PoK[nusco e altre osservazioni]
Come avevo promesso anni prima, ritornai in quel posto che, come dicevano, io conoscevo da sempre, ma che non ricordavo affatto. Non era un problema. Un letto o l’altro, per me, non ha mai fatto molta differenza. Tornai, dunque, completamente distorta, dopo una lotta all’ultimo sangue con i nodi a cui era legata la mia persona, dalla cintola in giù... le scarpe, in questo, non c'entravano poi molto, però.
Mi telefonò. Risposi con voce roca per via del brutto sapore che avevo in bocca, una sorta di malattia. Cercavo di deglutire l’ennesimo pezzo di fegato che continuava a salirmi in gola, molliccio, acido, non digerito, incompleto nel suo ciclo. Giallo, magari. Risposi, dunque, quasi strozzandomi e contemporaneamente tentando di stabilire i perché della mia sorte, disegnando cerchi sul muro con la punta delle dita. Mi sovvennero dei capelli bianchi. E di chi avrei potuto fidarmi? Avrei potuto, inoltre fare un dono? Oppure, magari, mi sarei avventurata nel morso a una pesca? E da essa mi sarei fatta risucchiare, completamente, fino a diventare anch’io una immensa polpa amorfa e rosa?
Dall’altro capo, la solita voce di sempre, calda e imbarazzante, per la lingua che gli si scioglieva.
Gli chiesi una ben determinata cosa, “un come stai”, suggeritomi da lui. Rispose, elecandomi tutta una serie di motivazioni, di avvenimenti, di sensazioni, di dottrine, di miracoli che, sommandoli, avrebbero dovuto essere il motivo per cui ora aveva cominciato a credere in Dio e a smettere di credere in me.
Forse perché alla base dei suoi assunti doveva esserci la certezza che dio esiste e molto probabilmente io no.
Camminando lungo una strada vuota, inciampando sui sampietrini.