Ombre Capp 6 - 8

Poi lancio i dadi... "Domande? Sono sicuro che ne avete..."

"Queste entità, questi spiriti", chiede subito Debbie, "perché sono ancora qui? Non dovrebbero essere, non so, da qualche altra parte? Non sono molto credente, ma non pensate che dovrebbero essere... nell'aldilà? All'inferno o in paradiso. O come volete voi. Perché sono ancora qui?"

"Oh, ora sei un esperta", interrompe Fred

"Oh, stai zitto, Fred. La vecchia in bagno mi ha spaventata a morte, lo sai, e mi chiedevo ancora se avessi ragione e se quella voce fosse stata uno scherzo della mia immaginazione.

“Ma dopo aver visto quelle persone, così perse, così sole... ho capito che persino la voce che ho sentito in bagno non era aggressiva o malvagia...” Era... Triste, rassegnata, senza speranza”.
“Mi ha terrorizzata, è vero, ma è questo che mi ha lasciato. Tristezza, disperazione.
Perché camminavano da sole, senza alcun contatto tra loro, come anime vaganti?”

“Non posso darti alcuna certezza”, devo ammettere, “ma penso che ciò che hai percepito sia corretto. Come ha detto Ben prima sugli echi psichici, le entità che hai visto sono come echi di persone”

“Non sono qui perché non appartengono più a questo livello di realtà, ma allo stesso tempo non possono raggiungere il loro livello successivo, perché per qualche motivo sono intrappolate qui. Quindi l'unica cosa che possono fare è continuare a fare ciò che facevano da vivi in una sorta di illusione di vita che non è più reale”.

“A giudicare da cosa indossavano, erano tutti pazienti in questo istituto, probabilmente vedono ancora questo posto com'era quando loro erano vivi, continuano a vedere la loro realtà temporale”

“Ma se erano qui insieme perché non si vedono tra loro?” chiede Charlotte

"Questo è chiaro", mi sento abbastanza sicuro di dire. "Non appartengono allo stesso momento nel tempo. Hanno vissuto in periodi diversi. Quindi nessuno di loro può riconoscere qualcuno degli altri, nemmeno come ricordo della loro vita passata, perché gli altri non esistevano nel loro stesso periodo”

L'unico elemento che hanno in comune è questa entità oscura... Mater”

Per un momento un suono basso e vibrante come un tuono sotterraneo sembra scuotere l'intero edificio dalle fondamenta. Lo percepiamo tutti. Ci rendiamo tutti conto di come non sia una mera coincidenza.

"Lei è ovunque. Sono sicuro che può sentirci. Sa che stiamo parlando di lei. Ma per qualche ragione, al momento non può fare nulla"

"Come lo sai?" la domanda viene da Ben ma la vedo sui volti di ciascuno.

"Perché, diversamente, sarebbe già qui"

Tutti abbassano lo sguardo, come riflettendo su questo dettaglio.

"E anche per un altro motivo", sono ansioso di dire. “Non so se l'avete vista, ma c'è un'altra presenza qui”

“Un'altra?” Il tono preoccupato di Albert sembra esprimere la domanda di tutti.

“Assolutamente. Giù nella sala, c'era un'altra entità, disposta ad aiutarci. È stata quella che ha aperto la porta per farci uscire dalla stanza, chiudendola subito dopo in modo che Mater non potesse raggiungerci. Immagino che abbia creato una sorta di protezione su tutti noi”.

“Le anime oscure come Mater ‐ qualunque cosa essa sia ‐ hanno il bisogno ed il potere di tenere prigioniere altre anime, dando loro l'illusione di essere ancora vive, quando in realtà, probabilmente si nutre di loro. Le anime luminose, come questa signora in bianco, invece, mostrano alle altre anime la strada da percorrere per raggiungere il loro livello successivo"

"Ma come fai a saperlo?", Hanna stavolta sembra dare voce ai pensieri di tutti.

