Ostia è come Malibu
Ma che te pare estate questa? Svoltiamo per la via del Mare, dove la strada di città e inghiottita dal verde, e io mi sento già un po’ in salvo. Se avessero costruito Roma appena un poco più vicina al mare, penso, sarebbe stata perfetta. Sotto nuvoloni carichi di pioggia l’estate, in effetti, pare un miraggio, anche se ci stiamo dentro. Ostia, però, è sempre un sollievo. Con quella luce bianca o il buio verde della pineta quando ci arrivi in macchina dalla Cristoforo Colombo, o appena sceso dal trenino metropolitano coi sedili turchese.
Tira un’aria di mete immaginate ma non prenotate, di mare e città, di non sapere di che voglia morire. Come mi ha detto un’amica Ostia è una Malibu meno ridicola, piene di difetti e per questo più credibile: le palme se l’è mangiate un insetto, la giunta è di centrodestra, di notte si riempie di discotecari assurdi. Ogni tanto qualcuno se ne esce con progetti di Disneyland acquatiche e piscine di cemento, poi tutto si inabissa, come negli stagni lì vicino, sotto i pioppi. Così ci sono le rovine, c’è il mare, ci sono i palazzi di periferia. Il sito archeologico lo visitai una volta, pagando un biglietto che consente di camminare tra basi e mura di edifici romani, mosaici, anfiteatri, viali di rovine tra l’erba e i pini. Più avanti c’è la via delle Tombe, e più avanti l’Idroscalo, altre tombe, il monumento a Pier Paolo Pasolini che per qualche anno fu una discarica abusiva, la torre di avvistamento progettata da Michelangelo, baracche, cani randagi.
La vita non è semplice, penso. Credi in una cosa e ne scopri un’altra. Credi di amare una persona, e in cambio ricevi l’amore di un altra, inaspettata, sconosciuta. Guardo in su e vedo le palazzine fronte mare bianche e azzurre, le vecchie colonie di regime, le boutique deserte del porto turistico. Il trampolino del Kursaal, più in là, è un timbro a secco impresso nell’orizzonte del Tirreno. Sullo sfondo pare di immaginare i giorni che verranno, la solita estate appena si diraderanno le nuvole e le ferie: il caldo, il mare, le cabine, le birette e il calippo, le sdraio, la Settimana Enigmistica, la fila al self‐service per conquistarsi una frittura di calamari.
In questa botta di inverno improvviso, nel cuore dell’estate, nel baretto sulla riva mangiata dal mare, chissà un ripascimento andato a puttane, tra travi di legno e teli di plastica trasparente tre signore che giocano a canasta, litigando continuamente. Infine, il mare. Il tramonto, se fosse bello, avrebbe i colori di un paio di Crocs viola. Ancora più oltre, la certezza dell’esistenza dell’estate. Oppure di un satellite cittadino dove le case costano un po’ meno.