Per sempre
Adesso a raccontarla è facile.
Ma allora, non ci credevo; credevo che sarebbe durata per sempre, mai finita, si dice così, vero, a diciotto anni?
Dovevano essere le 7 appena suonate, sette di mattina in un giorno di primavera.
Sai com'è la primavera in città: ti scoppia in anima, ti brucia gli occhi e non ti si stacca più di dosso.
Così con questa primavera in testa me ne andavo in fabbrica senza sbadigliare e restavo affacciato al finestrino aperto del tram.
L'ho vista allora, camminava sul marciapiede, e l'ho guardata bene.
Non perché avesse qualcosa di particolare, non era neanche tanto bella: vestiva come tutte le altre ragazze, portava i capelli lunghi come tutte le altre ragazze, ma aveva qualcosa in più.
Che le altre non avevano.
Due occhi puliti, una faccetta chiara ed un'aria di serenità che mi faceva invidia.
Ho incrociato i suoi occhi: libertà ho visto e mi sono lasciato avvolgere dalla meravigliosa sensazione.
Forse perché era primavera, forse perché avevo diciotto anni e lei era piccola e giovane, ho sorriso, mi ha sorriso di rimando, un sorriso aperto, libero e mi ha salutato con la mano.
Dove andava, cosa faceva, non so.
Sono sceso di corsa dal tram e le sono andato dietro, lei mi aspettava:
‐ Mi chiamo Luigi, e tu? ‐ le ho detto.
‐ Mi chiamo Silvana.
Così ho incontrato Silvana, io credevo fosse per sempre, quando si è giovani è facile dire grandi parole.
Adesso che ci penso bene, ricordo le nostre giornate insieme, per quelle strade d'asfalto senza verde e per quei prati molli dolci caldi come le labbra di Silvana ed il suo sorriso, la sua voce.
Parlava di grandi cose, io dicevo grandi parole: meccanico in fabbrica, lei dattilografa in agenzia.
Grandi sogni, a diciotto anni.
Per sempre.
Non mi ha tradito Silvana, né io l'ho tradita.
Ma la speranza, ci è mancata: speranza per andare avanti, per continuare a camminare nelle nostre strade di gente, speranza per accettare di avere problemi e difficoltà come tutte le altre persone.
Ci è mancata la speranza di volerci bene per sempre, anche dopo la prima volta, anche dopo la prima stanchezza e le incertezze e le incomprensioni.
Perché è facile dire "ti amo" ad una ragazza coi capelli lisci e lunghi che ti si sdraia calda addosso.
Ma è difficile pensare "ti voglio bene" quando la novità è finita, quando il quotidiano ti assilla, quando l'abitudine serpeggia, insieme ai problemi banali: non ho i soldi per l'affitto, non mi capisci, i tuoi problemi non mi toccano...
E' difficile voler bene.
Ci è mancata la speranza di volerci bene, a me e Silvana.
Questo, ormai, è un ricordo vecchio.
Ma ancora mi gira in anima, non si lascia inquadrare, non si lascia catalogare, come farò, mi chiedo.
Nel tempo che è passato, ho fatto carriera, guadagno bene, ho famiglia, due figli.
La gente che mi conosce dice di me che sono un uomo "arrivato".
Ma dove?
Ho mancato il colpo dei miei vent’anni e sono condannato a portarmi in anima questo ricordo ribelle ed il rimorso di non aver saputo voler bene.
E questo rimorso, adesso ne sono sicuro, è per sempre.