"Perché ci ha lasciato andare. Mater non lo avrebbe mai fatto".

Capitolo 7 ‐ Il diario

Sebbene non ci sia altro da dire, per ora siamo ancora nella stanza quadrata aperta con la luce del sole che passa attraverso le croci sulle finestre e ci illumina con una calda e confortante luce rossa.

"Allora, cosa facciamo, ora"

Ben sarebbe un fantastico primo ufficiale su una nave, anche un'astronave, ma io non mi ci vedo come capitano. Non ho tutte le risposte e questo mi spaventa molto. Ma non oso dirlo. Quindi mi rifugio in qualcosa di ovvio

"Dobbiamo trovare un modo per andarcene"

"Giusto. Prima che qualcuno perda la testa" dice, indicando Mandy con un cenno.

"Mandy?"

"Da quando sua sorella mi ha detto che è diversa, l’ho tenuta d’occhio e c'è effettivamente qualcosa che non va in lei"

"Cosa intendi?"

"Non ne sono sicuro. Sembra che non sia qui con la testa, come se stesse sognando a occhi aperti o fosse sonnambula. Ho chiesto a Wendy se per caso fa uso di droghe leggere o qualcosa del genere. Per fortuna Charlotte era con me, e la sua presenza ha reso la mia domanda un po’ più seria di una battuta, non sono sicuro che altrimenti non mi avrebbe dato un pugno. Certo avrebbe avuto voglia di farlo"

Il viso di Mandy ha l’espressione di una persona che stia ascoltando musica con le cuffie. L'unico dettaglio che stona è che non lo sta affatto facendo. E tuttavia, sorride a qualcosa di non visibile come fanno i neonati nella culla. Non credo abbia sentito una sola parola di ciò che ho detto finora.

"Ok, ok", dice invece, "Ho capito. Arrivo". All'improvviso si alza in piedi e procede lungo il corridoio.

"Mandy, aspetta, non da sola!" urla qualcuno, ma lei sta già correndo.

Wendy salta in piedi, dietro di lei.

"Wendy, aspetta, dobbiamo muoverci insieme", dice Ben

"Allora seguitemi perché non lascio mia sorella da sola mentre voi muovete il culo", grugnisce, prima di correre via.

Le guardo e per un momento, solo per un momento, vedo qualcos'altro, qualcosa di diverso. Un chierico e un cavaliere in armatura, insieme, fratelli d'armi su una specie di antico campo di battaglia. E penso "ovvio. Forza e compassione".

Chiudo gli occhi e la visione scompare.

"Tutto bene?", mi chiede Ben fissandomi. Ricordo che era stato sincero con me.

"Non preoccuparti, sto bene. A volte vedo delle cose"

"Non allucinazioni, spero"

"Visioni. Ma te ne parlerò più tardi"

Corriamo tutti dietro alle gemelle, giusto in tempo per vedere Wendy svoltare entro un corridoio laterale, oltre una porta chiusa. Ma nel momento in cui la varchiamo, ci fermiamo tutti all'improvviso.

Il corridoio davanti a noi sembra sia stato appena rifinito, con pareti intonacate, pensili e armadi in fondo, il pavimento composto da frammenti di marmo di forme e colori diversi. Niente polvere, sporcizia o ragnatele in vista.

"Questa parte dell’edificio è ancora in uso" sento dire a qualcuno.

"Forse c'è una via d'uscita passando da qui", è una conclusione rapida.

"Nessuno si muova!" urlo.

"Sei pazzo?" sbotta Fred "questa è la prima cosa normale che vedo qui dentro e voglio uscire"

Mi sento obbligato a fare qualcosa.

"Guardatemi e ascoltate attentamente. Tutti voi" sospingendo letteralmente Fred di nuovo nel gruppo.

"Questo non è reale". Ovviamente, tutti mi guardano come se fossi impazzito.

