Non era crisi

'48, '49, '50,'51... anni poveri, poverissimi, altro che quelli di adesso. Non ricordo pianti e tragedie, in casa mia. E' vero, si era dei sopravvissuti alle bombe inglesi e americane. Interi paesi erano stati spazzati via, intere scolaresche massacrate. Anch'io ero un sopravvissuto e non lo sapevo. A mezzogiorno, mamma serviva polvere di piselli, americana, bollita in acqua. Ricordo la schiuma, che non mi entusiasmava. A volte, la sera, insalata di arance, o uovo alla coque, la cui esatta cottura era una disputa famigliare. Papà cenava con castagne bollite nel latte, con una punta di cioccolato autarchico. Ma c'era il pane, che portava nonna Amina, fatto in casa, le sue caramelle di zucchero, ritagliate sul tavolo di marmo della cucina, la crema pasticcera, con frammenti di scorza profumata di limone. Papà, a mezzogiorno, mangiava alla mensa del vecchio INAM. Lo attendevamo, a sera. Ci portava, nella sua cartella di cartone nero, piccoli avanzi del suo pranzo, incartati con cura. Quasi una festa: un pugno d'insalata russa, un'ala di pollo fritto, qualche patatina fritta, una striscia di focaccia. Una sera, sorpresi papà a farsi una sigaretta serale, aprendo i mozziconi, raccolti in ufficio. Quell’immagine l’ho stampata nel cervello. Ne accusai vergogna. I conti di casa, tra lui e mamma, erano il momento più serio della giornata. Rammento i loro dialoghi, pieni di ansia e preoccupazione. Si ascoltava alla radio, Nunzio Filogamo o Corrado, appoggiando i gomiti sul tavolo di marmo di cucina. A volte papà telefonava, in qualche fine mese, a nonno Celso, suo padre, per un aiuto, di poche lire. Nonna Amina, lasciava sempre cento lire, nel cassettone di mamma, per le vere emergenze. Il mese successivo, all’arrivare dello stipendio, tutto andava velocemente restituito. Le scarpe, le si risuolava sino alla distruzione. Il problema era ricomprarle. I miei calzoni alla zuava, fatti da quelli da ski di mamma, in gioventù, mi durarono per tutte le elementari. "Con tutti quei rammendi sotto il culo, puoi sederti sul freddo marmo della cucina". Il cappotto era di zia Maria, bassina, per un incidente alla colonna vertebrale, da ragazza. Lo portai alle medie, invertendo l'abbottonatura. Ma ai miei compagni non andava la pelliccetta sul risvolto del collo. Ne pizzicavano ciuffi, nei momenti di balordaggine. Quale vergogna sopportata, senza alcuna ribellione. I calzettoni, non stavano su, come a quelli dei figli benestanti. L'elastico di gomma, lasciava il segno e prudeva, quando li toglievi. I vestiti si "risvoltavano". Sono nuovi! Ci convincevamo. Colletti e polsini delle camice, avevano un loro commercio a parte. Il cinema era l’unico lusso, raro. Raccontarlo agli altri, con dovizia di particolari, era uno spettacolo accessorio e gratuito. Non ho mai sentito parlare di vera crisi in casa, anzi lo ripenso come uno dei momenti più sereni della nostra famiglia. Forse si era più forti.