posso darti un bacio?
‐“Voglio raccontarti una storia”‐
Dissi una sera a mia nipote Leila. Mi guardò sorpresa, tralasciando per un momento di sospirare sul suo amore infranto. Leila non ha ancora quindici anni; il giovanotto di cui si era innamorata con la forza e l’ingenuità del primo amore, è partito per l’estero con la famiglia, promettendole di non dimenticarla.
‐”Che storia? Un fatto vero o uno dei tuoi racconti?”‐ Mi chiede, cercando di mostrare un interesse che in realtà non prova.
‐” Un fatto vero. E’ accaduto a me circa venti anni fa. E’ una storia d’amore. “‐
‐”Triste?”‐
‐”Dipende dai punti di vista. Per me oggi non lo è più. Sono felice comunque di averla vissuta... ”‐.
‐”Sentiamola dunque... ”‐ Accetta con un sospiro. In realtà anche lei sa che ha bisogno di distrarre il suo pensiero dall’esperienza che sta vivendo. Comincio:‐
Avevo sedici anni. A quel tempo i miei genitori mi avevano condotto con loro in un piccolo ma piacevole paesino d’Italia. Ricordo come mi sentivo: ero euforica perché per me ogni novità era accettata con gioia. Sapevo che il paesaggio sarebbe stato l’ideale per dipingere ed avevo portato con me colori a olio, pennelli di tutte le misure e tele di varie dimensioni, oltre alla mia solita voglia di vivere. Ero una ragazza snella, con lunghi capelli biondi. Sapevo di essere molto carina. L’albergo dove ci fermammo non si trovava al centro della cittadina, ma ai suoi piedi, in prossimità di una stazione ferroviaria, su di una strada di grande traffico e quindi per raggiungere il centro abitato si doveva usufruire dei mezzi pubblici. Durante la mia prima passeggiata in paese mi accorsi di essere al centro dell’attenzione: ero evidentemente straniera, indossavo secondo il mio solito pantaloni chiari, attillati e magliette a coste che ponevano in luce il mio fisico snello. Quel giorno, in piazza, feci conoscenza con Angelo. Era un ragazzo di diciassette anni, bruno di capelli, con grandi occhi espressivi ed una gentilezza vecchio stampo.
‐”Come mai sei qui?”‐ Mi chiese .
‐”Sono venuta con i miei genitori per una breve vacanza. Mio padre segue le cure termali. Resteremo soltanto sette giorni, ammesso che niente richiami all’improvviso il genitore in città. Ecco perché ho fretta di dipingere qualcosa di questi luoghi, per ricordarli meglio quando ripartirò.”‐.
‐”Conosco un posto bellissimo che farebbe proprio al caso tuo!”‐ Disse lui sorridendo.‐ “se vuoi, possiamo incontrarci al circolo del tennis, che si trova vicino al tuo albergo. Verrò a prenderti con la motocicletta di mio fratello e ti porterò a dipingere. Ti piacerebbe?”‐
‐”Certo! A me piace moltissimo andare in moto!”‐ Il giorno dopo, allegra per la passeggiata che stavo per fare, andai ad attendere Angelo al circolo. Vidi tanti ragazzi e ragazze nei loro completi bianchi giocare allegramente, giunsero e ripartirono molte motociclette, ma all’ora dell’appuntamento lui non venne. Attesi pazientemente per un po', poi cominciai a sentirmi ridicola ed infine irritata. In quelle situazioni sono solita seguire l’istinto, che spesso mi ha procurato non pochi problemi, specialmente nel passato. Da rossa quale ero decisi di prendere il primo autobus, raggiungere il paese e trovare Angelo. Cosa avrei fatto dopo? Non lo sapevo con chiarezza.
‐”E lo trovasti?”‐ Domanda Leila.