"Vi ricordate al piano di sotto, quella sensazione di non riuscire a correre come in un brutto sogno? Anche quella era irreale ma ci sentivamo comunque tutti bloccati dal terrore. Ora guardate questo", il corridoio sembra davvero fuori posto rispetto alle parti dell'edificio che abbiamo visto finora.

"Pensate che sia possibile? Concentratevi! Riflettete! Rimettete insieme i pezzi. Pensate che questo sia possibile, che possa essere davvero come credete di vedere?"

"Hai detto che quella suora orribile vuole tenerci qui, ma penso che sia questa la tua intenzione" Fred sembra difficile da convincere.

"Noi vediamo questo perché qualcosa o qualcuno ci sta imponendo di vederlo, vuole farci credere di vederlo. E possiamo vederlo solo se accettiamo di credere a ciò che vediamo. Ma è solo un'altra illusione, tutto questo non è reale"

Poi vediamo le gemelle tornare verso di noi. Wendy si sbraccia facendoci segno di stare tutti zitti mentre lei si muove dietro la sorella che cammina lentamente come fosse sonnambula. In effetti Mandy cammina guardando avanti con occhi sbarrati e fissi, mormorando parole incomprensibili a bassa voce, reggendo qualcosa tra le mani. Parole che... Non potrei giurarlo ma sembrano... latino?

Seguendo le sue sillabe la riconosco. È l’Ave Maria...

Mandy cammina lentamente verso di noi e con un insolito tono sognante ci dice "potreste voler vedere questo" mostrandoci un piccolo libro scuro con la copertina rovinata.

Charlotte è la prima a notarlo.

"Wendy, di che colore sono gli occhi di tua sorella?"

"Verdi. Come i miei. Perché?"

“Guardate i suoi occhi”

Mandy ci porge delicatamente il libricino, guardandoci tutti con profondi e caldi occhi castani.

“Non perdete la fede”, sussurra, sorridendo dolcemente. Poi improvvisamente crolla, svenuta, come le forze le fossero mancate all’improvviso.

Wendy la sostiene al volo, adagiandola delicatamente a terra. Charlotte e Ben subito al suo fianco.

“Il polso è regolare, il riflesso oculare è normale”, rassicura Charlotte.

“Di che colore sono i suoi occhi, adesso?” chiedo, ma posso scommettere sulla risposta prima ancora che Charlotte controlli e confermi.

“Sono verdi”

Fortunatamente Ben è abbastanza robusto da sollevare Mandy e portarla fuori da lì. Vedo Wendy guardarlo con negli occhi qualcosa che, nonostante Wendy sia Wendy, somiglia molto alla gratitudine.

Sfogliando il libricino vedo molte pagine scritte in una calligrafia minuta ma molto precisa. Molte delle pagine centrali sono ormai quasi illeggibili a causa del tempo e dell’umidità, ma ci sono abbastanza pagine leggibili da capire perché questo libro dovrebbe essere così importante per noi da leggere.

La prima pagina riporta in alto: Enero 1885. Enero?

Sembra la data di un diario ma non è chiaro...

“Mi nombre es María Delgado, pero ese era el nombre de mi otra vida. Desde que hice mis votos, se me conoce solo como Hermana Inés, Agnes, después de mi transferencia"

“Hermana? È in spagnolo. È scritto in spagnolo!”, grido, al colmo della frustrazione.

Mi appoggio con la schiena al muro, una mano sulla faccia, sentendomi come se avessi lasciato cadere il biglietto vincente della lotteria nella lavatrice per sbaglio, quando una mano amichevole mi tocca la spalla.

“Hai bisogno di aiuto con lo spagnolo?”

Lewis, il mio impassibile bibliotecario, sempre a suo agio in ogni circostanza.

"Sai leggere lo spagnolo?" Chiedo, come se intravedessi la luce in fondo al tunnel

"Certo!” risponde, scrollando le spalle, “come potrei leggere il "Don Chisciotte" in lingua originale, altrimenti?"

