Notte di fuoco col Toy boy
Adulti. Descrizioni pornografiche.
Uno dei capitoli incandescenti del mio nuovo libro: Una vergine al Sabba, il primo erotico porno‐fantasy, pubblicato con Manuel e Monica Drake come editori e amici.
Squadrai il ragazzo di sottecchi: era veramente bello. Alto, con un fisico palestrato, come gli spogliarellisti che a volte avevo sbirciato sui giornaletti che ci passavamo a scuola.
Si tolse la giacca e la cravatta, poi si tolse scarpe e calzini, e sistemò tutto ordinatamente su una poltroncina all’ingresso. Doveva conoscere bene l’albergo, perché si muoveva a suo agio.
– Come ti chiami? – mi domandò, fissandomi con occhi neri e penetranti.
– Giovanna, – risposi – e tu? – Presi coraggio e, per non rendermi ancora ridicola, venni fuori dal mio nascondiglio improvvisato e mi mostrai così com’ero, non senza un certo piacere nel farlo. L’elisir della prozia manteneva il suo effetto esaltante e la pomatina spalmata al culo mi dava un senso di caldo ai genitali.
– Io sono Germano. Vieni, sediamoci e rompiamo il ghiaccio. – mi prese per mano e mi accompagnò al divano di fronte alla tv.
– Solo un momento… – aggiunse mentre sedevo. Mi diede un piccolo bacio sulle labbra, breve e dolce, e si spostò verso il frigo bar. Ne estrasse una bottiglia di spumante e delle coppe. Prima di sedersi al mio fianco, col telecomando, cambiò il canale della TV e, d’improvviso, davanti ai miei occhi, comparvero delle scene erotiche, dove i protagonisti facevano di tutto e di più…. Restai di stucco.
Germano sedette e finse di non accorgersi del mio disagio, mentre mi offriva la coppa, piena per metà. Mi si mise a fianco e mi pose una mano sulla spalla, come fosse un vecchio amico.
– Iside, – chiamai – vuoi un po’ di Champagne? – cercai di darmi un tono vissuto. Lei era nell’altra stanza e ne venne fuori completamente vestita.
– No, grazie, Giovanna. Vi lascio soli, e… ti lascio in buone mani. Divertitevi!
Fece un cenno a Germano, chiamandolo a sé per un qualche motivo. Ma io bloccai la scena, tanto da sorprendere persino lei.
– Eh no, scusa! – mi imposi senza troppi convenevoli – Tu di qua non ti muovi… Altrimenti, se ne va anche il “Signore”. Voglio che rimani con me!
Iside fu presa alla sprovvista, ma capì che ero decisa. Ed io, a mia volta, fui certa che restare le avrebbe fatto piacere. Lanciò un’occhiata complice all’uomo: – E per Germano?
– Bellissime signore, con quello che “costo”, non vedo l’ora di servirvi e di fare anche gli straordinari… – disse spiritosamente – Per stasera, non ho altri impegni.
– E va bene. Ti farò da assistente! – disse Iside – Vado di là ad indossare qualcosa di più comodo. Voi cominciate pure…
Poi, rivolta a lui: – Senti, Germano: Giovanna è ancora vergine davanti, e così voglio che resti. Ci siamo intesi?
Lui brontolò di malumore: – Uff…, peccato… Ok, ok! Ma… dietro?
– Dietro, se vuole, può fare. Il culetto è suo!
Germano passò all’azione appena Iside si voltò e, meravigliosamente, mi baciò. Fu languido, profondo, intenso. Le sue labbra erano fresche e sensuali; dopo vari sfioramenti e tenerezze, mi aprì la bocca con la lingua virile e me la ficcò tutta dentro.
In quegli ultimi giorni, mi avevano fatto di tutto, ed io avevo fatto un sacco di “porcherie”, ma con uomini vecchi e deformi. Solo l’eccitazione della novità, della profanazione, della prima conoscenza del cazzo, mi aveva procurato un certo piacere, essenzialmente “meccanico”. Ora, apprezzavo con tutta l’anima quei baci da innamorato. Erano romantici, finalmente: nonostante tutto, non era solo sesso.
