Parole in indaco mai messe in musica
Sarà in primavera ‐ con il gelo di un inverno inaspettato su un petto violato, e tutto questo solo perché la madre del caso è l’ironia – quando parole e lacrime non avranno né senso o valore, quando nell’aprirsi il cielo si frantumerà in interminabili pomeriggi dove demoni meridiani, vigili di sadica allegria, apriranno come un melograno con un morso di melanconia il cuore graffiato. Quando in quella bocca salirà con quei rubini il sapore del nostro stesso sangue avrò la certa coscienza che tutto precipiterà nel patetico spettacolo della danza sconnessa di un giullare nato storpio e solo per l’occasione vestito a festa.
Leggo una lettera d’amore di un giovane tenente nella guerra d’Africa, attento a percorrere tra le venature dell’inchiostro in ottavo ogni singolo impercettibile spazio bianco oramai ingiallito dal tempo:
“Amata mia, questo deserto è il silenzio di Dio che lascia nella sua indifferenza cadaveri e urla da ferite aperte. Tutte le mie convinzioni, il mio virile entusiasmo hanno oramai lasciato il posto ad un vuoto in cui precipitano tutte le cose, tranne il pensiero di Te. La guerra è quella folle scuola che istruisce l’uomo all’orrore dell’insensibilità, che fa marcire ogni residuo di umana compassione. Tutto è straziante e sordo allo stesso tempo. Mi ossessionano le macchie di sangue sulla mia casacca che non posso lavare da giorni: su questa lercia divisa ci sono impronte che uniscono i miei compagni morti ai nemici ammazzati: sabbia rappresa dal sudore e dalla paura, tutto si mischia, si stringe e unisce, con la certezza che solo questo mio pensiero terrificante offre l’ultimo, sottile e delicato filo di senso a questa follia. Alla fine resta solo il sangue e per quanto si dica e si pensi fuori dal corpo non ha nome, non ha identità né volto, è sangue morto e basta il cui odore nauseabondo ti fa solo bestemmiare. Il capitano ha perso tutte e due le gambe e non smette di dare ordini anche se nessuno di noi lo ascolta più; salvato per miracolo dalla cancrena non è stato risparmiato dai deliri della malaria e grida di notte dalla sua tenda battuta da un vento gelido convinto che sia giorno e che la radio ancora dia ordini e obiettivi.
Siamo abbandonati e soli! E solo questa penna e questa carta sotto a un lume ad olio possono farmi sentire ancora un uomo. Mia Cara, non Ti scrivo solo per amore, Ti scrivo per sentirmi ancora parte dell’umano, di una vita che la guerra ti strappa dall’anima, e che se ti verrà restituita non sarà mai più la stessa, così come il mio amore per Te. In questo silenzio io rinnovo a Te tutte le mie promesse ma senza far indossare al cuore quei vestiti puliti della domenica che – perdonami ‐ non ricordo più. Te le rinnovo qui, in questo momento, in questa tormenta color indaco e con questa divisa sporca, nella paurosa solitudine della mia tenda: io adesso sono un bambino terrorizzato da lampi e tuoni, piango e mi nascondo nei Tuoi ricordi immaginandoti nel leggere queste mie parole, certo che serberai in Te i miei che ho dimenticato. Nasco adesso in questa Mia, e domani al risveglio sarò costretto a pietrificare la mia anima morendo in segreto; poserò questa lettera nella polverosa borsa di cuoio di un motociclista sconosciuto non sapendo se sopravvivrà nel portarla a Te. Mia Amata chi ti scrive è Nostro figlio; in lui le nostre speranze, le nostre promesse senza troppe parole, senza il torpore rituale di passeggiate settembrine sottobraccio, senza vezzosi incanti timidi e costruiti dall’artificio necessario dell’innamoramento. Nostro figlio, che qui adesso ti dona tutte le sue lacrime e le sue parole riposa tra le tue mani con ricordi diafani d’assenza. Ho poca memoria del tuo volto mio Amore, e ciò che ricordo è come se lo guardassi dietro un vetro spesso, ma ho impresse la tua voce e vedo i tuoi occhi, la freschezza delle tue braccia candide, tutti perfetti silenzi dove ritrovo, con uno sguardo nuovo, tutto ciò che sono stato. Se tutto questo finirà e tornerò da Te non avrò più labbra per prometterTi felicità che nessuno conosce e che io qui ignoro e distruggo, ma solo restituiti giorni grati per l’assenza della follia umana, anni semplici di stupore e meraviglia per esser stati risparmiati da tutto questo. Se fossi qui non vorrei che mi guardassi adesso; ho vergogna di me, delle mie lacrime, delle mie azioni, dei miei occhi scavati e dalle mie labbra arse dal sale, eppure riusciresti a vedere, nonostante tutto, quanto questo sconfitto ti ami infinitamente. Resta la tenacia dei miei occhi che combattono per restare quelli di sempre nonostante l’inferno che sono costretti a guardare, per Te e solo per Te.
Sempre Tuo (….)”
Il giovane tenente, sposatosi per procura, riuscì a tornare dopo esser stato prigioniero a seguito dell’ operazione Pugilist nella campagna del Nord Africa, ma al suo ritorno scoprì che sua moglie fu vittima del bombardamento aereo su Torino nel giorno dell’Immacolata del 1942. Lei non poté mai leggere quest’ultima lettera e lui la ritrovò ancora sigillata tra le mani della madre della ragazza. Il giovane sposo nacque già vedovo, celebrarono le nozze in primavera.