Non aprite quelle porte
Egregio Professor Beckford,
mi chiamo Simone Corvo. Mi permetto di scriverLe per esporLe alcune mie considerazioni, peraltro fondate e corroborate da esperienze personali, in merito ad alcune delle tesi da Lei esposte nel Suo intervento al Convegno su “Lovecraft e la Simbologia Onirica del Necronomicon”.
Nel suo intervento Lei affermava, cito testualmente le sue parole, che “essendo l’intero pantheon lovecraftiano una complessa e strutturata metafora della realtà interiore dello scrittore e delle sue angosce, anche le note porte, spalancate dal sempre nominato poeta arabo Abdul Alhazred, che, solo, avrebbe osato gettare uno sguardo nell’abisso dell’orrore cosmico, perdendo in ciò la propria salute mentale, sono, analogamente, da ritenersi una metafora della soglia che separava la fragile salute mentale dello scrittore dalla stessa follia che aveva preso, a suo tempo, entrambi i suoi genitori”.
Esimio professore, io posso concordare con lei sul fatto che la fantasia sia stata, per il Solitario di Providence, una prodigiosa ancora di salvezza contro l’abisso della follia in cui probabilmente sarebbe precipitato se non avesse cominciato a trasporre su carta i suoi incubi notturni, trovando nell’esercizio narrativo un insperato mezzo per espellerli dalla propria mente angosciata. Sicuramente, fu merito della sua fervida fantasia se lo scrittore riuscì a condurre, nella sua pur breve esistenza, una vita quasi normale lasciandoci così il patrimonio letterario che conosciamo.
Il punto sul quale però dissento dalle sue, mi permetta di dirlo, scettiche posizioni, e che mi ha spinto in questa sede a scriverle, è che le porte, le famose porte che lei ritiene essere solo una metafora letteraria, quelle porte, esistono realmente.
Se le mie impressioni non mi hanno ingannato, immagino a questo punto che le si sia allargato sul viso quel sorriso tra l’ironico e lo sprezzante che Lei mostrò in più di un’occasione, al suddetto Convegno, rispondendo agli interventi provenienti dalla platea.
Mi creda, professore, non è assolutamente mia intenzione, in questa modesta sede, farle la morale, non credo di averne il diritto né le opportune competenze. Né intendevo disturbarla solamente per rivolgerle le mie rimostranze, che sarebbero, in ogni caso, opinabili. Se oggi mi sono deciso ad invadere la sua privacy è solo per sottoporre alla sua attenzione di valido studioso le prove del fatto che almeno alcune, tra le cose di cui Lovecraft scrisse, non erano e non sono pura invenzione letteraria.
Non mi riferisco né agli scritti pnakotici né alle tavolette di Kutu, che rimangono materia ed appannaggio di un grande della letteratura. Mi riferisco, invece, come sopra le accennavo, alle porte esistenti tra questo ed altri livelli di esistenza che non appartengono al regno della materia così come la intendiamo noi.
Per anni ho raccolto dati e testimonianze sui cosiddetti fenomeni paranormali, specialmente quelli legati all’ambito parapsicologico, che pure, lentamente, sta cercando di uscire dal regno della superstizione per entrare in quello della scienza, come dimostra, tra le altre cose, la cattedra di Parapsicologia all’Università di Edimburgo. Tuttavia, i dati più sorprendenti e sconcertanti, per quanto supportati da numerose testimonianze, rimangono scientificamente inesplicabili.
Troppe volte infatti ho visto e sentito di incauti sprovveduti, giovani e meno giovani, ignoranti o supposti saccenti, che giocando con cose che non comprendevano hanno scatenato forze al di là del loro controllo…
Dal gioco fatto da adolescenti in vena di forti emozioni con un semplice foglio scritto, utilizzando come indicatore un banale bicchiere di plastica, alle sedute pseudo mistiche messe in atto con la tavola dell’ouija da individui in cerca di risposte o conferme sull’altra vita, alla seduta spiritica improvvisata dalla classica comitiva di amici alla fine di una notte di festeggiamenti di vario tipo…
Tutte queste cose, professore, questi cerimoniali incautamente improvvisati, se da un lato sono un gioco più o meno divertente per chi lo fa, aprono d’altro canto realmente delle porte su questo mondo e non è detto che chi o cosa risponda sia effettivamente chi dice di essere.
