Quell'estate a Lesbo (il trionfo dell'amore profano) - prima parte
Chi ancora persuadere a stare al tuo amore? Chi ti offende? Se infatti fugge presto ti cercherà, se non vuole doni, te ne farà, se non ama, presto amerà
Pamela e Rebecca, due giovani musiciste inglesi (l'una pianista, l'altra suonatrice di contrabbasso), erano amiche inseparabili sin dall'infanzia, vissuta insieme e spensieratamente a Windermere, la più frequentata stazione di soggiorno della regione dei Laghi o Lake District (contea di Cumbria), situata tra le boscose colline del lago omonimo.
E Windermere, incantevole quanto tranquilla cittadina di appena ottomila anime, è famosissima in tutto il mondo per essere stata, nella prima metà del XIX°secolo, la capitale del romanticismo inglese. La "prima generazione" di poeti e scrittori romantici, infatti, (da William Wordsworth a Robert Southey, da Samuel Taylor Coleridge a Charles Lloyd, Johnny Wilson, Thomas de Quincey, etc.) si riunì e visse in questi luoghi della Scozia sud‐occidentale (oltre a Windermere ci sono altri piccoli paesini sparsi nella regione: Ambleside, Hawkshead, Coniston, Patterdale, Keswick, Grasmere, Cokermouth, Kendal), meravigliosamente amèni e incontaminati nonché dalla primordiale natura e semplice che tanto li ispirarono nel loro scrivere e declamare versi.
Le due ragazze "nutrirono" la loro adolescenza e gli anni seguenti al college (frequentato anch'esso insieme a St. Alban' s, nella contea della Greater London) di poesia, soprattutto, ed idilliaca natura. Già a dodici anni, tuttavia, avevano cominciato a cercarsi per simpatia ed affetto ma anche per qualcos'altro. Un giorno di settembre, infatti, prima di partire per il college, quelle sensazioni, e quei desideri, e quelle pulsioni sino ad allora rimaste velate e inespresse, uscirono finalmente allo scoperto: Pam e Reby (i rispettivi diminutivi con cui erano chiamate in famiglia), durante una gita in barca a Belle Isle, isoletta al centro del lago ad appena tre miglia da Windermere, si baciarono voluttuosamente, prima, eppoi si accarezzarono sensualmente, si amarono e possedettero perdutamente, eroticamente e omosessualmente. Tornate alle rispettive abitazioni, decisero tuttavia di non riferire nulla dell'accaduto ai propri genitori; di tenere, cioè, nascosto il loro amore sicure che quelli non avrebbero compreso né tanto meno accettato il fatto (le famiglie di entrambe, infatti, appartengono all'alta aristocrazia borghese e nobiliare britannica, legata a logori ed antiquati schemi mentali quanto a principi perbenisti e retrogradi): fino a quando i tempi li avrebbero consentito di fare il contrario. Partirono per il college due giorni dopo, col rapidissimo delle British Railways Harrogate‐Leeds‐Londra e lo frequentarono insieme per quattro lunghi anni (Pamela studiò letteratura greca e pianoforte; Rebecca, invece, scienze naturali e contrabbasso); facendolo, inoltre, senza mai rivelare a nessuno il segreto condiviso, che le teneva unite in quel momento particolare (quasi come fosse un doppio filo d'étamine, tanto rado ma al tempo stesso talmente congiunto da mostrare di netto la sua trama all'occhio che lo osserva) e che le avrebbe tenute poi assieme per tutta la vita, né mai mostrare ad anima viva le loro tendenze omosessuali e la loro passione "incestuosa e contronatura": una prova eccezionale di carattere, coraggio e determinazione, nonché di forza d'animo, maturità ed abnegazione ma anche, e soprattutto, una immensa prova d'amore. Il giorno della consegna dei diplomi, però (sarebbe caduto in un sabato di metà maggio), le due ragazze decisero che fosse arrivato il momento di cambiare lo stato delle cose e rivelarsi al mondo ed alle proprie famiglie. E così avvenne, infatti!