Giuro, adoro quest’uomo.

"Dimmi tutto quello che puoi su questo", porgendogli il diario, "fai attenzione, sembra molto fragile"

Si gratta il mento e sembra riflettere per un momento, poi dice "ti dispiace se chiedo l’aiuto di Hanna?", e a bassa voce aggiunge "Non ne vuole parlare molto, non so perché, ma ha una laurea in restauro di beni culturali".

"Certo!”, mi illumino. “Lavorateci insieme. Più informazioni riesci a ricavarne, più spiegazioni possiamo trarne. E.…” questo è un colpo basso, lo so, ma ho bisogno di lui... “un'altra cosa", mentre tutti iniziano a uscire dal corridoio, per tornare alla nostra stanza quadrata e sicura

"Sì, certo. Cos'altro posso fare per te?"

"Cosa vedi dietro di me, ora?"

"Cosa?" dice sorpreso, poi, guardando oltre la mia spalla "Vedo... oddio!"

Mi volto anch'io, ma credo di sapere già cosa vedrò. Ed ecco... Un corridoio semibuio con muri scrostati e un pavimento sporco e indefinibile, due finestre sfondate sul muro in fondo e nessuna traccia di mobili.

"Ti prego, dimmi che vedi quello che vedo io"

"Sì, Lewis. Vedo esattamente quello che vedi tu"

La porta del corridoio si spalanca, Fred entra di corsa come in fuga ma ora è bloccato sulla soglia

"Questo non è possibile", mormora, "non può essere..."

"Torniamo indietro, Fred", dico, "qui non c'è niente"

Ci segue. O almeno il suo corpo lo fa. Non sono sicuro della sua mente e questo, segretamente, mi preoccupa.

Capitolo 8 ‐ Suor Agnes

Mi nombre es María Delgado, pero ese era el nombre de mi otra vida. Desde que hice mis votos, se me conoce solo como Hermana Inés, Agnes, después de mi transferencia

Mi chiamo Maria Delgado, ma questo era il nome della mia vita precedente, perché da quando ho preso i voti sono conosciuta solo come Suor Ines, Agnes dopo il mio trasloco.

Ho deciso di scrivere queste note non per autocelebrarmi ‐ falsa vestigia del peccato di vanità: evangelisti e profeti non hanno mai scritto di sé stessi, ma per celebrare sempre il miracolo della fede e la lealtà di nostro Signore. Possa Egli rendermi strumento capace di verità e comprensione ‐ ma per raccogliere appunti su eventi meravigliosi e tremendi che si sono verificati qui all’Ospedale per gli Insani di Abbey Hill.

Fin da bambina, dopo che i miei genitori morirono per malattia e fui portata a vivere all’orfanotrofio del monastero benedettino, ho sentito due diverse chiamate dentro di me, una spirituale e una più materiale.

Volevo essere al servizio di Dio ma volevo anche fare l'infermiera. Ho sempre pensato che il mio primo desiderio fosse ispirato dall'amore di Dio, quindi l'ho sentito più intensamente. Eppure, non potevo fare a meno di desiderare di prendermi cura delle persone sofferenti, non solo pregando ogni giorno e rispettando gli orari delle lodi e dei vespri. Ma questo desiderio, pur essendo genuino, era circondato dal calore falsamente rassicurante dell'egoismo, e mi portava a pensare solo alle mie ambizioni, mentre tante persone intorno a me soffrivano di molte gravi malattie.

Pregavo intensamente per trovare la luce della verità, poiché sapevo che Dio ha uno scopo per ognuno di noi, anche se non sempre quello che ci aspettiamo che sia. Come gli Apostoli, volevo anche io rispondere alla mia chiamata, ma come assicurarmi di adempiere alla volontà del Padre anche seguendo il mio desiderio umano? Trovavo conforto nelle parole di Sant'Agostino, così onesto nell'esporre la debolezza umana, ma alla fine della mia giornata ero ancora nel dubbio.

