Ombre Capp 9 - 10 -

Capitolo 9 ‐ La via per l'Inferno...

Suor Sophia mi condusse alla sezione degli uffici del consiglio, dove non erano ammesse altre suore e novizie studenti, attraverso corridoi che non avevo mai visitato prima.

Le suore che incontravamo lungo il cammino mostravano due espressioni diverse, riverenza per lei e pietà per me, perché sembrava molto probabile che stessi per ricevere una ramanzina.

Entrammo in uno studiolo, con una scrivania e una libreria dietro, contro il muro. Sedette e mi invitò con un gesto a fare lo stesso sulla sedia di fronte a lei.

Quella fu la prima volta che osai guardarla. Le rughe sul suo viso potevano raccontare più di una storia. La sua forza interiore proveniva dalla sua lunga esperienza di vita insieme alla franchezza di chi non ha più nulla da perdere.

"Qui nessuno ci disturberà. In questo luogo santo, anche i muri hanno occhi e orecchie, credimi"

"Capisco, Madre", dissi, cercando di scegliere attentamente le parole.

"Non preoccuparti, figlia mia, non sei nei guai", disse, e non potei fare a meno di provare sollievo.

“Allora perché sono qui, se posso chiedere”

“Stai prendendo appunti sulla suora nera, vero?”

“Sapete questo... Come?” Non potei fare a meno di chiedere

“E ascolti le storie dei nostri malati cercando di trovare un senso oltre l'assurdità”

Mi chiesi se fosse in grado di leggermi nella mente

“Stai attenta, figlia mia. Ciò che fai è giusto e compassionevole, ma alcune cose vogliono rimanere nascoste e alcune persone vogliono che rimangano tali”

“Perdonatemi, Madre, non riesco a capire cosa intendete”

“Se continui a percorrere quella strada, prima o poi qualcuno cercherà di fermarti. Ecco perché sei qui. Per lasciar credere a quel qualcuno che tu sia già stata fermata e impedita dal proseguire”

“Proseguire per dove?”

“Lo so, figlia mia, nulla ti è chiaro in questo momento”, disse pensierosa, “ma lo sarà al momento opportuno”. Poi, dopo un sospiro, "Hanno fatto lo stesso con me, ma poiché il mio trasferimento altrove sarebbe stato troppo evidente e rischioso, mi hanno semplicemente messo da parte"

"Chi vi ha messo da parte, Madre?"

"Anni fa girarono voci che stessi perdendo la ragione. Il motivo ufficiale fu che passavo troppo tempo con i nostri malati. Così fui rimossa dal servizio ai nostri malati e promossa a direttrice onoraria. Un modo elegante per chiudermi in un ufficio e impedirmi di continuare la mia ricerca"

"Di cosa, Madre?" chiesi, ma più lo facevo meno riuscivo a capire.

“Non rimarrò qui ancora per molto e non voglio portare tutto questo con me nella tomba. Qualcuno deve saperlo. Perdonami, figlia mia, non so se sei pronta ad ascoltare quello che sto per dirti, ma non ho scelta”

“Perché io, allora, se pensate che non ne sia degna”, chiesi ancora, stavolta sentendomi avvilita.

“Perché tu sei come me. Come ero io prima. Stesso fuoco sacro interiore, stessa volontà di fare qualcosa di diverso per quelle persone malate. E spero che tu possa avere più fortuna”

“Perdonatemi, Madre”, dissi confusa, “davvero non riesco...”

“La suora nera esiste, non è un'allucinazione diffusa”

“Cosa?”, tutte le mie idee e speculazioni crollarono in un attimo, “È reale? Chi è?”

"Che cosa è", rispose suor Sophia, "il suo nome è andato perduto nel tempo. Ma lascia che ti racconti”

"Quando arrivai qui, molti anni fa, ero solo una delle infermiere incaricate di trasformare questo ospedale in un rifugio per gli insani, quelli che la gente di solito chiama i dimenticati da Dio, ma l'edificio era ancora in costruzione.

Ricordo che in quei giorni ci prendemmo cura dei lavoratori, in segno di gratitudine per il loro duro lavoro, cucinando all'aria aperta per loro. Giorni benedetti. Cose semplici, gioie semplici. Anche l’ultimo dei peccatori tra di loro ce ne fu riconoscente lavorando con maggior lena.