Il padre di Pamela, David Flint (tipo brizzolato sulla cinquantina, aria da baronetto e pipa perennemente in bocca), arrivò sulla sua Jaguar B18 serie Uno color ruggine insieme alla moglie Prudence (donna di mezza età, elegante di portamento, ben vestita e ben...assortita) direttamente da Newcastle dove entrambi avevano trascorso i giorni precedenti (lei partecipando ad un torneo di bridge, invece lui ad un raduno del club della "caccia e della giarrettiera", associazione filantropica, filoaristocratica e ultra conservatrice, nata con l'intento di promuovere in tutto il Regno Unito l'arte venatoria, appunto; oltre a far rivivere lo splendore coloniale dell'impero britannico, rievocandone gesta e imprese passate). Erano le dieci in punto, la cerimonia sarebbe cominciata a mezzogiorno. Pamela attese il padre nella hall dell'aula magna e quando lo vide entrare, insieme alla madre, si avvicinò ad essi notevolmente sbiancata in volto. L'uomo, allora, chiese: ‐ Figliola, siamo forse inaspettati? Sembra tu abbia visto due fantasmi!
In effetti, la ragazza era abbastanza tesa, no per la consegna dei dilplomi ma per ciò che lei e la compagna avrebbero rivelato, di lì a poco, alle rispettive famiglie.
‐ No, papà, ‐ rispose (quando era nervosa, come in quel caso, lo chiamava per esteso e no "pà"!). ‐ Non preoccuparti, è soltanto l'ansia per oggi: tu è la mamma non avete colpa!
Era poco sincera, evidentemente: in cuor suo sapeva benissimo ciò a cui andava incontro. I tre, intanto, s'avviarono nell'aula magna (già gremita in ogni ordine di posto, nonostante l'orario) e si sistemarono nella penultima fila sulla destra rispetto al palco, sedendosi sulle poltrone centrali. Nel frattempo Rebecca aspettava ancora i genitori per strada: seduta su una panchina nella Main Street, la via principale di St. Alban's, ch'é tutta inghingherata di pini e lecci e dove si affacciano, a sud il Quirkej Castle, casatorre del secolo XV°, a nord il Cashel Palace, palazzo georgiano del 1730 rimodernato, ora albergo quadristellato (della catena Donovan's&Mc Allister, con sedi sparse in tutto il Regno Unito), con tanto di piscina olimpionica annessa e duecento stanze ultralux, un tempo sede dell'arcivescovado. Dietro, invece, in Dominic Street, di fronte a un grande drugstore abbandonato, sono le rovine del St. Dominic's Friary, chiesa domenicana del secolo XIII° con torre sulla crociera. Alle undici e trentasette anche i genitori di Rebecca finalmente giunsero (per loro disgrazia, un ingorgo sull'autostrada, tra Cheltenham e Aylesbury, nei pressi di Oxford, a trentacinque miglia da St. Alban's, li aveva rallentati). La madre Frances (della dinastia Rotschild), una donna energica seppur minuta, abbastanza simpatica sui quarantacinque (capelli lunghi e ricci, volto ben truccato, orecchini di perla verdi e rossi portati a mo' di ciondolo ed un diadema di brillanti a diciotto carati a bella mostra sul collo), aveva un diavolo per capello (anzi, sui capelli visto che ne aveva tantissimi!) ed uscendo dalla macchina, una Triumph "Madeira" color caffelàtte, gridò con foga al consorte (Benny Nunn, V° baronetto della dinastia Nunn‐Westmoreland), tipo robusto, circa cinquant'anni, coi capelli fulvi e una strana voglia a forma di fragola stampata vicino all'orecchio destro:
‐ Diamine, Ben, era ora che arrivassimo, ancora un po' e avremmo fatto in tempo a ripartire senza neanche aver disfatto le valige né visto nostra figlia diplomata!
La donna aveva ragione: in effetti, mancavano pochi minuti appena all'inizio della cerimonia. Rebecca si avvicinò ai due di corsa (nel frattempo il padre aveva posteggiato la macchina di fianco all'entrata della scuola) e rivolgendosi al padre disse:
‐ Papà, come mai così in ritardo?
‐ Sai, Reby, ‐ rispose l'uomo, ‐ i contrattempi sull'autostrada sono sempre in agguato!
‐ Va bene, ‐ fece la ragazza, ‐ entriamo pure, mi spiegherai dopo, se vuoi!
