Ombre capp. 17 -
Capitolo 17 ‐ Tutto l'aiuto possibile
Suor Agnes ci guarda con qualcosa negli occhi che mi fa pensare alla gratitudine, ma gratitudine per cosa, penso, mentre la pressione che sento addosso sembra volermi staccare le braccia dal corpo e la presa di ognuno sulle mani dell’altro è più la disperazione di chi si attacca all’ultima risorsa possibile che forza di volontà.
Come in risposta ai miei pensieri Suor Agnes sposta lo sguardo su di me, indubbiamente su di me, e mi fa dono di uno dei suoi indefinibili sorrisi mentre sento la sua voce nella mia testa ma non nelle mie orecchie
“Per non aver perso la fede”
Poi allarga le braccia in quella che sembra una preghiera e guardando verso l’alto, un alto che va ben oltre il soffitto di questa sala e senza muovere le labbra, pronuncia queste parole
“Fratelli di ere lontane, cavalieri devoti alla Santa Croce, io qui vi invoco, il vostro aiuto è richiesto perché la tenebra dell’anima soccomba alla luce della verità”
Per un lungo momento quelle parole rimbombano nelle nostre menti mentre il tempo sembra sospendersi e persino il nostro resistere sembra non costarci alcuno sforzo. Poi alle spalle della nostra catena umana un altro cerchio si forma, li avvertiamo prima ancora di percepirne la presenza.
Con lo sfarfallio di tubi al neon che stentano ad accendersi completamente, come se le loro vibrazioni arrivassero da troppo lontano per avere di loro un’immagine chiara, cavalieri in armatura si materializzano alle nostre spalle. Non si muovono, non accennano a combattere, rimangono immobili nelle loro ieratiche posture, trasparenti ai nostri occhi, ci sono e non ci sono allo stesso tempo, eppure sono con noi.
E lo avvertiamo. Tutti insieme, nello stesso istante, le nostre espressioni lo dicono. Sostenere la pressione di Mater non è più così faticoso. Ancora conteniamo la sua forza, ancora sentiamo la sua furia spingere contro di noi ma è uno sforzo che riusciamo a fare senza più fatica. I cavalieri alle nostre spalle sembrano arginare quella marea nera senza nemmeno muoversi e il nostro stesso reggere diventa un altro muro che Mater non riesce a superare.
La vediamo spingere ancora, impiegare tutte le forze di cui può essere capace con la stessa violenza di un uragano ma quella violenza rimane racchiusa e non supera la cupola che la contiene, che la limita.
Come avesse raggiunto il limite di una forza che pareva non averne la vediamo piegare un ginocchio a terra, mentre non cessa di spingere con tutto l’odio, la rabbia, la protervia di cui è capace.
In quel momento una scintilla, come una favilla che si alzi da una fiamma ardente, si stacca da lei e fluttua in aria, volteggiando, si direbbe di proposito, al disopra di noi. Se fosse una cosa viva si direbbe si stia guardando intorno per capire cosa sta succedendo. E forse la favilla è viva davvero perché la vediamo puntare senza esitazioni verso Suor Agnes, fermarsi ad un passo dal suo viso e roteare in piccoli circoli che sembrano esprimere una gioia incontenibile.
Non ci viene concesso di sentire il loro dialogo ma ciò che sentiamo nelle nostre menti è più che sufficiente a farci capire cosa sta accadendo.
“Jacob... amico mio... sì, sono io... Sono venuta a mantenere la mia promessa. Ora va a chiamare tutti gli altri, vi porto a casa...”
Una freccia infuocata non potrebbe muoversi più velocemente di quella favilla che supera indisturbata la cupola invisibile che contiene Mater e la schianta al suolo colpendola in pieno petto.
Per un momento lo scuotersi di Mater ricorda il movimento di una testuggine rotolata sul proprio dorso mentre cerca di riaversi dalla caduta. Poi, con lo stesso effetto di un ciocco di legno buttato nel fuoco, prima un’onda, poi un flusso di faville esplodono da lei, sciamando tutte verso Suor Agnes mentre Mater grida a lungo e protende invano i suoi artigli verso quel flusso che non riesce più a trattenere, senza riuscire a bloccare una sola favilla che le sfugge dal corpo.