‐”Aspetta a sentire il resto!”‐ Replicai, innervosita per essere stata interrotta. ‐”Dunque. Presi la mia tela e la cassetta dei colori e procedetti come deciso. salita sull’autobus, pur se in uno stato d’animo che non era proprio lieto, non potei non ammirare lo scenario che si stendeva intorno: un verde brillante abbracciava la terra sino all’infinito ed il cielo cadeva terso ed azzurro sull’orizzonte. Provavo inoltre la sensazione di essere un’eroina e la tristezza che sentivo in me, da artista portata un po' a drammatizzare, mi piaceva. O almeno così mi appare nel ricordo. Al paese giunsi verso le 11 del mattino. Percorrendo i giardinetti della villa comunale m’imbattei nell’oggetto delle mie ricerche.
‐”Alessandra!”‐ Chiamò lui emozionato.
‐”Ciao, che piacere vederti!” Dissi io con una punta di sarcasmo nella voce.
‐” Non sono potuto scendere. Devi scusarmi. Mio padre mi ha chiesto un piacere e le richieste di mio padre sono ordini... non potevo dirgli che... ”‐.
‐”Che un’insulsa ragazzina ti aspettava”‐ Completai io.
‐”Ma no! Il fatto che qui c’è mia cugina... ”‐
‐”Con cui sei fidanzato.”‐ Completai io di nuovo.
‐”Non proprio fidanzato...”‐
‐”Insomma sei impegnato con lei ed avevi paura che ti vedesse con me. Paura di cosa poi, visto che tra noi non c’è nulla! Comunque se tu vuoi così, tanto di guadagnato!”‐ Terminai e mi avviai velocemente come per lasciarlo alle spalle. Lui invece, ben deciso a non mollarmi, benché io corressi quasi, mi si affiancò rosso in volto. Prendemmo una strada in discesa e, sempre senza parlare, giungemmo a un muretto. Da quel punto si poteva scorgere tutta la pianura e, in primo piano, un grosso arco di pietra di epoca romana.
‐”Proprio qui volevo portarti.”‐ Osò dire Angelo.
‐”Adesso ci siamo, tanto vale che dipinga!”‐ Risposi io. Detto fatto mi misi al lavoro. Quando dipingo, non penso ad altro. Per circa un’ora lavorai di lena. Mia piaceva tutto di quel posto ed i colori sembravano accoppiarsi da soli sulla tavolozza. L’arco assunse sulla tela una tonalità violacea, in contrasto con il verde delle piante che vi si arrampicavano. Angelo mi passava i pennelli in silenzio, osservandomi dipingere e metteva al loro posto i tubetti dei colori, man mano che non mi servivano più. A un certo punto mi fermai; ero stanca e dovevo riposarmi un poco. Mi girai a guardare solo allora il mio “cavalier servente”. Non dimenticherò più quel momento: un sole caldo, quasi estivo, ci riscaldava. Lui era disteso su di una roccia e fissava gli occhi nei miei con grande dolcezza. Le sue spalle giovani, messe in evidenza dal maglione, lo facevano assomigliare ad una statua greca del Museo di Capodimonte. MI sentivo un po' stordita.
‐” Posso darti un bacio?”_ Mi chiese lui con dolcezza.
‐”Perché?”_ Risposi io. Ma poi rinunciai ad ogni discussione, avvicinando il mio viso al suo. Fu un momento delizioso, fragile, innocente...
‐”E come finì, poi?”‐ M’interruppe di nuovo Leila, visibilmente affascinata dallo svolgimento del racconto. ‐”Adesso lo saprai, non avere fretta. Ti ho detto, dunque, che sarei dovuto ripartire. Quel giorno fu difatti uno degli ultimi che trascorsi al paese. Angelo mi riaccompagnò alla corriera tenendomi la mano in pieno pubblico. Ma né a lui né a me interessava più di quello che avrebbero potuto pensare gli altri. Tra noi, in effetti, il più coraggioso era lui, che sarebbe restato e non certamente io, che sapevo di dovere andare via. Quando salii sull’autobus, mi diede un rapido bacio su di una guancia ed una stretta di mano. Lo salutai dal finestrino. Il giorno dopo ci rivedemmo e andammo di nuovo alle vecchie rovine, poiché dovevo terminare il quadro. Passarono assieme sulla strada a un’anziana donna, un uomo ed un asino.