Mi baciava dappertutto, tanto da farmi ritenere che piacesse anche a lui… veramente. Germano dovette accorgersi di quanto lo desideravo, perché ci dava dentro con tutto il cuore.
Nonostante fossi inesperta, feci del mio meglio per imparare e contraccambiare il suo slancio. Mentre mi baciava e leccava la mia saliva, con le mani mi carezzava tutto il corpo, ma senza infilarsi sotto la lingerie. Amava toccare i bordi, dove le calze o la biancheria si scontravano con la mia pelle delicata e arrendevole. Con esperienza e gesti calibrati, tolse i pantaloni restando con la camicia aperta sul petto, villoso al punto giusto, e con i boxer, dove un rigonfiamento notevole evidenziava il suo sesso quasi del tutto eretto.
Ancora abbracciato a me, mi cercò la mano e la pose sul pene da sopra le mutande. Quel contatto ruppe gli indugi, e la mia eccitazione ci permise di entrare, finalmente, in confidenza.
Decisi di prendere l’iniziativa e infilai la mano sotto i boxer, a caccia del bastone. Al tocco, sentii che rispondeva bene, mentre la cappella si sollevava verso l’alto, come un fungo cresceva a vista d’occhio.
Non credevo alle mie emozioni, quando mi resi conto di essere arrivata alle sue palle morbide, mentre la testa di quel cazzone era quasi all’altezza del mio gomito. “Incredibile…” pensai tra me e me. Mi venne spontaneo di sbirciare nella penombra: effettivamente, Germano aveva un pitone tra le gambe.
A quel punto, il ragazzo si alzò in piedi e si tolse le mutande e la camicia, restando completamente nudo. Stranamente, si pose davanti a me, che ero seduta sul letto, voltato all’indietro. Non capii, però non trovai niente di meglio da fare che abbracciarlo all’altezza del sedere e cercargli il pene, sul davanti, circondandolo con le mani. Gli presi il lungo arnese e, intanto, gli tenevo la guancia su una chiappa.
Allora, Germano si aprì il sedere con le mani ed io decisi di fare una cosa che forse poteva anche offenderlo, chissà? Ma fui solo spontanea: ormai l’odore intimo e selvaggio dei genitali e delle natiche sudate mi avevano pervasa, dandomi alla testa. Così avvicinai le labbra al suo culo e gli leccai quel buco che lui stesso dilatava con le dita. Lo sentii sussultare; tant’è vero che lasciai il cazzo e gli presi le natiche io stessa tra le mani, stringendo per baciargli meglio il sedere possente. La mia linguetta sciabolava in quel buchetto cedevole e fragrante.
Nella figa avevo un lago, oramai.
Germano ebbe un fremito di piacere e si spinse verso l’alto sulla punta dei piedi: Iside si era inginocchiata davanti a noi e, senza toccarlo con le mani, gli aveva catturato il glande gonfio tra le labbra.
Era stupenda: aveva indossato degli stivali neri, di pelle morbidissima, alti fino al ginocchio e, sotto, delle calze nere autoreggenti e opache, che li superavano di pochi centimetri. Aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo e, per il resto, era completamente nuda: una statua dal corpo perfetto e con due seni tondi e svettanti da fare invidia.
Mi spostai al suo fianco: non potevo perdere il piacere di osservarla mentre faceva un pompino ad arte.
Il cazzo di Germano, lungo e serpentino, non era proprio durissimo, a causa delle dimensioni esagerate, quindi si lasciava sagomare comodamente. Iside, che doveva essere una grande porca, se lo indirizzava in bocca, come una mangiatrice di spade. Lo tirava verso sé e faceva in modo che si adattasse prima alla bocca, e poi alla gola. Insomma, riusciva a far sparire quel cazzo di circa trenta centimetri fino ai coglioni.
Resisteva vari secondi in apnea, per poi riprendere aria, tirando la testa all’indietro, eruttando quella mazza notevole e lasciandola arrapata, a mezz’aria.
Germano sudava: – Mi fate impazzire! – disse sinceramente.
La “bella signora” aveva gli occhi umidi di lacrime, a causa del soffocamento: goccioloni di saliva, densa e trasparente, venivano giù dalle sue labbra.