Esposi il mio conflitto al mio confessore, Padre Martinez, che saggiamente mi ricordò che anche San Paolo aveva lottato prima di rispondere alla sua chiamata, e soprattutto il Vangelo di San Giovanni: "senza di Lui” mi ripete’, “nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste". Poi mi disse: "Se senti una chiamata così intensa, forse è un dono, non un fardello". Quel giorno lasciai la cappella con il cuore pieno di nuova speranza.

Avevo già letto nella nostra sala di lettura i trattati del dottor Connolly e del dottor Pinel sul trattamento dei malati di mente senza restrizioni e fui catturata dall'idea che le persone che hanno più bisogno di essere accudite sono quelle che non sono in grado di prendersi cura di sé stesse.

Avevo appreso che in Inghilterra e Francia erano stati fatti grandi progressi in questo senso, così chiesi umilmente alla mia Madre Superiora se c'era un posto o un ordine in cui avrei potuto ricevere quel tipo di istruzione pur rimanendo vincolata ai miei voti.

Immagino che Padre Martinez avesse già parlato con Madre Concepcion, poiché ella non mostrò alcuna sorpresa quando le spiegai la mia aspirazione. Tuttavia, mentre Padre Martinez mi aveva dato speranza, Madre Concepcion fu più moderata. Mi parlò dell'ordine delle Suore della Divina Misericordia che si dedica all'assistenza di ogni tipo di malato, assicurandomi che avrebbe scritto una lettera alla Madre Superiora Generale dell'ordine ma puntualizzando subito che, in caso di risposta positiva, data l'umiltà del nostro monastero, avrei dovuto viaggiare con i mezzi forniti dalla provvidenza, accettando il rischio implicito.

L'attesa della mia risposta fu lunga e intensa come la permanenza di Giona nel ventre della balena, ma alla fine arrivò.

Quando Madre Concepcion mi fece chiamare, sembrava molto seria. Disse: "Sei consapevole che se accettano dovrai contribuire all'economia di quella casa oltre a frequentare la tua istruzione?", disse, estraendo la lettera dal cassetto della sua scrivania... Notai subito che era stata già aperta.

"Sì, Madre. Qual è la risposta?"

"Intanto impara a non essere impaziente...", mi frenò, poi aggiunse, con il primo sorriso che avessi mai visto sul suo viso "E vai a preparare le tue cose..."

Ricordo il giorno in cui arrivai ad Abbey Hill, dopo un viaggio che era parso infinito, seduta sul carro del contadino che portava verdure e cibo per l'ospedale.

Avevo appena vent’anni.

L'abbazia originaria era andata distrutta già da tempo e al suo posto era stato costruito l'ospedale.

Suor Jane venne al cancello per darmi il benvenuto e mentre camminavamo attraverso una doppia fila di alberi un giovane che passeggiava in quel parco ed era un paziente dell'ospedale gridò indicandomi "tu morirai domani".

Suor Jane guardò il mio viso stupito e iniziò a ridere, pregandomi allo stesso tempo di perdonarla per questo.

Poi gridò di rimando "Grazie, Jacob. Dio ti benedica"

Ero confusa. "Hai detto grazie, sorella? Penso di non capire la tua lingua bene come vorrei"

"Oh no, sorella", disse, tra le risa, "stai andando benissimo”. Poi, tranquillamente, mi spiegò “Ti abituerai presto al benvenuto di Jacob. Vedi, ha detto che morirai domani. Domani. Non oggi. E domani ci sarà un altro domani. Ecco perché lo ringrazio"

Se prima mi ero stupita, ora mi sentivo confusa.

"Vedi", continuò, "se vuoi prenderti cura di persone insane, devi imparare anche a pensare un po' insanamente". Non dissi altro, ma trovai che avesse senso, dopotutto.

