Piano meno uno
Il vino trabocca dal bicchiere uscendo in piccoli rigagnoli sottili.
10:30 tutto come da copione.
Gente che va in tutte le direzioni con buste di carta in mano contenenti prove inconfutabili di malattie varie. Infermieri fermi, intenti a discutere della partita che si dovrà giocare, elencando formazioni e tattiche da tener conto per fermare gli avversari.
Mario, davanti al suo bicchiere di vino non cerca nessuno.
Lui ha tutto lì, il bicchiere che lo guarda negli occhi e il vino pronto a capirlo, lasciandolo navigare nella sua solitudine.
Quarant'anni di servizio è questa l’unica cosa certa, l’unica cosa che insieme al suo nome non gli può togliere nessuno.
Il bar alle 10:30 è affollato, parenti in visita, dottori, c’è gente ovunque, arrampicata sul bancone pronta a ricevere qualcosa.
Mario parla, lascia uscire il suo piccolo mondo dalle parole chiuse male fra i denti.
E’ solo davanti al bicchiere e lascia scivolare tutto, frammenti di vita sciolti senza senso apparente, senza tempo, con un unico scenario sullo sfondo.
Verità mischiata a delirio, frasi dette in mezzo alla folla delle 11:00, ripetute alle 12:00, lasciando un piccolo spazio, una linea tra il bancone e i suoi piedi.
‐1, un numero al disotto dello 0, un numero pieno di corridoi e stanze, ma soprattutto porte chiuse. Mario si prende cura di tutti, in fondo è il suo lavoro, lavare, vestire, incipriare, rendendo ancora bello quello che sta per appassire. Cerca con i suoi piccoli gesti quotidiani di attaccare un po’ di vita, l’ultimo lembo, l’ultima immagine da ricordare prima di sparire per sempre. Persone con nomi e cognomi che presto saranno dimenticati tra le foglie gialle di qualche lapide bianca.
Ogni piano lascia scivolare sentimenti diversi, raccolti in un unico lamento.
E lui è lì, con il suo cappotto consumato, la sua aria emaciata, unico vero eroe del piano
‐1.
L’ultima mano gentile prima della fredda solitudine.
Ogni giorno volti nuovi, anni, qualcuno giovane, qualcuno vecchio.
Tutti legati da un solo destino, raccolti in un'unica parola, 5 lettere di certezza.
Si commuove, quarantanni di servizio e ancora riesce a piangere.
Sogna, immaginando finali diversi per i corpi che accarezza, per le mani che sfiora.
La piccola Silvia, con il lunghi capelli biondi, il minuscolo vestito rosa a testimonianza della sua innocenza, il vecchio Alberto, piccolo come un albero che ha già dato molti frutti. Mario sceglie le lacrime, mentre silenziosamente nella stanza cerca di dimenticare, lascia che la luce del pomeriggio tocchi le lettighe, accarezzando i lenzuoli deformati da figure immobili. Li immagina tutti vivi, insieme in un giorno di Maggio, accompagnati dal sole caldo che li rende tutti belli. Le loro voci gioiose si confondono con il suono di una nota, una nota che cerca di tenera aperto l’unico spiraglio di vita. Lui si lascia trsportare dal vento, leggero, li prende per mano tutti, sorridendo, lasciando che i sogni almeno per oggi possano prendere forma. Lasciando che il rumore del pianto rimanga alla porta, senza disturbare, senza che nessuna lacrima bagni questo giorno. E poi di colpo apre gli occhi, ed è tutto fermo, la luce del pomeriggio è diventata buio, interrotta dal neon opaco del soffitto. Stancamente si alza, sposta qualche lettiga cercando di creare una fila perfetta. Manda giù l’ultimo sorso di vino, alza il bicchiere per un brindisi e li rivede tutti lì in piedi, vede i loro volti tristi e seri.
Lo guardano e piano piano indietreggiano dietro la riga buia della stanza. Mario si volta, lascia cadere il bicchiere, sorride toccando il pavimento con la guancia, chiudendo gli occhi per l’ultima volta.