Non paga, si voltò a mio favore e mi mise tutta la lingua in bocca, baciandomi da vera troia. L’odore del cazzo era tutto spiaccicato su quella bocca, rendendo il suo bacio pieno di libidine.
Ci mettemmo in posizione e cominciammo un bocchino a due. Iside teneva le redini della situazione, ficcando il cazzo nelle nostre bocche. Fece del suo meglio per farmelo inghiottire totalmente, ma non ne ero capace.
Mentre passava da una gola all’altra, Germano, per meglio soffocarci, ci teneva per la nuca, tirando a sé ora l’una, ora l’altra di noi.
– Lecca i coglioni, adesso, – mi esortò Iside, ed io prontamente eseguii, mettendomi prona sotto il cazzo di Germano. Lei, intanto, glielo teneva in mano e lo masturbava, con in bocca solo la capocchia, tra le labbra socchiuse.
Venni presa da una furia sessuale che mai avevo conosciuto e succhiavo i coglioni: erano grossi e scivolavano piacevolmente tra le mie labbra umidicce; mi entravano in bocca e venivano a contatto della lingua, e allora succhiavo… facevo il vuoto così, e le palle si adattavano completamente al mio palato.
Iside stava roteando la lingua sul glande, rosso e spropositato, del giovane playboy. Si staccò malvolentieri dal cazzo e me lo prestò, per permettermi di ingoiarlo, pieno di liquido tra cui la delicata saliva di lei.
Piano, fece stendere Germano sul letto, con i piedi ancora per terra e con me che arrancavo, per non perdere il grosso cazzo dalla bocca.
Fui costretta a fargli il pompino, alzata e piegata a novanta gradi, con le braccia poggiate sulle sue gambe muscolose e le mani tra le sue cosce, godendomi col tatto il cazzo morbido e consistente del giovane; aveva la pelle di seta e, con le dita, mi studiavo le vene in rilievo che lo facevano sembrare una scultura.
Gli prendevo nel palmo anche lo scroto, quella borsa di carne morbidissima, colore del cuoio, quelle palle perfette, ovoidali, che si facevano sempre più calde: mi trasmettevano potere ogni volta che le prendevo tra le mani, sapevo che la vita di quell’uomo era concentrata tutta li…
Il cazzo era veramente enorme, per questo il sangue che affluiva non riusciva quasi a tenerlo duro come pietra, come quello che avevo saggiato (con dolore) nel caso del pene di Pompeo. Quando il porco si eccitava, il suo cazzo era di marmo: neanche premendolo in mano riuscivo a cambiarne la consistenza; praticamente, era come un osso.
Invece, questo era più morbido e pericoloso: adattandosi perfettamente alla bocca, e infilandosi serpentinamente fino nella gola, tendeva a soffocarmi.
Ai primi “affondi”, mi trovai in difficoltà, perché d’improvviso non mi entrava più l’aria, neppure dalle narici. Presa alla sprovvista, strabuzzavo gli occhi, mentre conati di vomito mi facevano cacciare fiumi di saliva dalla gola.
Capii che era colpa del cazzo: una volta in bocca, non scompariva “nel nulla”, ma si infilava per vari centimetri nella gola, otturando i fori di entrata dell’aria dal naso.
Che meravigliosa sensazione studiare la tecnica del bocchino.
Mi sentivo una troiona e aprii le cosce, smisuratamente vogliosa.
Iside non aspettava altro. Mi infilò la lingua in figa e mise la bocca sulle mie piccole labbra, modulando un risucchio incredibile che le faceva vibrare e tremare. La mia pancia sussultava sotto le sue pressioni; a tratti mi sentivo venire meno.
Intanto, per fortuna, avevo imparato a gestire la giusta respirazione per gli ingoi di cazzo. Infatti, adesso arrivavo senza problemi con le labbra fino alle palle. Mi fermavo in apnea, gustandomi la sensazione di riempimento e poi, lentissimo, facevo sgusciare fuori il serpentone carnoso di Germano.