Le faville entrano tutte nel corpo di Suor Agnes la cui aura si espande diventando sempre più luminosa, finche’ lei inizia a fluttuare ed allargando le braccia si trasforma lei stessa in un portale di luce attraverso cui per pochi attimi riusciamo a scorgere un’altra dimensione, fatta di onde di luce diverse che si incrociano senza toccarsi, un sentimento dilagante di essere insieme eppure distinti... E poi è già tutto svanito...
Suor Agnes tocca di nuovo il suolo con grazia, alza un braccio verso l’alto come un saluto e senza muovere le labbra dice
“Abbiate pace, cavalieri. Il vostro servizio è ancora una volta compiuto”
Il cerchio di cavalieri alle nostre spalle compie all’unisono un passo indietro e senza che nessuno di loro cambi la propria postura, in un respiro svaniscono come tornando là da dove erano venuti.
Poi avanza verso Mater. Solo ora ci ricordiamo dell'oscurità contenuta sotto la cupola invisibile ma quando il nostro sguardo si volge di nuovo verso di lei, Mater è completamente trasformata. Dentro il cerchio c'è una vecchia che potrebbe avere cento anni o anche mille, non farebbe alcuna differenza. Non indossa più l’abito nero, al suo posto c'è una tunica bianca che non le copre i lunghi capelli canuti. La sua espressione confusa ricorda qualcuno che si sia appena svegliato da un sogno.
Suor Agnes entra nel cerchio e pur senza vederlo avvertiamo subito che la cupola invisibile è svanita. Si avvicina a Mater, che la fissa per la prima volta con aria spaventata, e le porge la mano
“vieni con me Madre, anche per te è venuta l’ora di tornare a casa”
Mater le prende la mano e piano, con passo esitante la segue fino al muro dove il portale si apre di nuovo per farla passare oltre. Poi più nulla.
Solo adesso ci rendiamo conto che ci stiamo ancora tenendo per mano, che il nostro cerchio non si è mai spezzato.
“Venite”, ci dice Suor Agnes con un sorriso che contiene verità che noi possiamo solo vagamente intuire. La vediamo passare attraverso il muro sigillato e ovviamente ci fermiamo, per un attimo interdetti. Suor Agnes riappare, ridendo stavolta, “perdonatemi” dice, “volevo ricordarmi cosa vuol dire essere vivi e limitati. Ora seguitemi” e il suo bagliore apre un portale per noi che ci porta dall’altra parte del muro.
Risalendo le scale notiamo che le ultime sono ricoperte di legno mentre quando usciamo alla base della torre sono tutte ricoperte in marmo.
Fred si allarma un attimo perché sembra tutto troppo nuovo rispetto a quando siamo scesi.
“non temere” lo tranquillizza Suor Agnes, “state vedendo i miei ricordi, quando io vivevo qui questo posto era come lo vedete voi adesso”.
Senza ulteriori commenti ci scorta fino alla sala di ingresso principale.
“Il portone è bloccato” le dice Albert, abbiamo provato ad aprirlo ma senza riuscirci.
Suor Agnes gli sorride e anche Albert arrossisce, “ora può essere aperto, non c'è più nulla da contenere qui dentro”
Forse solo per uscire dall’imbarazzo Albert prova a muovere i chiavistelli e tutti scorrono come fossero stati appena lubrificati. Il portone principale si spalanca lasciando entrare luce, aria, vento, avvertiamo il cambiamento dell’odore intorno a noi appena accade.
“Andate” dice, in un congedo che non suona affatto come tale. “Avete adempiuto al vostro scopo come io ho adempiuto al mio”.
Se tutti gli altri provano ciò che provo io, abbiamo tutti la testa piena di domande ma nessuno pronuncia parola. Per qualche motivo tutte le nostre domande appaiono totalmente irrilevanti, superflue.
Mentre mi accodo agli altri, ben felice di chiudere la fila, sento ancora la voce di Suor Agnes, ma non si rivolge a tutti noi.
“Sheldon... Charlotte...”
Io e Charlotte ci guardiamo poi muoviamo verso di lei, che è rimasta indietro, in fondo alla sala.
“Cercate nelle vostre tasche”, ci dice.
Charlotte tira fuori dalla giacca una sottile catenina in argento con un crocifisso ancora dorato e la fissa con occhi sbarrati.
“Era il mio. Tu sei un’infermiera. Portalo con te. Ti aiuterà ad avere cura dei tuoi pazienti”
Penso che Charlotte voglia dire qualcosa ma un singhiozzo glielo impedisce.
