Origami

Il giardino sabbioso era ornato da linee lunghe e sinuose; da sassi calcarei bianchi.
L’uomo indossava un completo grigio scuro con gli orli svolazzanti dei pantaloni e della giacca.
La donna era seduta poco distante, sulla panchina in marmo rosa, vicino allo stagno con i giochi d’acqua e le pagode. Teneva le mani in grembo, appoggiate stanche alla gonna in cotone azzurro, lisciata bene sulle ginocchia magre.
Le linee disegnavano onde e ritorni, in una risacca asciutta.
“E’ un bel giardino” mormorò tra sé.
“Sì” rispose l’uomo a un sasso bianco.
“Mi manchi”
“E’ normale, credo”
Si voltò, un bambino in bicicletta lo schivò per un pelo e abbozzò un piccolo inchino tra il collo e le spalle. Lui non ci fece caso.
“Andiamo?” le disse da lì, dal bordo del giardino.
“Come preferisci, se vuoi rimanere per me va bene” ma tanto si era già alzata.
Sul parabrezza della macchina, sotto allo spazzolino, trovarono la pubblicità di un ristorante take away. La donna lo prese e lo lesse con attenzione, mentre lui si accese l’ennesima sigaretta senza filtro della mattina.
“Fanno anche cucina vegetariana, sembra aperto da poco. È qui vicino, prima della superstrada” gli disse.
“Hai fame ?”
“Non molta. Vuoi andare?”
“Magari un’altra volta, anche io non ho fame adesso”
“Non torneremo più qui”
“Tu tienilo, non si sa mai”
In macchina faceva caldo. Aprirono i finestrini e si persero nel silenzio.
Lei aveva piegato il volantino prima di metterlo in borsa. Pensava che sarebbe stato bello anche non mangiare, in quel take away. Tutto, pur di non tornare a casa.
L’uomo fumava distratto e aveva un bel profilo. Lei pescò il foglio dalla borsa e lo distese sulle ginocchia. Lo piegò in due in un triangolo, poi strappò un lembo lungo e ricavò un quadrato perfetto. Lui non disse niente, ma accese la radio.
La donna con movimenti precisi piegò ancora su sé stesso quello che rimaneva del foglio. Alla fine tirò piano due piccole punte e le schiacciò con i polpastrelli.
L’airone era venuto bene, nonostante la carta lucida e un po’ spessa.
“E’ carino” disse lui.
“E’ inutile” rispose la donna.
Appoggiò l’origami sul cruscotto, poi si passò una mano sulla fronte.
“Sono stanca”
“Perché non dormi un po’? Manca ancora molto prima di arrivare”
“Sì credo che lo farò. Chiamami se vuoi il cambio”
“Non ti preoccupare. Potrei guidare per sempre, lo sai”
“Lo so. Ma poi non lo fai mai”
“Che cosa ?”
“Niente, sono stanca.”
Si appoggiò scomposta alla portiera. Lui prese l’airone. Lo strinse nella mano destra e lo tenne lì per un po’, nel palmo sudato.
“Mi dispiace” sussurrò.
“Lo so” rispose lei, il capo reclinato, lo sguardo perso sui campi. L’uomo deglutì male. Sentì in bocca il sapore marcio delle sigarette.
Lei pianse qualche minuto, poi si addormentò. L’uomo lasciò cadere l’airone fuori dal finestrino.
Dallo specchietto lo vide, accartocciato sull’asfalto, tornare ad essere solo un pezzo di carta.