Iside, oltre a farmi una minetta da urlo, mi introdusse i pollici nei due orifizi a disposizione, l’utero e l’ano e, appena mi succhiò il clitoride per l’ultima volta, venni sbrodando, accasciandomi sulle gambe e senza forze, la testa abbattuta su un fianco del ragazzo e il suo cazzo infisso in bocca, ciucciando come una bambina succhia al seno materno.
Germano guardava affascinato la scena rimandata, in tutta la sua eccitante complessità, dallo specchio posto al lato del letto. Senza alcun avviso, né particolari contrazioni, anche lui spossato e languido, cominciò una lunga sborrata nella mia bocca: senza sussulti, come se stesse pisciando sperma.
Iside, che controllava tutto, si accostò veloce e mi sussurrò:
– Dammene un po’ tesoro! –mi scostò dal cazzo di lui, che tenne in mano come una maniglia mentre mi baciava languida e felice, raccogliendo lo sperma del ragazzo con la lingua. Dalla mia bocca, passava a leccarlo anche dalla sua pancia, sulla quale era colata una parte della sborra, per sorbire anche quella. Tra l’una e l’altra, lisciammo il cazzo del nostro amico meglio di un bidet.
Ci sistemammo tutt’e tre; bevemmo qualcosa, io andai a fare pipì e a lavarmi la figa. Mentre mi toccavo, speravo che, di lì a poco, Iside mi avrebbe fatta sverginare da Germano. “Non fa niente che è uno sconosciuto e che non c’è alcun romanticismo, voglio un cazzo in figa… Basta con i surrogati!” pensai.
Quando tornai in camera, i miei amanti erano sul letto e scambiavano qualche parola.
– … Mai successo prima… Siete meravigliose. – stava dicendo Germano. Con lo sguardo estasiato, accarezzava le forme sinuose e affascinanti di Iside E poi, ancora: – Credo che dovrò cambiare “lavoro”! Come posso accontentarmi di un’altra, adesso? Magari una vecchia o una grassona sudata e puzzolente?
Iside rideva e mi fece posto al suo fianco:
– Allora, dopo ti leggo le carte e ti svelo il tuo destino, vuoi? – disse la strega che, finora, di diabolico aveva dimostrato solo una grande libidine.
Mi abbracciò le spalle e mi strinse a sé. Così facendo, voltò il culo verso il giovane e si dedicò teneramente a me, baciandomi con passione. Io ricambiai con grande trasporto quel bacio perverso. Accettandolo, ammettevo di essere lesbica e porca, ma che importava? Ero felice e innamorata… E la sua bocca era dolce e peccaminosa come il succo di melograno.
Germano, senza bisogno di esibire il suo mestiere, venne conquistato sinceramente dallo spettacolo che quella puttana gli offriva. Il culo, sodo e perfetto, si dimenava a pochi centimetri da lui, le calze aggiungevano un tocco irresistibile ai movimenti sinuosi, e la sua vulva, gonfia e umettata, faceva capolino ogni tanto tra le natiche, mostrandosi come una virgola rosea ed invitante.
Il ragazzo non si trattenne oltre e, mentre Iside si abbassava a lavorarsi le mie notevoli bocce e i capezzoli turgidi, la montò da dietro, steso su di lei. Appena penetrato nella figa della donna, lei, accusando la botta, strinse con forza le mie zinne; poi arrivò lui e si fece spazio per succhiarmi un capezzolo. Le loro teste erano sul mio petto come per omaggiarmi, e ognuno di loro due si prendeva delicatamente cura dei miei seni, leccandoli e succhiando.
Poco più in basso, potevo vedere il bastone di lui che chiavava in Iside, proprio davanti al mio sguardo virginale (sì, era così: ero una troia, ormai. ma ancora vergine, purtroppo).
Lei raccolse un cuscino e, sollevatasi, se lo mise sotto la pancia, abbandonandosi lasciva alla scopata.
Inoltre, mi aprirono le gambe e, lavorando in squadra, mi fecero un memorabile ditalino. Persa nel piacere, carezzavo la schiena e la nuca di Iside e godevo senza frenarmi… Poi, per un poco, si scordarono di me, perché lei era quasi pronta per l’orgasmo. Cambiarono posizione.