I miei primi anni ad Abbey Hill trascorsero senza che quasi me ne accorgessi. L'istruzione era molto severa e c'era sempre qualcosa di nuovo da imparare o qualcosa di già appreso da migliorare ulteriormente. Ma ero segretamente orgogliosa, ogni giorno, della mia uniforme bianca da suora infermiera. E per questo peccato mi segnavo ogni mattina chiedendo il perdono davanti al crocifisso appeso nella mia cella, ma con in cuore la consapevolezza che se ero arrivata fin lì era perché’ Egli aveva voluto così.

Ricordo a malapena le mie preghiere del mattino quando mi alzavo e le mie preghiere serali prima di ritirarmi nella mia cella del dormitorio.

Già allora avevo notato, tuttavia, che di tanto in tanto, qualche paziente, mai lo stesso, e di solito tra quelli più gravemente malati, menzionava una suora nera che si diceva venisse a prendere le anime di coloro che morivano in ospedale.

I vaneggiamenti dei pazienti non erano più una novità per me, ma ero colpita dal fatto che pazienti diversi, colpiti da insanie diverse, nei momenti e nelle situazioni più disparate, menzionassero esattamente lo stesso scenario, con un misto di paura e riverenza.

Condivisi i miei pensieri con le mie consorelle e le mie compagne di classe, sperando potessero suggerirmi una spiegazione, dato che vivevano in ospedale da più tempo di me, ma rimasi sorpresa nell'incontrare un muro di silenzio e paura mascherato da scetticismo.

"I loro vaneggiamenti non contengono fatti reali. Non considerarli tali, o diventerai uno di loro"

Non fui più fortunata nemmeno con suor Jane, a cui confidavo i miei dubbi fin dall'inizio. Più gentilmente e ragionevolmente mi disse "qui vedono solo suore e infermiere per la maggior parte della loro vita. Siamo noi che li laviamo e li nutriamo. Non pensi che sia normale immaginare una suora che viene a chiuderti gli occhi e a raccogliere la tua anima quando arriva il tuo momento?"

Certo, aveva più senso, considerando che tutti i pazienti che parlavano della suora nera si rivelavano poi essere prossimi alla fine della loro vita. Ma perché la paura, allora. Invece di provare sollievo per la loro prossima pace dell'anima, erano tutti terrorizzati come se l'Inferno stesso li aspettasse.

Smisi di confidare i miei pensieri alle mie consorelle ma non di farmi domande e continuai a prendere appunti ogni volta che la misteriosa suora nera emergeva nelle parole dei pazienti.

Il mio interesse per i vaneggiamenti dei pazienti, che avevo imparato ad ascoltare come se stessero parlando di normali fatti quotidiani, aveva creato una reputazione di "personaggio" intorno a me.

Ma i miei insegnanti erano soddisfatti dei miei studi poiché il mio interesse per le storie personali dei pazienti non interferiva con la mia istruzione. Quindi non ricevetti alcun richiamo, ufficiale o privato.

Tuttavia, il mio "atteggiamento" attirò l'attenzione di Suor Sophia, una delle madri più anziane e venerande dell'Ospedale, che si diceva fosse addirittura una delle sue fondatrici.

Era profondamente devota a Santa Dymphna, patrona del nostro ordine ed era così tanto e ben considerata nel consiglio dell'Ospedale che rivolgersi a lei o anche solo parlarle senza il dovuto rispetto era visto come un'offesa che nulla poteva cancellare.

Suor Sophia venne a parlarmi un pomeriggio mentre studiavo nella sala di lettura comune.

"Non inseguire cose che non comprendi, figlia mia", disse, lentamente e scanditamente. "Potresti correre il rischio di imbatterti in esse"

"Reverenda Madre!" Mi alzai, inchinandomi profondamente, senza il coraggio di alzare gli occhi dal pavimento.

"Seguimi", disse.

E così feci.