati della guerra e scuoto la testa.
«Se solo avessi potuto osservare il mondo da quassù!»
Sussulto e mi giro di scatto, rimanendo a fissare quel volto bruttino, dai lineamenti duri, il naso rotto, la bocca piegata perennemente all'ingiù e sbatto le palpebre più volte, incredula e atterrita da ciò che quell'uomo rappresenta.
«Mi… Michelangelo.» balbetto in un sussurro.
«Sì, decisamente se avessi potuto avere questa visuale, avrei per certo fatto morire di bile quell'effeminato di Leonardo!» sbotta irato.
Mi guardo timorosa in giro, ma i passeggeri continuano a godersi il viaggio come se nulla fosse e porto una mano al cuore, sollevata e indispettita al contempo.
«Leonardo non era effeminato!» ribatto.
A quelle parole mi degna infine di attenzione e socchiude gli occhi soppesandomi, alzando lentamente il mento.
«Osi negare l'evidenza?» borbotta.
«Lui era dolce, bello, elegante…»
«Oddio, eccone un'altra!» esclama inorridito.
Lo fisso attonita e lascio cadere l'argomento, consapevole che l'astio esistito tra i due maggiori uomini che il mondo abbia partorito non si è sanato neppure dopo tanti secoli.
«È vero che a tredici anni sei andato a bottega dal Ghirlandaio?»
«Verissimo. Mio padre avrebbe voluto che divenissi un avvocato, ma con il greco e il latino non sono mai andato d'accordo. D'accordo andavo con il disegno e fin da piccolo preferivo tratteggiare le chiese che vedevo nella città.»
«Hai attirato l'interesse del Magnifico.»
«Sì, si stupì nel vedermi maneggiare lo scalpello con maestria e mi tenne con sé. Era un grand'uomo messer Lorenzo.» aggiunge e la voce gli si incrina un po’, tradendo l'emozione.
Provo a immaginarmi alla corte del Magnifico ma la testa mi gira e turbina in un ambiente frequentato dai più grandi uomini del tempo e subito torno con i piedi per terra. Se penso che Michelangelo l'ha frequentata all'età di quindici anni…
«Sbaglio o ammiravi Savonarola?» domando.
«I suoi sermoni erano sferzate contro tutti i potentati e contro la loro opulenza e richiamavano sempre all'amore del Cristo e alla Sua umiltà.»
«Ma tu mangiavi al desco del Magnifico!» esclamo sbigottita.
Lo vedo alzare le spalle larghe e possenti, come se la cosa non lo turbasse e mi domando se io sarei mai riuscita a sopravvivere in un simile periodo, dove la morale era un'utopia.
[images3] «Dopo la morte del Magnifico ti sei trasferito a Roma, chiamato dal cardinale Riario.»
«Quel taccagno!» e sembra che sputi le parole. «Per fortuna il Galli e poi il cardinale de Villiers mi hanno notato e ho potuto lavorare, altrimenti sarei rimasto con le mani in mano.»
«La famosa Pietà.» mormoro incantata.
Nota il mio sguardo sognante e commenta aspro:
«Anche i miei contemporanei rimasero a bocca aperta.»
Inizio a capire per quale motivo Leonardo non ci andasse d'accordo e per quale motivo in una rissa un tipo gli spaccò il naso: è arrogante, attaccabrighe e irascibile. Eppure tutti questi suoi difetti svaniscono dinanzi alle sue opere ed io non posso che inchinarmi al suo genio.
«La fama a soli ventitré anni. Da allora sei stato richiestissimo.»
«Me ne sono tornato a Firenze, dove il Duomo mi commissionò una statua ed io tirai fuori il David.»
«Lo dici come se fosse la cosa più facile del mondo!»
Emette un grugnito con quella sua voce dura come il carattere e ribatte:
«Per me lo era. Il David era già lì, nel blocco di marmo; io ho solo tolto il superfluo per farlo venire alla luce.»
Rimango esterrefatta e scuoto lievemente la testa, come a sottolineare la mia incredulità.
«E per affrescare una delle pareti di Palazzo Vecchio?» domando.
Fa un gesto stizzito con la mano, si agita sul sedile e a me incute un po' di timore.
«Io e lui…»
«Lui Leonardo?» specifico.
«Sì, l'effeminato, il damerino. Ci vedi a lavorare schiena contro schiena per affrescare le due pareti? Se solo Giulio non mi avesse voluto a Roma alle sue dipendenze…»
«Giulio II, il papa battagliero?»
«Proprio lui.»
[images1] Sogghigno e provo a immaginare Michelangelo e Giuliano della Rovere, papa Giulio II, faccia a faccia: entrambi collerici, iracondi e insopportabili. Le scintille si sarebbero sprecate e si maltrattarono per tutto il tempo che lavorarono insieme. Cosa avrei dato per vederli!
«Quindi niente più raffigurazione a Palazzo Vecchio.»
«No. Il destino aveva deciso che né io né l'effeminato avremmo affrescato le pareti: io per un motivo, lui per un altro.»
Immagino che se continua ad appellare così Leonardo tra un po' lo strozzo.
«Papa Della Rovere voleva un mausoleo da te.»