Da loro ascoltai storie sull'Abbazia. Sapevo che quel posto aveva una lunga storia, ma non era sempre stata così bella e gloriosa come mi sarei aspettata.

Secondo le notizie ufficiali, l'Abbazia era crollata all'improvviso una notte e molte suore erano rimaste sotto le macerie.

Il risultato dell'indagine condotta dalle autorità ecclesiastiche fu che la tragedia era stata causata da una sorta di sprofondamento delle fondamenta che aveva portato al crollo dell'intero edificio.

Ma quella, mi dissero, era una storia messa in giro per non lasciar trapelare altro invece di dare spiegazioni scomode.

Sapevo che l'Abbazia aveva più di quattrocento anni di vita e non era mai stata riparata, o visto rifacimenti, non c'era mai stata una tale necessità. Mai, neanche solo un sospetto di possibili crolli. L’edificio era semplicemente solido.

Poi mi raccontarono altre storie. Storie che potevano solo essere condivise e sussurrate come peccati durante la confessione. L'Abbazia aveva perso la sua santità molto tempo prima. Qualcosa di così malvagio era cresciuto al suo interno che l'intero luogo era crollato sotto il peso dei suoi peccati".

"Qualcosa di malvagio, Madre? Com'è possibile?"

Suor Sophia sedette, come se il peso di ciò che stava per dire fosse troppo per le sue membra.

"L'ultima Badessa era conosciuta come una donna pia e una feroce nemica del peccato, in tutte le sue forme. Si dice che fosse compassionevole con i peccatori ma spietata contro il peccato, che secondo lei era una mala pianta da estirpare dalle radici. Pare fosse solita affermare "se lasciamo abbastanza spazio al peccato, questo si diffonderà ovunque e nessuno sarà al sicuro".

“Col tempo sviluppò una sorta di fissazione sul peccato, soprattutto da quando l'Abbazia, per onorare Santa Dymphna, aveva aperto le sue porte alle donne sopravvissute alla violenza o in fuga da un marito crudele a casa. Tutte chiedevano rifugio e imploravano di prendere i nostri voti per ritirarsi dal mondo, piuttosto che vivere in quel modo. Alcune di loro portavano in grembo il risultato di quelle violenze, un peso da cui chiedevano di essere liberate.

“Peccati filii” li chiamava la badessa, i figli del peccato.

“Quando arrivava il momento del parto, i bambini venivano tolti alle madri che non li vedevano più. Si diceva che venissero dati in affido a famiglie in grado di crescerli o mandati in un orfanotrofio, lontano comunque dalle madri riluttanti”

“In questo modo era stata in grado di dare una soluzione ad entrambi i problemi”, dissi, colpita dall'atteggiamento compassionevole della badessa.

"Così sembrava. Così, lei divenne la madre di tutti, di quelli dentro le mura e quelli fuori. Per distinguerla da tutte le altre sorelle, iniziarono a chiamarla Mater, la madre per eccellenza”

Suor Sophia tacque per un momento, come a riprendere fiato prima di una salita, poi proseguì “ma figlia mia, la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni.

Una di quelle donne, non ancora legata ai nostri sacri voti di obbedienza, sentendosi in colpa, volle scoprire dove e a chi sarebbe andato il proprio bambino. Seguì Mater dove nessun’altra suora sarebbe mai andata. Dicono che perse la testa quando scoprì che nessun bambino aveva mai lasciato l'Abbazia.

“Pensando di essere sola, Mater aveva aperto l’entrata segreta della sala delle anime, il locus animarum, il luogo di riposo finale per le suore nell'Abbazia. E incautamente, troppo sicura di sé, l’aveva lasciata socchiusa.

La donna vide una quantità terrificante di piccoli teschi e ossa, accatastati in un angolo della sala. Troppo piccole per appartenere a persone adulte morte. Alcuni di quei piccoli crani non erano neppure intatti”

Ero senza parole.