Ho parlato correttamente di risposta, professore. Proprio lo scetticismo di cui anche lei si fa portatore, in quanto libero pensatore, è una delle cause per cui si finisce fin troppo spesso con lo scherzare con pericoli al di là di ogni umana immaginazione.
Non è l’oggetto utilizzato a creare il varco che conduce a questo livello di realtà ma la volontà delle persone convenute, ragion per cui, ad esempio, il cerchio dei convenuti non dev’essere spezzato durante la seduta spiritica, pena la perdita del contatto.
Quanto a chi risponda poi…
Nessuno può dirci dove si vada, una volta lasciato questo livello di esistenza, ed occorre una gran fede già per supporre che ne esistano altri, ma numerose testimonianze sostengono, ad esempio, che se una persona non si sente pronta a lasciare questa vita nel momento in cui lo fa, può vagare per un tempo indefinibile in una dimensione intermedia tra questo ed il successivo livello di coscienza, in cui si rende perfettamente conto di quel che ha perso, desiderandolo ancora fortemente, senza riuscire a staccarsene definitivamente, come dovrebbe.
Mi rendo conto che fin troppe produzioni cinematografiche hanno attinto a piene mani a tali conoscenze, riducendole a tal punto al livello di semplice fiction da banalizzare il fatto che, lo dico e lo ripeterò all’infinito, di fiction non si tratta.
Quando una porta viene aperta, come uno squarcio che crei un ponte tra due realtà diverse, non si sa mai chi possa rispondere. Forse un qualche prigioniero dello stadio intermedio che cerca disperatamente di tornare in una realtà che ormai non gli appartiene più, soffrendone in un modo che non possiamo neppure immaginare ed arrivando così a trasformare quel dolore in qualcosa di negativo che non mancherà di manifestarsi in qualche modo strano, bizzarro o terribile… Oppure qualche altra entità, circa le quali, comunque le si voglia chiamare ed a qualunque schieramento le si voglia attribuire, circola la più vasta confusione, potrebbe sfruttare lo stesso varco per penetrare in questa realtà per scopi che è meglio lasciare alla fantasia degli scrittori. Nessuna delle poche, reticenti testimonianze raccolte in tal senso parla di incontri positivi o felici.
La verità sembra essere che coloro che lasciano questa vita non hanno o non dovrebbero avere motivo per cercare di tornarvi.
Mi rendo anche conto che queste mie parole, se lette da quegli incauti le cui azioni critico, potrebbero, mio malgrado, fungere invece da catalizzatore, annullando di fatto il motivo per cui le sto scrivendo.
Perciò professore, sinceramente, se le mie parole hanno in qualche modo toccato la sua attenzione, continui pure a svelare quali segreti personali possano nascondersi dietro l’impulso di una mente letteraria creativa, ma non dubiti mai del fatto che Lovecraft, che lo volesse o meno, ha realmente lasciato un monito che vale la pena rispettare: non provi mai ad aprire quelle porte e non si avvicini mai ad esse con atteggiamento distaccato e razionalista. Non scherzi mai con cose più grandi di lei. La esorto ad avere almeno un minimo di quel rispetto dovuto all’ineluttabile destino che accompagna l’essere umano. Dopodiché la lascio tornare alle sue spero molte occupazioni, augurandomi che siano tante da non lasciarle mai il tempo di ripensare a questo argomento.
Scusandomi del disturbo arrecatole dalle preoccupazioni di questo vecchio, la cui attuale principale occupazione, dopo tanti anni dedicati allo studio della morte, consiste nel godere il più possibile le piccole gioie di quello che gli rimane di questa vita, la saluto con i miei più
Cordiali saluti
Simone Corvo