«Sì, enorme, degno dei tempi antichi. Hai presente il Mosè?»
«Certo, nella basilica di S. Pietro in Vincoli.»
«Quello. La tomba del papa. Quella che lui, dietro insistenza di Bramante che doveva progettare la cupola di S. Pietro, mi costrinse a rimandare. Ovvio che me ne tornai a Firenze.»
«E il papa?»
Lo vedo sogghignare prima di rispondere:
«Mi mandava lettere ogni giorno intimandomi di rientrare nell'Urbe, ma io ho sempre fatto orecchie da mercante.»
«Sì, però alla fine l'ha spuntata il "grande collerico".»
«Avrebbe messo a ferro e fuoco Firenze, quel pazzo! Sono sì rientrato a Roma, ma mi sono visto incaricato non del mausoleo, bensì dell'affresco della Sistina. A te pare normale?» borbotta incrociando le braccia sul petto.
Al solo nominare la Cappella Sistina vado in brodo di giuggiole e chiudo gli occhi sospirando.
«Hai idea, hai una pur solo vaga idea di quanto mi sia costato quel lavoro massacrante?» sbraita irritato. «Da solo, ho dovuto fare tutto da solo, io che di affreschi non m'intendevo, mentre nelle sale affianco c'era Raffaello, che avrebbe potuto benissimo farlo al posto mio. Invece no, quel testardo di Giulio si era incaponito e alla fine l'ha spuntata. Per quattro lunghi anni ho lavorato come una bestia, con i suggerimenti del Sangallo per non rovinare l'affresco, con Giulio che ogni giorno veniva a spiare senza commentare e poi, una volta terminata e aperta al pubblico, il testardo mi lascia, muore!»
Nel suo sfogo sento il sincero rammarico di colui che perde un padre, un protettore e la cosa mi lascia alquanto stupita. Che, tutto sommato, il misantropo Michelangelo Buonarroti avesse un cuore? Fatto sta che, una volta morto il papa, lui tornò a Firenze, fino a quando, nel 1536, papa Paolo III Farnese gli commissionò il Giudizio Universale.
[images2] «Nel frattempo avevo portato a termine il mausoleo e le due tombe dei fratelli Medici,» racconta, «e solo Dio sa quanto non avrei voluto mettermi a dipingere di nuovo. Ciò nondimeno alla fine l'ho fatto.»
«E quale mirabile meraviglia!»
Lo vedo digrignare i denti, scontroso come sempre e mi passa una mano davanti agli occhi, come per svegliarmi.
«Li hanno coperti.» commenta lapidario.
Lo fisso attonita, quindi capisco e ripenso a quanto tutte quelle nudità avessero turbato i meno scandalizzabili uomini del tempo, con il risultato che furono disegnate foglie di fico dinanzi a ogni genitale.
«Sì, però noi progrediti le abbiamo rimosse, così il dipinto risplende in tutta la sua magnificenza.» rispondo con soddisfazione.
«Voi progrediti?» ripete inarcando un sopracciglio.
Devo aver fatto un'espressione simpatica perché scoppia a ridere ed io non comprendo la sua ilarità.
«Quale assurda pretesa.» mormora scuotendo il capo.
Rimango a guardarlo, lui, Michelangelo, un genio tra i geni del rinascimento che esalta noi italiani al confronto con gli altri stati e mi chiedo come sarebbe ora Roma senza il tocco delle sue mani. La Sistina sarebbe ancora dipinta di azzurro con miriadi di stelle bianche, insulse e prive di qualsiasi significato dinanzi al capolavoro michelangiolesco, e la navata destra di S. Pietro non vanterebbe la sua Pietà, bella oltre ogni dire.
«Hai praticamente diviso la tua vita tra due delle più grandi città del rinascimento, Roma e Firenze.»
«A Roma ci sono pure morto, novant'enne, ma i toscani non mi hanno lasciato in pace neppure dopo trapassato: mi hanno traslato a Firenze e qui sepolto. A Roma ci sono stato bene gli ultimi anni della mia vita, ho conosciuto Vittoria Colonna e siamo diventati molto amici.»
«Anche Tommaso Cavalieri.» insinuo dolcemente, fissandolo dritto negli occhi.
Lo vedo agitarsi alquanto e serra le labbra in una linea dura e sottile.
«Dai dell'effeminato a Leonardo, ma tu non eri migliore.» lo sfido alzando il mento.
Se il suo sguardo avesse potuto incenerirmi, ora sarei solo un mucchietto di polvere sul sedile dell'aereo e dentro di me sogghigno soddisfatta: il genio di Vinci è vendicato!
All'improvviso si sporge verso di me e indica oltre l'oblò. Mi giro e rimango esterrefatta dinanzi alla maestosità della Cappella Sistina, priva di mura che la racchiudono, bensì aperta come un foglio in mezzo all'azzurro delle nuvole e mi rendo conto che sono rimasta a bocca e occhi spalancati.
La visione rimane quel tanto da farmi capire quanto l'uomo possa andare a braccetto con la natura e quando mi volto per ringraziare il genio, il suo posto è vuoto e una hostess mi fissa sorridendo affabile, offrendomi dell'acqua.
Sospiro dispiaciuta e mi mordo le labbra.