I tre entrarono nell'aula magna e si posizionarono (questione di coincidenze fortuite oppure, chissà ?!), manco a farlo apposta, dietro i genitori di Pamela, seduti già da un pezzo insieme alla figlia. Non salutarono, però, i Flint (le due famiglie, oltre a essere dirimpettaie sulla Donovan Street, a Windermere, ‐ le ville di entrambe, anzi, sembrano essere incollate tra loro col nastro adesivo, per quanto sono vicine! ‐ si conoscevano da immemore tempo). La cerimonia cominciò ed il rettore, John Dumbar, professore emerito di scienze naturali (laureatosi ad Oxford nel 1971 con una dissertazione sui coleotteri della Tanzania!), tipo grassoccio ma distinto, sui sessanta ben portati, originario di Lizard, estrema punta nord della Cornovaglia, prese a parlare.
‐ Signore, signori, genitori tutti, allieve ed allievi: grazie di essere quì, quest'oggi. E' la 399^cerimonia di consegna, questa ‐ (il St. Alban's è uno dei college più vecchi del Regno Unito: il quinto per "età" dopo i sommi Oxford e Cambridge, Eton ed Edinburgo) ‐ ed è davvero speciale perché cade ad un anno esatto dal 400°anniversario della nostra gloriosa scuola e...bla, bla, bla, andando avanti ancora per altri tredici noiosi e interminabili minuti (lo furono, evidentemente, soprattutto per Pam e Reby!). Dopo di che cominciò a chiamare sul palco, uno per volta, gli studenti (lo faceva, usanza atipica della scuola, per nome e no per cognome), fino a che venne il turno di Pamela, chiamata per prima rispetto alla compagna. Al termine della cerimonia nell'aula antistante a quella posta di fianco alla sala mensa, di solito usata per conferenze ed eventi affini, venne offerto ai convenuti un brunch a base di tartine (con burro, salmone e caviale), aperitivi vari (sherry e vermouth bianco), yorkshire pudding (budino caldo) alla vaniglia e macedonia. Tutto si svolse nel breve lasso d'una ventina di minuti: dopo di che ognuno fece ritorno alle proprie abituali attività. Pam lasciò i genitori e corse da Reby; dopo averla raggiunta, la fissò per un attimo negli occhi eppoi le prese le mani ed esclamò raggiante: ‐ E' il momento!
Così entrambe (tenendosi per mano) tornarono in fretta dai loro genitori i quali, nel frattempo, avevano preso a discorrere vicino alla macchina dei Flint, posteggiata di sbiego davanti ad una cabina telefonica e poco distante dalla scuola, sulla Chelmsford Road. Pam, che ancora teneva per mano la compagna (con la sinistra stringeva la destra di Reby, nella destra portava una cola chiusa), fu la prima a parlare rivolgendosi alla madre Frances:
‐ Sentite, ‐ disse, ‐ noi due abbiamo da dirvi una cosa...; non appena ebbe pronunciate quelle parole il padre di Reby fece con tono baldanzoso ed allegro:
‐ Ah! Ah! Abbiamo capito, ragazze, vi servono dei soldi, volete fare un bel viaggetto, eh?
‐ No, non credo pà, ‐ disse questa volta Reby, ‐ sembra che non abbiate capito nulla!
‐ Allora spiegatevi meglio, su vìa, fatelo per favore: siamo tutti orecchie, pronti ad ascoltarvi, ‐ fece il padre di Pam, rivolgendosi ad entrambe.
‐ Sapete, ‐ fu nuovamente Pam a rispondere, ‐ io e lei, io e Reby... ‐ si interruppe appena un attimo, colta dall'emozione, eppoi riprese a parlare (lo fece in modo molto diretto ed alquanto esplicito), ‐ insomma, io e Reby ci amiamo; sì, siamo amanti! Sono quasi quattro anni che lo siamo e stiamo insieme: questa è la realtà delle cose, è l'unica ed inequivocabile verità!
(Tutto era accaduto, infatti, durante quella "capatina" a Belle Isle, l'isoletta poco distante da Windermere, dove le ragazze erano state quattro anni addietro, poco prima di partire per il college: lì avevano scoperto di amarsi ed avevano fatto l'amore per la prima volta; da allora erano diventate oramai una cosa sola...come due corpi separati e avvolti in una gigantesca anima!).
