Prime comunioni
Ieri sono stato alla prima comunione di mio nipote. Erano tutti, bambini e bambine, vestiti con una tunica bianca e sotto, molti, le scarpe da ginnastica. Quando ero piccolo io si usava che tutti i bambini venivano vestiti di nero in giacca e cravatta e le bambine vestite di bianco, qualcuna con lo strascico, qualcuna col velo, ma sempre ridicoli ed emozionati come si può essere a quell’età nel mezzo di una cerimonia desueta, su cui uno da piccolo si fa anche delle domande. Io, per esempio, una volta ho chiesto alla giovane e ingenua catechista come mai, se l’ostia è il corpo di Cristo, ci danno un tondino di pane e non come sarebbe logico una bistecchina, e la giovane e ingenua catechista mi ha mandato fuori dall’aula.
Alla prima comunione tutti scattavano delle foto ai bambini e alle bambine, con le macchine fotografiche e coi telefoni cellulari, e uno perfino con l’iPad, tant’è che il parroco stava per perdere la pazienza, “c’è già il fotografo ufficiale” ha detto. Ma fare foto oggi è facile, uno le scatta senza nemmeno pensarci, e io infatti mi sono chiesto dove andranno a finire tutte queste foto. Quando l’ho fatta io, la prima comunione, le foto si portavano subito a sviluppare e si mettevano in ordine, incollate su enormi album dalle pagine spesse, con didascalie precise scritte da mamma o da papà. Infanzie e adolescenze, per niente fotogeniche, illuminate dai flash di genitori premurosi o fotografi senza fantasia. Una documentazione lacunosa, più sensibile a torte e cerimonie, a brevetti di nuoto, recite di Natale, saggi di danza, vacanze, piuttosto che ai giorni da niente. Un archivio in posa impettita di ora felici, o apparentemente tali. C’erano dolci millefoglie uguali di anno in anno, nonni che celebravano compleanni di età per noi indefinibili e comunque lontane come altri pianeti, pezzi di faccia o di braccio di qualcuno regolarmente tagliati fuori, occhi da pesci lessi, divani rifoderati e mobili che scomparivano dalle pareti, il giro dei battesimi, delle prime comunioni, delle cresime di tutti i cugini, come lo scadenzario del nostro intermittente cattolicesimo.
Poi c’è un giorno in cui questo carosello finiva. Nessuno se ne è accorto lì per lì: i figli crescevano, la mamma smetteva di riordinare gli album delle fotografie, oppure gli album delle foto smettevano di andare di moda, mentre tutti cominciavano a fotografare tutto con qualsiasi aggeggio, e allora nessun ordine aveva più senso, o magari perché non esistiamo mai solo per qualcosa o per qualcuno, allentiamo la presa e non possiamo che distrarci, in modo continuo, involontario e spietato, anche dalle cose e dalle persone che amiamo. Guardo la mia nipotina più piccola, intanto, che accarezza con gli occhi il fratello vestito da grande e le altre bambine tutte acchitate, e non vede l’ora che tocchi anche a lei.