‐”Che bellu quadro, signurì!”_ Disse l’uomo, fermatosi a guardare.
‐”Lassala sta, Vicienzo. Se o fidanzato se scoccia te pote menà!”‐ Aggiunse la donna ridendo. Poi se ne andarono.
‐”Ci hanno creduti fidanzati!”‐ Dissi ad Angelo, felice, prendendogli una mano.
‐”Già, ma cosa conta se non è vero?”_ Rispose lui tristemente. Ci baciammo di nuovo con amore. Forse proprio perché sapevamo di doverci lasciare, ogni momento vissuto assieme aveva più sapore: era perfetto.
Terminato che fu il quadro e contro la volontà del mio ragazzo che mi pregava di lasciarlo a lui, m’incaponii di voler portare il mio capolavoro alla casa di quel vecchio che ci aveva creduto fidanzati.
‐”Ti prego, Alessandra, lascialo a me!”‐ Diceva Angelo con passione.
‐”No, a te lascio il ricordo dei giorni passati assieme... ”‐ Rispondevo io e come volli, si dovette fare: il dipinto fu regalato al vecchiarello il mattino successivo. Appena rientrai in albergo dopo quell’ultima mattinata trascorsa assieme mio padre mi comunicò che una telefonata della Banca che lui dirigeva lo aveva richiamato in città. A pranzo non mangiai nulla. La sera, ottenuto il permesso dopo molte discussioni, ottenni di salire al paese. Erano le diciannove, ma per strada non c’era più nessuno ed il cielo andava scurendosi. Dopo molte indecisioni andai sotto la casa di Angelo ed aspettai mezz’ora inutilmente, poi finalmente passò un uomo e gli chiesi se conoscesse Angelo. ‐”E’ mio figlio, signorina...”‐
‐”Oh! Sono stata fortunata! Per favore, può dirgli che devo parlargli? Lo so che è ora di cena, ma domattina devo ripartire e non posso rimandare... ”‐ Più che le mie parole dovettero convincerlo i miei occhi tristi. Inoltre si vedeva che ero in pena e... spaesata come un marziano. Salì in casa promettendomi che lo avrebbe fatto scendere. Forse fu soltanto la mia immaginazione a farmi sentire delle grida di donne o forse davvero la madre di Angelo fece storie. Attesi ancora dieci minuti. Era scesa la sera ed un mucchio di stelle brillava intensamente nel cielo quando finalmente lo vidi scendere.
‐”Davvero parti domani?”_ Mi chiese subito.
‐”Sì, domani alle sette del mattino”‐
‐”Allora non ci rivedremo?”‐
‐”Non credo... la nostra è una storia senza possibilità”‐ Appena ebbi detto questo, mi afferrò per mano e ci avviammo verso i giardini. Sovrastavano tutta la vallata. Un cielo blu cupo, pieno di stelle lucentissime ci copriva. Angelo si appoggiò contro il parapetto che ci divideva dal precipizio ed io contro di lui, con la testa sulla sua spalla. Continuammo a parlare.
‐”Come faccio se ti perdo?”_ Mi chiese d’un tratto.
‐”Non possiamo fare diversamente. Neanche a mio padre andresti a genio ed in quanto ai tuoi mi devono credere una... ”‐
‐”Non dire sciocchezze!”‐ Esclamò lui.
‐”Bisogna rassegnarci.”‐ Terminai. Non volli dirgli che nella mia città mi attendeva un fidanzato ufficiale, figlio di un amico di mio padre, ricco e potente. Invece lo baciai teneramente sulle labbra e lui mi restituì il bacio come se fosse la cosa più importante del mondo e per noi, in quel momento lo era. Ripensandoci adesso mi rendo conto che si trattava di baci casti e dolci come solo i ragazzi possono scambiarsi, ma che in noi c’era un’intensità di sentimenti tanto forte da farli divenire unici. Quando mi scostai da lui, vidi molte lacrime luccicare nei suoi occhi innamorati.‐ “Scrivimi! Ti darò almeno io l’indirizzo, anche se non vuoi darmi il tuo!”‐ Mi disse quasi implorando.