‐ Cooosa? Ti rendi conto di quello che hai detto e di ciò che state facendo, voi due? ‐ Esclamarono tutti e quattro (cioé, i genitori di entrambe) in coro, anzi, all'unisono, come se avessero un megafono incorporato e fossero collegati tra loro con un filo elettrico ed una spina attaccata ad una presa di corrente.
‐ Certo che mi rendo conto: stiamo facendo la cosa giusta! ‐ replicò Pam con decisione. (Era determinata, la ragazza, come non mai...per far valere le sue ragioni: molto più di qualche minuto prima!). ‐ Sono perfettamente consapevole e del tutto in me, non mi sono fatta di nulla e non ho bevuto neanche un vermouth né una semplice e schifosissima camomilla, sappiatelo!
Dopo aver ascoltato quelle parole, il padre di Pam si avvicinò alla figlia con piglio ben deciso e poco amichevole, e senza pensarci su neanche un attimo le mollò un ceffone sulla guancia sinistra: l'impronta delle fede nuziale era ben visibile ma lei...la ragazza, però, replicò a quel gesto violento ed inconsulto del genitore con parole altrettanto eloquenti:
‐ Sai, pà, ‐ fece, ‐ (lo aveva chiamato così, questa volta e no papà come quando era nervosa: quindi era abbastanza calma e lucida) ‐ non avresti mai dovuto farlo. La state prendendo davvero molto male, tutti voi, ma lo sapevamo, io e Reby; eravamo certissime che sarebbe successo: tantissime volte abbiamo immaginato, io e lei, che sarebbe andata a finire così.
‐ Ma dai, su, Pam, non scherziamo! ‐ disse la madre di Reby. ‐ Avete soltanto diciassette anni, siete ancora delle ragazzine, in fondo, e... ‐ la stessa Reby, allora, la interruppe con veemenza e fece:
‐ No, mamma, ne abbiamo già diciotto, l'avete dimenticato? (Entrambe, infatti, chissà se per ironia della sorte oppure a causa di semplici coincidenze astrali, avevano festeggiato il compleanno della maggiore età un settimana prima della consegna dei diplomi; entrambe, cioé, nate sotto il segno astrologico del toro, il sette maggio: come se fossero delle gemelle siamesi venute però al mondo da genitori e in famiglie differenti).
‐ E' proprio come dici tu, Reby, hai perfettamente ragione! ‐ esclamò il padre di Pam, questa volta, anticipando tempestivamente i genitori stessi della ragazza. ‐ Ma siete ancora delle ragazzine, cresciute, magari, e mature quanto volete per la vostra giovane età, ma sempre e comunque delle ragazzine, no delle donne fatte e compiute che siano magari in grado, già, di prendere una decisione così tanto delicata, di tale spessore etico e morale...sessuale; e poi, su, avete tutto il tempo...e un marito davanti a voi, sì, un marito e dei figli che vi aspettano per la vita!
Pam, così, del tutto insensibile alle parole del padre (con assoluta nonchalance di stampo puro transalpino), riprese a parlare, e questa volta lo fece con una foga che non aveva mai mostrato in sua vita sino ad allora; ed era anche visibilmente commossa (sui suoi bellissimi occhioni da cerbiatta, azzurri come il mare ed il cielo messi uno sopra l'altro, insieme...sembravano dipinti da un solo pittore ma racchiudevano, in sé, la purezza delle madonne di Caravaggio, la sensualità delle donne di Tiziano o del Veronese e la luminosità d'un ritratto impressionista, vi fecero capolino alcune lacrime). Tuttavia, quei sentimenti contrastanti provati dalla ragazza ma che, al contempo e in un certo modo si completavano tra loro ed annullavano vicendevolmente con estrema rapidità, come una sorta di "turbinio" inspiegabile, fecero sì che essa non perdesse lucidità e... stranamente appariva più decisa di qualche istante prima (era chiaro che in quel frangente cruciale difendeva il futuro con la sua compagna e si batteva per entrambe, difendeva la stessa sua vita, le ragioni del sentimento piuttosto che quelle della logica...del cuore, dinanzi alla razionalità lucida quanto si vuole ma estremamente becera ed un pò retrò degli adulti!):
‐ Vedo, cavolo, che non avete capito proprio un bel nulla, ‐ disse ‐ e...