Lui si mise steso sotto e Iside lo montò. Trovai eccitante e proibita la capacità con la quale lei raccolse il cazzone con la mano sinistra e, adoperandolo come uno scettro inanimato, si cercò la fessura e quindi lo cavalcò.
Volli vedere meglio, così mi spostai… La splendida valchiria non andava solo su e giù, ma anche avanti e indietro, strusciando per farselo oscillare in vagina. Il grosso cazzo le scompariva in corpo, e le grandi labbra formavano una specie di anello intorno ad esso, avvolgendolo completamente.
Mi alzai e le andai di fronte volevo baciarla in bocca, ma lei non ricambiò: era persa nei suoi desideri e aspettava solo di venire.
Il ritmo della cavalcata incalzava e Germano sosteneva benissimo l’assalto di Iside. Lei cominciò a lamentarsi lentamente e languidamente, ma poi una serie di “Ah, ah, ahhh” scandirono le pompate successive. Senza fermarsi, la strega cominciò a venire, ora urlando di piacere, roteando inconsultamente sul perno di lui, tenendoselo tutto dentro la pancia, fino all’ombelico.
Venne così, per vari minuti.
Germano si trattenne dallo sborrare. Lei capì perché: mi voleva ancora!
Iside, spossata e quieta, si fece da parte e, piena di gratitudine come lo fu di cazzo, disse:
– Wow! Mi ci voleva! – Poi, lanciandomi uno sguardo d’intesa, aggiunse: – Ragazzi, adesso tocca a voi. – e, più severamente ad entrambi: – Mi raccomando, solo nel culo, eh?
Aveva l’aria della mammina che ti ammonisce, come ti chiedesse di non far tardi al cinema.
Mi piacque offrirmi come una puttana ben preparata.
Salii sul letto e mi misi a pecorella, con il cuscino sotto la testa, i gomiti ben piantati e, puntando sulle ginocchia, offrii il culo a Germano. Lui prese posizione e, come un carnefice che accomoda la vittima, mi tirò più indietro per potermi penetrare in piedi.
Io, per sottolineare un finto disinteresse ed una arrapante disinvoltura, accavallai i piedi.
In poche mosse, mi fu dietro. Mi leccò il culo, poi ci sputò dentro, mentre si carezzava il cazzo per renderlo più duro e micidiale. Infine, lo puntò…
Grazie alla pomatina miracolosa, mi penetrò senza intoppi, gonfiandomi il budello molto agevolmente. Ancora una volta, quel cazzo gonfio, lungo e morbido, mi stupì per quanto era plasmabile: si adattava perfettamente alle pareti dell’intestino e saliva su, su… Come il mercurio in un termometro.
Io sbuffavo come fossi una locomotiva, mentre prendevo tutto lo stantuffo in corpo. Per aggravare l’inculata, Germano lo tirò fuori, facendomi emettere un sacco d’aria dal budello e poi, tenendoselo in mano, mi puntò di nuovo, osservando attentamente la posizione dell’ano, per non mancarlo.
Rapido, mi costrinse ad aprirmi le natiche con le dita per avere la via facilitata… Iniziò ad incularmi, entrando tutto e poi fuoriuscendo. All’inizio, la sensazione di apertura mi sconvolgeva ma, pian piano, lo sfintere si abbandonò e il mio orifizio si aprì completamente, quasi fosse una cavità naturale.
Il giovane era troppo arrapato ormai. Mi si rimise tutto dentro, questa volta rimanendo immobile.
Iside si introdusse nella lotta: – Ecco, – disse con voce roca – sfondale il culetto, Germano… Dai, che le piace assai! – e così si mise al mio fianco: pose una mano sulla schiena, poco sopra il culo, per farmi inarcare e prendere ancora più mazza, e l’altra sotto, per masturbarmi. – Adesso le conto: penetra bene per dieci volte e, all’ultima botta, devi sborrare!
Queste parole secche, decise, non fecero che aumentare la nostra eccitazione.