“Si... certo...” risponde col suo solito sorriso Suor Agnes alla sua domanda non posta.
Charlotte chiude la catenina nella mano e si avvia senza aggiungere altro.
Io frugo nelle mie tasche e giuro che sto tremando, non ho idea di cosa possa trovarci. Tiro fuori anche io una catenina, più spessa e pesante di quella di Charlotte, metallo grezzo, non argento o oro. Attaccata una croce in metallo rosso.
“E’ la croce dei cavalieri templari, per il tuo coraggio”
È troppo, non riesco ad accettarla.
“Non posso, mi spiace... Per la metà del tempo non avevo idea di cosa stavo facendo...”
Suor Agnes mi sorride e finalmente capisco perché tutti arrossiscono. Nel momento stesso in cui ti sorride lei è lì dentro di te, vede tutto quello che sei, che desideri e che fai e ti accoglie comunque.
“Ma l’hai fatto lo stesso”, mi risponde, unicamente a mio beneficio, perché chiaramente non ne avrebbe bisogno, so già quello che vuole dirmi, lo sento dentro
“E li hai tenuti tutti al sicuro. Li hai protetti. Hai fatto il tuo dovere di cavaliere, ecco perché devi accettarla”
Vorrei dire qualcosa ma non ci riesco e non penso nemmeno servirebbe.
“Devi solo andare avanti così”, conclude.
Andare avanti, penso, mi inchino verso di lei e mi giro verso il portone.
Fuori mi accoglie l’aria fresca e un venticello primaverile. E gli altri che alla snocciolata si dirigono silenziosi verso il Traveller.
Mi giro un’ultima volta verso il portone e la vedo, sulla soglia. Un saluto muto, poi la vedo svanire come nebbia al sole.
“cosa guardi?”, mi chiede Ben, tranquillo.
“Salutavo Suor Agnes...”
“Chi?”, Ben mi guarda come cadesse dalle nuvole
“Su... ah... il sigillo degli angeli...”
“di che parli, non capisco”
“sai si dice che quando nasciamo un angelo ci metta un dito sulle labbra per non farci rivelare cosa c'è nel mondo prima di questo, per questo abbiamo la fossetta sulle labbra”
“Ah...” Ben è gentile ma non capisce dove voglio andare a parare. Così lo porto su un altro discorso...
“Senti Ben... Percepisci qualcosa tu qui?”
Mi guarda come chiedendosi chi te lo ha detto...? Però evidentemente accantona la domanda e mi dice
“No.… niente... solo aria e pietra...”
“Niente fumo...?”
Continua a fissarmi, come pensando come diavolo fai a saperlo...?
“No”, mi dice, senza pensarci troppo, “niente di niente...”
Arrivati al Traveller trovo tutti quanti in una discussione animata
“che succede, Wilton?”
“Non so cosa vi siete fumati lì dentro ma non sono passate nemmeno quattro ore da quando siete entrati e ora mi parlate di ore interminabili, qualcuno ha la sensazione di essere stato lì dentro addirittura per settimane”
Anche io mi rendo conto di non ricordare quanto tempo abbiamo trascorso dentro Abbey Hill. Guardo il mio orologio e noto che segna poco dopo le 11 il che è impossibile. Ricordo come si fosse bloccato dopo la caduta nella sala delle anime vaganti.
“Tu sei sicuro che non siano passate nemmeno quattro ore?”, chiedo a Wil.
“Senti ho con me la mia compilation preferita di rock anni 70 che dura circa 2 ore e non ho ancora ascoltato “Riders on the storm” per la terza volta ed è la prima!”
“Abbiamo respirato quell’aria forse un po’ troppo a lungo”, dico al microfono, mentre torniamo alla New Light “chiaramente i pazienti che hanno soggiornato li hanno davvero vissuto la sensazione di non uscirne mai e in qualche modo il luogo ne è impregnato”
“Si chiama eco psichica”, interviene Ben, come se lo dicesse per la prima volta.
Tornando al mio posto il mio sguardo incrocia quello di Charlotte e tento la domanda che può farmi passare per folle, ma devo.
“Senti, Charlotte... tu... ti ricordi?”
Charlotte mi fissa per un momento, come ad accertarsi che stiamo parlando della stessa cosa poi mi prende la mano e dice
“Si Shel... mi ricordo tutto. E’ ciò che ho chiesto, di poter ricordare. E farò in modo di non dimenticare”.