“In qualche modo quella donna riuscì a scappare dall'Abbazia e raggiunse uno dei villaggi vicini. Quando la voce sulle suore che uccidevano neonati si diffuse, una folla si radunò e diede fuoco all'Abbazia che per quanto solida era pur sempre costruita in legno e pietra. Ma fino alla fine, Mater si rifiutò di lasciare la sala delle anime e rimase lì, sepolta”

“Che storia terribile”, pensai ad alta voce

“Questa è solo la parte buona della storia, temo”, disse Suor Sophia, cupamente.

“La parte buona?”, dissi, incredula

“Tutte le cose umane hanno un inizio e una fine”, disse piano, come se pregasse, “La giustizia divina è giusta. Ma ci sono cose in questo mondo che non sono umane”

“Cosa intende con non umane”, chiesi inquieta, senza sapere perché.

"Probabilmente pensi che Mater non abbia lasciato i bambini per proteggere il loro luogo di riposo. Ho paura che non sia la verità"

"Cosa, allora", dissi temendo la risposta, quale che potesse essere.

"La sua ossessione per il peccato e i figli del peccato era diventata così forte da sconfiggere la morte stessa. Non è più umana ora, ma il suo spirito in qualche modo è riuscito a perdurare"

"Vuole dire... Mater è diventata un demone?"

"No, non un demone. Ciò che i tuoi malati vedono ora è lo spettro di una volontà forte che è diventata innaturale e perciò malvagia”

“Mater tiene ancora con sé le anime di tutti quei bambini e di coloro che è riuscita a catturare nel tempo. Non li lascerà mai andare. Sono tutti figli del peccato, per lei"

Tutti i pezzi stavano andando al loro posto, ma il quadro che ne risultava era orribile.

“Ho trascorso gli ultimi anni”, continuò Suor Sophia, “assistendo tutti i nostri malati alla fine della loro vita per assicurarmi che ricevano l’estrema unzione cosicché le loro anime possano andare avanti, libere da Mater e da questo posto”

Il suo sguardo si fece di colpo duro. “Ogni volta, la vedo accanto al loro letto di morte”

“Voi la vedete?”, esclamai

“Oh, sì figlia mia, io la vedo. Io e lei ci battiamo ogni volta, per ogni singola anima. Posso ancora impedirle di rubare altre anime e accrescere il suo potere, ma sono solo umana, la mia forza sta svanendo e non passerà molto tempo prima che io la combatta per l'ultima volta, mentre il suo nucleo, la fonte della sua malvagità rimane intatto”

"il “Locus animarum!”, la risposta mi venne chiara, prima ancora di pensarci.

“Esatto. L'unico modo per liberare tutte quelle anime è aprire la cripta e dare a quei poveri resti una sepoltura sacra. Senza tutte quelle energie ad alimentare la sua ossessione, persino Mater sarà costretta a passare oltre e lasciare questo mondo”

Capitolo 10 ‐ ...È lastricata di buone intenzioni

"Come possiamo fermare Mater?"

Era la domanda che ponevo ripetutamente a Suor Sophia durante i nostri incontri.

Si vociferava tra le consorelle che stessi ricevendo una sorta di istruzione più disciplinata, rigida e severa. Una specie di ultima opportunità per far sì che non sprecassi la mia istruzione a causa del mio atteggiamento inappropriato nei confronti dei pazienti.

La velata accusa di fondo era che stavo incoraggiando i loro vaneggiamenti invece di aiutarli ad adattarsi alla realtà. Il tipo di ultima possibilità riservata alle novizie più svogliate, quelle considerate le pecore nere del gregge.

A causa della mia ulteriormente peggiorata reputazione, tutte le consorelle evitavano ogni occasione in cui potevano godere della mia compagnia, quasi il mio cosiddetto atteggiamento fosse una malattia contagiosa.

Ma a me non importava affatto.

Ero concentrata, ossessionata dalla mia domanda.

Come fermare Mater...

Dopo aver assistito pazienti terrorizzati negli ultimi momenti della loro vita, avevo capito che la minaccia di Mater era più che reale. Non riuscivo a individuare la sua presenza, come Suor Sophia diceva di poter fare, ma potevo percepire che stava prosciugando la vita dei miei pazienti fino a non lasciare loro più la forza di combattere la loro malattia o semplicemente di restare in vita.

"Come possiamo fermare Mater?"