‐”Ma è inutile! Non faremo altro che prolungare questa agonia!”‐ Esclamai io.
Chissà quante volte quell’ultima sera dovette chiedermi di scrivergli. Ma fui irremovibile. Poi lo pregai di accompagnarmi all’albergo con la moto. Abbracciata a lui, sul sellino di dietro, sognavo di scontri mortali e di suicidi. Sentivo la sua vita tra le braccia con cui mi tenevo e lui guidava lentamente, come per prolungare quegli ultimi momenti. Arrivammo comunque all’albergo. Il cuore mi batteva in petto per la paura di essere sgridata da mio padre: erano le ventuno passate da un pezzo ed io, per quanto fossi di città, non potevo affatto decidere di testa mia. Mi sentivo molto forte della mia decisione di lasciare Angelo senza “troppe storie”. Sapevo quando fosse inutile illudermi ed illuderlo ancora su di un futuro che non c’era consentito e preferivo un taglio netto, doloroso ma efficace. Prima di andare via lo baciai di nuovo con dolcezza, ad occhi chiusi. Il nostro era stato un amore breve e pulito. Oggi non sono più di moda, oggi ci sono gli happening, ma invece tra me ed Angelo era tutta tenerezza. Forse per questo i nostri baci non posso dimenticarli. Girai le spalle ai giorni felici vissuti con lui di scatto e, senza più voltarmi, altrimenti mi sarebbe mancato il coraggio di andare via, corsi nella sala da pranzo dell’albergo. I miei genitori cenavano già, ma, al contrario di quanto mi aspettassi, non fui sgridata per il ritardo. Mio padre mi lanciò uno dei suoi sguardi sornioni e comprensivi e m’invitò a decidere su cosa ordinare. ‐”Hai poi salutato il paese?”‐ Mi chiese con dolcezza.
‐”Sì, l’ho salutato”‐
‐”Sei triste?”‐
‐”Un poco”‐ Risposi laconicamente per evitare che l’emozione che provavo divenisse troppo evidente. Quella notte nella mia stanza non riuscii a dormire. Pensavo e ripensavo a tutti i momenti passati con Angelo e avevo una gran voglia di piangere, ma la mia camera era posta a fianco di quella dei miei e temevo di essere sentita. Allora uscii sul balcone a guardare le stelle, alle porte dell’alba. Piansi, con i pugni stretti ed a singhiozzi per non so quanto e soltanto alle sei del mattino rientrai per mettermi a letto. Non mi riuscì comunque di prendere sonno e feci le valigie ritrovando via via la calma interiore necessaria a partire senza perdere la mia dignità. Verso le sette anche i miei genitori furono pronti. Un discreto bussare all’uscio mi avvertì che ero attesa. Scendemmo dunque al bar dell’albergo per fare colazione, poi ci avviammo alla macchina. Quale fu la mia sorpresa nel trovare Angelo ad attendermi? Non so dirlo. Mantenni la calma così faticosamente conquistata. ‐”Papà, mamma, questo è Angelo”‐ Dissi con fermezza. Mamma e papà gli sorrisero e gli strinsero la mano, poi si allontanarono con discrezione fingendo di essere molto occupati con le valigie.
‐”Perché sei venuto?”‐ Gli chiesi.