‐ No, ripensateci, ragazze! ‐ esclamarono nuovamente in coro i quattro adulti, (i "vecchi", come li definivano le ragazze stesse, a volte, parlando tra di loro) interrompendola per un sol attimo. Lei, infatti, riprese a discorrere e sempre con più fermezza, ribadì:
‐ Ci abbiamo già pensato, sapete, quattro anni fa, cinque, non abbiamo null'altro su cui ripensare! ‐ a quel punto la ragazza si fermò ancora, poi riprese concludendo in modo perentorio: ‐ se solo tornassi indietro, capite, e fossi costretta di nuovo a farlo lo rifarei tale e quale cento volte e no una soltanto, senza esitazione; rifarei quello che ho fatto senza pensarci su un attimo ed amerei Rebecca come se fosse la prima volta, più di prima. Quello che c'é tra me e lei era già scritto nelle stelle da prima che nascessimo: non potrete mai capirlo, voi, neanche se vivreste altri duemila anni! (Probabilmente anche l'altra avrebbe risposto a quel modo: per filo e per segno, con le stesse, identiche e sentite parole; quasi come fossero state registrate in anticipo!).
Dopo quanto detto da Pam, ascoltato dalla sua bocca che sembrava essere stata quella di un oracolo boscimane, (o forse svizzero, chissà, per la perentorietà con cui le parole erano state scandite!) tutti si zittirono. Poi la ragazza si avvicinò alla compagna, le prese la mano destra con la sinistra ed entrambe andarono via, senza salutare i genitori. Avevano deciso, (e) lo avevano fatto da molto tempo, forse; probabilmente dal giorno della famosa gita (o "capatina" che dir si voglia) sul lago, a Belle Isle. Entrambe, quella mattina, presero alcune decisioni importanti per il futuro e la loro vita: avrebbero fatto un viaggio insieme (in Grecia); al ritorno in Inghilterra, poi, avrebbero lasciato casa, per sempre, ed i genitori, e sarebbero andate a vivere per proprio conto in una dependance nell'east‐end londinese. La mattina del diciotto giugno, infatti (erano appena le sei e cinquanta), un giovedì piovoso (come non di rado accade nelle lande di Albione anche a primavera inoltrata o ad inizio estate), le due ragazze presero il treno per Londra: da Victoria Station, poi, un'altro ancora per Folkestone. Dalla cittadina del Kent si imbarcarono sull'overcraft per Calais, in Normandia; di lì, poi, alle diciassette e trentasei pomeridiane, presero il T. G. V. (Train Grande Vitesse) che le portò dapprima a Parigi eppoi a Lione. Nel capoluogo del Rodano giunsero ch'eran quasi le ventitré. Era tardi, il traffico dei treni a La Part Dieu (la stazione centrale) interrotto per la notte: decisero, così, di pernottare e presero una stanza doppia all'hotel "de Gerland", sulla place Vendome, poco distante dalla stazione, di fronte all'Hotel de Ville. L'indomani mattina, dopo aver fatto abbondante colazione, a base di pane tostato, bacon, uova strapazzate e brioches al burro, le due salirono sull'eurostar "197TSS" delle ferrovie private francesi "Liberté": destinazione Roma! Nella capitale italiana giunsero nelle prime ore pomeridiane (erano le diciassette in punto: alla faccia della superstizione!). Pam scese dal treno per prima e domandò a Reby:
‐ E' la stazione Termini, chissà a che ora parte il primo treno per la Puglia?
‐ Non preoccuparti, dai, ci penseremo dopodomani! ‐ rispose l'altra.
‐ Come dopodomani?‐ fece ancora Pam. ‐ Non s'era detto che saremmo ripartite subito, appena arrivate quì?