La risposta di Suor Sophia, tuttavia, era sempre la stessa.

"Non possiamo, temo"

"Ma ci dev’essere qualcosa che possiamo fare", fu, infine, un giorno la mia reazione incontrollabile. Non sentivo più il bisogno di trattenermi in presenza della mia consorella.

"Tutta la nostra vita spesa nel nome della Fede e non abbiamo modo di combattere questo demone".

Per quanto bonaria verso di me, Suor Sophia era sempre pronta a redarguirmi "fai attenzione alle parole, figlia mia, non eccedere nella blasfemia: non tenterai il Signore Dio tuo"

"Perdonatemi, Madre", mi riprendevo, allora, "Sapete cosa intendevo dire"

"Sì, figlia mia, conosco molto bene la tua frustrazione e vorrei poterti dare una spiegazione semplice", disse, camminando verso la finestra, come faceva sempre quando doveva ricordare qualcosa del suo passato.

"Eppure, continuo a credere che non sia un demone"

"Cos'è allora?" chiesi, più per cercare di trovare una soluzione che per apprendere ulteriori dettagli che mi indicassero qualcosa che non ero in grado di fare.

"Uno dei miei Padri insegnanti ‐ ironicamente si chiamava Thomas ‐ era un sacerdote gesuita il cui ordine è autorizzato dalla Chiesa a celebrare il rito dell'esorcismo.

“Egli era molto riluttante a parlare di tale argomento, nonostante tutta la mia insistenza. Tutto ciò che sceglieva di confidarmi riguardava la teoria che circondava il rito, i rituali utilizzati, ma mai niente sul rito in sé”

“Diceva che i demoni non sono creature di questo mondo, forse possono andare e venire ma non hanno alcun interesse a rimanere su questo piano di esistenza così limitato dalle leggi della materia vivente”

“Un demone”, diceva, “può provare a portare la tua anima nel mondo cui esso appartiene, non cerca di imprigionarla qui dove non può consumarla"

"Le leggi della materia vivente...", non ero sicura di aver capito, "Madre, questo sembra più linguaggio di scienza che religioso"

"Padre Thomas diceva sempre che chiamiamo scienza il nostro modo umano di comprendere i misteri della creazione", disse pensierosa.

"Ascolta attentamente", poi aggiunse, "Cercherò di usare gli stessi esempi che usò lui con me. Hai mai desiderato di poter volare come un uccello? O di nuotare come un pesce?"

"Certo, Madre, ma cosa c'entra questo con..."

"Sai che non puoi farlo perché hai dei limiti naturali, giusto?". Ancora una volta fui catturata dalla semplicità della sua saggezza ed esperienza.

"Ora immagina che ogni tuo pensiero sia fatto di volontà, la tua volontà. Durante la tua vita, sei costretta a bilanciare la tua volontà con i tuoi limiti, giusto? Ciò che desideri con ciò che puoi fare"

"Certo", dissi solo, sentendo di stare andando da qualche parte ma senza capire dove.

"Il corpo che ci è stato dato è allo stesso tempo la prigione della nostra volontà e l'unico modo che abbiamo per vivere la nostra vita su questo livello di esistenza”.

Annuii, più per riflesso che per vero discernimento.

“Ora, immagina la tua volontà senza limitazioni. Immagina di poter fare tutto ciò che vuoi: senza sentire gravità o stanchezza, fame o sete. Immagina di poter passare attraverso porte e muri intatto e indisturbato"

"Ma Madre, dovrei essere un fantasma per fare così!"

"Esatto. La stessa conclusione che raggiunsi quando Padre Thomas parlò a me"

Mi sentii la mascella cadere. Come un bambino sorpreso con le dita nella marmellata.

"Un fantasma", continuavo a ripetere come se stessi realizzando. "Mater è un fantasma..."

"È una volontà libera da tutte le limitazioni umane", mise a fuoco Suor Sophia.

"Ma perché prende tutte le anime come vediamo noi?", chiesi, incerta.

"Questa è la parte più difficile del mio pensiero", disse, e potevo vedere sul suo viso la difficoltà di spiegare qualcosa che lei stessa sembrava aver appena intuito.

