Quell'estate a Lesbo (il trionfo dell'amore profano) - seconda parte
Le due si spostarono velocemente (erano al binario tre, infatti, all'altro capo della stazione): avevano i minuti contati prima che il treno, già fermo da un quarto d'ora sul binario, partisse. Così, senza neanche ascoltare gli annunci, al volo si imbarcarono (o meglio "intrenarono"), alle undici e zero zero (il treno partì puntualmente, ed era cosa insolita se no rara per quelli italiani... ‐ "alla maniera svizzera!": avrebbe probabilmente affermato Toshiro Mifune, il più famoso ed il più bravo attore giapponese contemporaneo, se fosse stato ancora vivo e si fosse, casomai, trovato insieme alle due ragazze in quel momento): destinazione Bari, sud dell'Italia (in Puglia, appunto). Da lì, avrebbero poi raggiunto Brindisi per imbarcarsi (e no intrenarsi, questa volta!), successivamente, (la partenza prevista per la domenica a seguire) sul traghetto per la Grecia. Infatti, Pam e Reby, per celebrare e consacrare la amorosa passione che da tempo le legava, oramai, avevano deciso di andare ad amarsi ancora una volta (e poi "sposarsi": ovvero rendere materialmente indissolubile la loro incestuosa unione) nel posto più consono ad esse ed al contempo il più profano esistente sulla faccia della terra; cioé, proprio quello in cui l'amore omosessuale femminile era stato consacrato a livelli altissimi di arte e bellezza: (a) Lesbo, l'isola greca nel mare Egeo di fronte alla costa anatolica, la maggiore delle isole egee (quattro volte più grande di Lèmno, quaranta di Agiostrati!); quella in cui nacque, visse e regnò artisticamente la poetessa dell'amore (e degli effetti amorosi, e della gentile ed amorosa tenerezza), chiamata Saffo, che vi creò una scuola per le figlie dell'aristocrazia...e lì ardentemente amò amiche e scolare: il suo amore, tuttavia, mai trascese nel peccaminoso e nell'illecito o nella volgarità, ma restò sempre permeato da un'alone di eleganza, delicatezza, soavità e candore. Sul treno Pam tirò fuori dal suo tascapane un librino (non più di venticinque, trenta pagine: erano i "Frammenti" di Saffo, appunto) e cominciò a leggere ad alta voce:
Belli ti guidavano
e veloci i passeri sulla terra nera
con rapido palpito d'ali dal cielo
per l'aria.
Sono alcuni passi dell'inno ad Afrodite scritto da Saffo per invocare, tramite la dea (appunto) il ritorno a lei d'una fanciulla che l'aveva abbandonata. Lasciano trasparire tanto delicatezza, quanto mitezza di sentimenti.
‐ Dei versi bellissimi, mio dolcissimo amore! ‐ disse Reby. Poi mise il braccio destro intorno al collo della compagna, lasciò cadere il capo sulle sue spalle e si addormentò. Pam, allora, accarezzò con la mano sinistra i capelli dell'altra e riprese a declamare:
Presto giunsero e tu, o beata,
sorridendo nel viso immortale
chiedevi: perché ancora soffrire,
perché ancora invocarla,
che cosa per me sperare che accadesse
alla mia folle anima, chi ancora
persuadere a stare al tuo amore?
Infine si fermò e disse tra sé e sé: ‐ Riposa pure, amor mio! ‐ poi, poggiò la testa ed il mento sullo schienale del sedile e chiuse anch'essa gli occhi (senza, però, prender sonno). In prossimità di Brindisi (era il paese di Mesagne, una quindicina di chilometri distante dal capoluogo pugliese) Reby si risvegliò e Pam fece:
‐ Ben tornata, bellissima; hai dormito per un po', sai? Hai fatto proprio una bella tirata. Sei stata quasi puntuale, come una sveglia: ci siamo quasi, oramai...Reby, allora, la interruppe (come spesso accadeva le aveva letto nel pensiero), ed esclamò con gioia: ‐ Eppoi la Grecia, che ci aspetta a braccia aperte e noi a braccia aperte l'abbracceremo, vero?
‐ Certo, Reby, ‐ rispose Pam, ‐ lo faremo: puoi starne certa e non solo la Grecia abbracceremo!
Non appena ebbe pronunciate quelle parole, Pam poggiò la mano destra sul viso di Reby, e dopo averlo accarezzato con estrema dolcezza avvicinò la sua bocca a quella della compagna e la baciò. Intanto, la voce dell'altoparlante sul treno preannunciava: "Siamo in arrivo alla stazione di Brindisi, il treno è in arrivo alla stazione di Brindisi, fine..." Pam sovrappose la sua voce a quella ‐ Dolce mio amore, ti desidero come non mai!