La "rossa" (Reby, infatti, aveva i capelli naturali biondo‐ramati scuri, tendenti al rosso, appunto; mentre Pam, dal suo canto, era invece castana scura sin dalla nascita: entrambe ragazze bellissime!) aveva pensato bene, così, istintivamente (o "a pelle", come spesso era solita dire lei stessa), che avrebbero soggiornato nelle città eterna ("caput mundi", secondo un Caio Giulio che di cognome faceva Cesare) un giorno in più rispetto alla tabella di marcia prefissata; lo aveva fatto soltanto lei, questa volta, senza interpellare la compagna: in passato, infatti, le decisioni importanti (come del resto anche quelle più futili) le avevano sempre prese di concerto ma...Reby disse:
‐ Su, dai, Pam, restiamo un giorno almeno quì, dopo tutto Roma è la città più bella al mondo. Ti scongiuro: ho sempre sognato di vedere le bellezze di questo luogo!
Un sosta forzata ma ben accetta, in fondo: Pam, infatti, annuì piegando il capo in avanti, come un umile servitore, senza dire nulla. Le due presero così una stanza (la numero centoventisette, una doppia: come a Lione), all'albergo "Genova", in via Cavour, poco distante dalla stazione e nei pressi di Santa Maria Maggiore, una delle quattro "grandi basiliche" della città. Vi lasciarono i bagagli e senza neanche cambiarsi d'abito e rifocillarsi ("en passant", come avrebbero scritto, forse, o meglio ancora detto, Baudelaire o Jacques Prevert), come se fossero state punte da una tarantola di mare o prese, chissà, da una arcana voglia di scoperta della bellezza commista a una sorta di istintiva frenesia artistica (simile alla frenesia "alimentare" che sovviene, a stomaco vuoto, ad amorevoli quanto simpatiche creature quali coccodrilli, piranha e diavoli di Tasmania), cominciarono, senza un attimo di sosta né respiro, a girare per la città in lungo e in largo: un dopo l'altro si gustarono, così, (poi divorandoli, ancor prima che col pensiero o la ragione, cogli occhi e con la bocca...come se fossero delle inermi prede) Colosseo e Fori Imperiali, piazza del Popolo e Pantheon, Circo Massimo, Castel sant'Angelo, piazza del Vaticano e San Pietro...eppoi a piazza Navona, e su a Trinità dei Monti; con ritmo incessante fino a tardissima sera quando, letteralmente distrutte (solamente nel fisico, però!) e col sole oramai latitante da un bel pezzo, rientrarono in albergo dove si tuffarono sul letto a riposare, una volta ancora senza fare doccia né cenare. L'indomani mattina, prestissimo (eran poco più che le sei: i galletti italici, a quell'ora, sono ancora immersi nel sonno mentre i gentlemen d'oltremanica hanno già aperto gli occhi e forse il becco, chissà, da ben prima...pur non essendo galletti!) ingurgitarono colazione al sacco e poi si recarono in stazione, dove trascorsero le successive ore nell'ampia sala d'attesa, già gremitissima di turisti e pullulante di voci del mondo, nonostante l'ora: le due ragazze, tuttavia, riuscirono stranamente ad estraniarsi da tutto e in tutto quel chiassoso, colorito trambusto che li ronzava attorno, quasi a volersene prendere gioco, caddero in una sorta di dolce e silenziosa trance dove...a farne le spese, ahilui!, fu l'enorme orologio posto sulla parte di parete della sala di bianco interamente colorata (il resto era dipinto di giallo e di rosso a strisce verticali): Pam e Reby, contemporaneamente, lo fissarono in maniera talmente intensa che quello, infatti, sembrava dovesse prendere fuoco da un attimo ad un altro e forse...quasi a volerlo ammalliare (alla stessa stregua di taluni incantatori di serpenti indiani o tamil), a volerne fermare il ticchettio delle lancette per stringerlo, alla fine, tra le loro braccia come fosse un adone. Ma il tempo trascorse e...la rossa fu la prima a risvegliarsi, a "ritornare" da quello strano vagabondare, dal lungo loro vagare dolcemente. Dop'aver consultato la guida presa dalla sua valiga, in maniera abbastanza repentina ma pur minuziosa (era la più metodica, Reby, ed anche quella più precisa tra le due), disse alla compagna:
‐ Il primo utile per Bari (era l'intercity che le avrebbe portate in Puglia) è alle undici, sul binario tredici. Andiamo, dai, siamo in ritardo!
‐ Va bene! ‐ fece allora Pam. ‐ Prendiamo pure quello: mi fido di te, sei tu il capostazione, tu sei la mia dolce metà, lo sai benissimo!