‐”Volevo darti questo”‐ Rispose lui, mettendomi tra le mani un foglietto con poche righe che ancora ricordo col pensiero come potessi leggerlo:‐” Angelo Bellizzi, via... ”‐
‐”Hai fatto bene!”‐ Dissi con convinzione. Così ci salutammo con la sensazione di non esserci del tutto perduti. Nel lungo viaggio di ritorno dormii come un ghiro. Ero spossata dalla tristezza e dalla notte insonne. Tornata nella mia città ripresi la solita vita dicendomi sempre:‐” Se non ce la faccio più gli scrivo oppure lo raggiungo”‐ Ma lo facevo per darmi coraggio. In realtà gli mandai soltanto una cartolina con l’immagine della mia città ed una breve frase:‐ ”Fate amicizia!”‐ Firmai con A e nient’altro.
‐”E lo hai più rivisto?”‐ Mi domanda mia nipote con gli occhi lucidi per la commozione‐ ”No.”‐ Mentisco io. In realtà lo rividi un anno dopo ed era terribilmente irritato con me, tanto che mi stava passando innanzi senza salutare. Lo fermai io, per strada, per sentirmi accusare di non avergli mai scritto. Gli risposi che non era vero, che gli avevo spedita una cartolina. Ricordo ancora la sua faccia perplessa:‐ “davvero?”‐, mi chiese. Forse il padre gliel’aveva tenuta nascosta… chissà. Ma quell’incontro, ormai, non aveva più valore…
‐”E’ molto triste, zia!”‐
‐”Perché triste, Leila? E’ un ricordo dolcissimo! Lo tengo in serbo per i momenti amari. Mi aiuta a vivere.”‐
‐“Non ti sei mai pentita di averlo lasciato?”‐
‐”No. Mai. Eravamo troppo diversi ed io non avrei saputo vivere un rapporto da lontano. Inoltre gli amori di quell’età, salvo rari casi, sono destinati a finire. Meglio dunque se una separazione pone fine a tutto, lasciando il ricordo di qualcosa di romantico, altrimenti rischiano di finire molto stupidamente.”‐
‐”Perché devono comunque finire? Non potrebbero portare ad un matrimonio?”‐
‐”Anche con il matrimonio finiscono. Il grande amore è quello impossibile.”‐ Dichiaro io convinta.
‐”Allora è inutile? E’ tutto inutile?”‐
Niente è inutile se ti lascia la voglia di guardare una notte stellata con tanta passione nell’animo e tanta dolcezza... ” Dico io e in quel momento passo a mia nipote una poesia scritta qualche mese prima sussurrandole:‐ ”Leggi... ”‐.
“In ricordo.
In ricordo di un attimo,
fuggevole rimpianto del passato,
un fiore di parole un po' appassito
davanti ad una foto
che non scattammo mai.
L’azzurro si perdeva nel calore
la sera discendeva lentamente
sul verde delle zolle,
sui volti della gente.
Passare e ripassare nella via
di sconosciuti
in un paese amico,
e un volto di ragazzo
dagli occhi innamorati che,
pieni di tristezza,
cercavano un amore senza tempo,
sul mio volto.
Una favola dal sapore di pianto
nell’anima è restata,
favola stupenda
che non fu mai vissuta
e che per questo resterà stupenda
nei suoi occhi innocenti
che resteranno tali
soltanto dentro me.
Le stelle mute e bianche
erano in cielo
quando gli dissi addio
ed ai suoi occhi apparivo già
come rimpianto,
come sogno svanito
prima di essere sognato.”‐
‐”Lo pensi ancora zia?”‐
‐”Sì, a volte mi chiedo se avrei potuto agire diversamente... mi chiedo se non ho lasciato in quel pezzo di cielo una vita da vivere in due con qualcuno che mi amasse davvero... ma sono soltanto domande, senza risposta.”‐
‐”E’ proprio una bella sera questa, vero zia?”‐ Dice Leila, indicandomi il cielo pino di luci al di fuori dei vetri del balcone. Usciamo a goderci le stelle del firmamento e penso con dolcezza che sono le stesse di allora. ‐”Sì, è proprio una bella sera Leila. Una di quelle sere che paiono nate per ricordare”‐ Termino. E sospirando alziamo assieme lo sguardo verso il nero illuminato dagli astri.