"Quando sogni di volare, vedi qualcosa di sbagliato in questo?"

"Beh... No, è solo un desiderio..."

"Esatto. Il desiderio di Mater, quando era in vita, era di sradicare il peccato per sempre e nella sua convinzione, se così si può dire, lo sta ancora facendo. Nella sua mente, se ne ha ancora una, non saprei dirlo, sta ancora facendo qualcosa di giusto e non si fermerà mai a meno che non le dimostriamo che ha torto"

"Ma come...?", dissi ancora, confusa. "Mi dispiace tanto Madre, ma questa mi sembra filosofia... Non riesco a vedere una risposta alla mia domanda"

Suor Sophia si fermò per un momento, come a riflettere. Poi disse "Hai ragione, figlia mia, questa è la tua domanda ora. Forse la tua ricerca... Sono sicura che troverai la risposta che stai cercando se solo oserai guardare oltre te stessa. Ma se non ci riesci, non perdere la fede, figlia mia, il suono della campana ti darà una direzione da seguire".

Le sue ultime parole mi rimasero a lungo impresse, piene di una saggezza nascosta che non ero ancora in grado di afferrare.

E la campana suonò. Nel modo più inaspettato.

La prima volta suonò quando assistetti "benvenuto" Jacob sul suo letto di morte. Non l'avevo mai visto così prima. I suoi occhi erano limpidi e puliti. Quando mi guardava, guardava me invece di inseguire qualche sua fantasia volatile come era solito fare. La sua pelle era pallida, fredda e sudata, ma il suo pensiero non era mai stato così lucido.

"Io morirò oggi", disse, e non c'era speranza per il domani nel suo tono di voce.

"Non ho paura di morire", disse. Poi, con un rantolo affannoso "Ho più paura di restare qui", aggiunse, e nel dire così mi strinse forte la mano come a dirmi “so che sai di cosa sto parlando”.

"Ti prego, liberami" furono le ultime parole che sentii da lui quella notte. La mattina dopo non c'era più.

Ero ancora in lutto per lui, mi chiedevo ancora cosa avrei potuto fare per aiutarlo, quando, qualche giorno dopo, la campana suonò di nuovo. La suora delle cucine, incaricata di preparare la colazione per le suore anziane scese dal piano degli uffici correndo e piangendo.

Suor Sophia ci aveva lasciate. Non riuscivo a dire una parola. Troppo sconvolta per mostrare rispetto per i miei doveri, lasciai tutto e salii di sopra per vederla. Tutte le anziane erano già lì, intorno al suo letto, in lutto.

"Si è addormentata con l'uniforme addosso", disse, vedendomi, una delle Reverende Madri. "Non siamo riuscite a cambiarla. Sembra che avesse già scelto i suoi ultimi vestiti"

Tutto in quella stanza era dolore, nostalgia, rimpianto. Tutto parlava di qualcuno difficile da dimenticare, impossibile da sostituire.

Poi, attraverso la nebbia di lacrime silenziose che non riuscivo a trattenere, vidi qualcosa. Qualcosa che per un momento pensai fosse solo un'illusione della mia mente.

Sorrideva. Un sorriso sottile ma indubbio illuminava il suo viso sereno.

"Si è addormentata con la serenità del giusto", disse ancora la Reverenda Madre.

"No", pensai in silenzio, esultando segretamente, "non è questo il motivo".

Le sue mani. Le sue mani stringevano il braccio lungo di un crocifisso di legno come i cavalieri di pietra sulle tombe dentro la cappella del mio villaggio tenevano l'impugnatura delle loro spade.

"Non siamo riuscite ad aprirle le mani, lo porterà con sé nel suo ultimo viaggio", disse infine la Reverenda Madre.

Avevo visto morire troppe persone terrorizzate per non notare la differenza.

Suor Sophia aveva vinto l’ultima battaglia. Mater non era riuscita a farla sua. Era libera.

Mi inginocchiai, accanto al suo letto, lasciando andare di nuovo tutte le mie lacrime. Ma per gratitudine, stavolta, non per lutto.

Gratitudine per l'ultima lezione che era riuscita a darmi, persino alla fine.

"Grazie, Suor Sophia”, dissi, dentro di me, "Grazie di tutto”