Come se fosse seguita ad una condanna, la pena veniva eseguita: – Una! – sentenziò Iside – dai, sfondale il culo, non deve dimenticarti, stallone… E due…Tutto nelle chiappe, infisso come una zeppa di legno duro.
Il ritmo del ditalino sotto di me incalzava, e Germano sudava copiosamente.
– Adesso sii pronto, – disse – il suo culo dilatato aspetta tre affondi della tua lancia, veloci e inesorabili. Daiiii!
Iside arrapava peggio di noi: – Uno… e due… Svelto! E… tre! Bravo, fermo ora, restale in culo!
I suoi ordini erano precisi e appropriati: era impossibile contrastarli.
Io e il mio culo eravamo rassegnati a subire quei colpi contati, con la certezza che, di li a poco, sarei stata riempita di sborra estranea… Come quando il benzinaio ti fa il pieno alla sua pompa.
– Sei, – lo incalzò Iside – preparati a schizzare.
– E… sette. Apri il culetto, amore. Manca poco…. Solo un poco di sofferenza ancora, per il piacere di questo giovane. Ci stai?
Io mugolai un sì, col respiro rotto e col ditalino che mi sconquassava.
– Otto… dai, Germano. Infila la spada; tu sei un maschio e domini il suo culo. – La stanza vibrava, tutto aspettava il finale di quel conto pieno di parossismo.
– Nove! Lo sperma ribolle… Spingi, spingi… – poi, premendomi sulla schiena: – Inarca il culo, offrilo… presto… presto: arriva il suo dono liquido.
Iside sapeva cosa faceva!
– E… e… ora… È ora, adesso…
Era talmente arrapata che, sono certa, stesse venendo anche lei, senza toccarsi.
– Dieci! Oh, dieci! Germano, eiacula… Ti preghiamo! Fai scorrere il tuo fiume nel suo culo… – lo disse quasi singhiozzando.
E così fu!
Come da lei comandato, il ragazzo spruzzò, premendo tutto il cazzo in fondo a me, come una grossa siringa da cavallo.
Sentivo la sborra calda espandersi nell’intestino. Ero al settimo cielo.
Germano restò infisso in me. Iside mi abbracciò la pancia, come volesse preservare lo sperma depositato nel mio antro. Con le dita in un bagno succoso, mi fece sborrare a mia volta, copiosamente, in una ridda di sussulti irrefrenabili.
Molto più tardi, ci lavammo…
Ci facemmo portare dei caffè dal bar, aperto tutta la notte, poi, scherzosamente, Iside gli fece le carte con le “napoletane”. Gli disse delle cose che non ricordo e, alla fine, gli toccò le tempie con la scusa di sentire le sue pulsazioni.
Germano sussultò, come se avesse preso una scossa, scartando all’indietro. Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, ci guardò stupito e confuso…
Iside gli piazzò in mano il vassoio con le tazze sporche.
– Grazie, giovanotto. – disse imperiosa – E tieni, questi sono per te!
Posò dieci euro sulla guantiera. Il ragazzo era completamente fuso, ma ringraziò farfugliando, si scusò senza capire un granché e fece marcia indietro, incespicando, fino ad uscire.
Una volta nel corridoio, rimuginava stupito: non sapeva che ci facesse lì e non sapeva chi fossero quelle due bonazze nella camera. Ricordava solo che erano praticamente nude… E che lui, come un coglione, se ne era uscito senza una parola, come un gatto bastonato.
Non rammentava più niente di quella sera, aveva mal di testa e un po’ di nausea.
Meglio tornarsene a casa… Sì… Ma dov’era casa sua? Boh!
Iside ed io ci adagiammo insieme nello stesso lettone, quello ancora non disfatto, con le lenzuola fresche e pulite.
Prima di addormentarci, infantilmente chiesi:
– Ma allora, non hai pagato Germano?
E lei, sorridente, con aria distaccata, rispose: – Se dopo le scopate che gli abbiamo regalato, lo avessi anche pagato… Stavamo fresche, cara mia. – Quindi, voltandosi dall’altra parte per prendere sonno:
–… E, dopotutto, se voleva fottere senza pagare, doveva incontrarsi con le fate… Non con le streghe!
Sbadigliò, mentre spegneva la luce.