Le due si ricomposero, il treno nel frattempo entrò in stazione a Brindisi. Pam scese per prima, come a Roma (era abbastanza superstiziosa, sin da piccolina), ed entrambe, poi, mano nella mano (come al solito), si avviarono all'uscita. Il tempo era bello (suonavano già le diciotto eppure il sole brillava ancora in cielo come al mattino presto). Pam chiese ad un passante:
‐ Scusi, per il porto?
‐ Sempre diritto avanti a lei, signorina: dieci minuti di strada e siete arrivate.
‐ Grazie, ‐ rispose.
Le ragazze imboccarono dapprima corso Umberto I°, la grossa arteria che taglia in due il centro cittadino eppoi, all'incrocio con piazza del Popolo, si incamminarono su corso Garibaldi. Appena cinque minuti dopo furono alla stazione marittima, di fianco al Seno di Levante (la parte interna e chiusa del porto); la partenza per la Grecia era prevista per il pomeriggio del giorno dopo, la coda alla dogana, tuttavia, sembrava lunga come l'infinito. Pam fece a Reby:
‐ Sai, penso che faremo notte, piantate quì!
‐ Non preoccuparti! ‐ ribatté Reby. ‐ In fondo neanche le attese sono fatte per non consumarsi...nulla dura in eterno; eppoi ci aspetta lui, ci aspettano loro: a braccia aperte, vedrai!
Evidentemente, si riferiva al mare greco che nei giorni successivi avrebbero dapprima solcato e veduto, poi anche annusato, ed anche all'isola di Lesbo che avrebbero finalmente toccato con mano, non solo col pensiero, lei e la compagna. In effetti aveva ben ragione Reby; il tempo di attesa per espletare le formalità dell'imbarco, alla dogana, fu meno lungo del previsto: poco più di un'oretta e mezza e le due erano belle e libere.
Decisero di pernottare all'aperto, sotto il cielo dell'antica Brundisium (i romani la collegarono direttamente a Roma con le vie Appia e Traiana, punto di arrivo e di partenza dei traffici con l'Oriente: era quì, appunto, che si brindava pria di lasciare le sponde italiche). Piazza Vittorio Emanuele, quella tutta infiorata di fronte alla Capitaneria di Porto e dove, solitamente, i turisti trascorrono le ore precedenti gli imbarchi, era già "sold‐out": pullulava, cioé, di sacchi a pelo e bivacchi vari.
‐ Santo cielo! ‐ esclamò Reby. ‐ Sembra di essere su un campo di battaglia con tanti morti e feriti sopra!
Pam, allora, la afferrò per un braccio e le disse:
‐ Dai, andiamo, non è mica la fine del mondo! Li c'é una panchina libera, vedi? Ci piazzeremo vicino a quella. Una panchina sulla piazza, infatti, era rimasta (sorprendentemente) proprio sola, soletta...libera ed illesa; miracolosamente scampata all'onda vacanziera della stagione quasi estiva: di certo poco anomala da queste parti. Le due, così, vi si avvicinarono e cominciarono, in tutta calma (ossessiva, quasi certosina e flemmaticamente inglese!), e dopo avervi pure poggiato sopra il resto dei bagagli, a srotolare i sacchi a pelo dentro cui si sarebbero infilate di lì a poco. Erano intanto giunte le ventidue, prima di mettersi a "letto"...per dormire, fecero abbondante cena a base di scatolame freddo (carne, legumi e mais) e birra calda (era talmente calda ed abominevole che una tazza di buon brodo, chissà, soltanto tiepido, sarebbe risultato di certo più consono ed intonato allo scatolame!).
‐ E' una cena coi fiocchi! ‐ sarcasticamente esclamò Pam. ‐ Una vera e propria cena "nature"!
‐ Sì, lo é! ‐ fece l'altra di rimando. ‐ Vedrai che non la dimenticheremo tanto facilmente né tanto presto!
La cena non fu certo il massimo e non sarebbe stata indimenticabile ma il tramonto sopra le loro teste...quello, sì, le ripagò abbondantemente delle disavventure culinarie capitategli.
‐ Guarda, Pam, quella luna, ‐ disse la "rossa" (alla nera) ‐ e quel cielo stellato, così abbaglianti entrambi...non ho mai visto niente di simile e di così bello, da noi a Windermere: neanche in piena estate o nella notte di San Lorenzo, o in quella dell'ultimo dell'anno!
La compagna allora annuì, con un breve cenno del capo in avanti, e poi esclamò:
‐ Verissimo, neanche io! (risposta ineccepibile ma del tutto scontata, visto che le due abitavano una di faccia all'altra!). Si presero, poi, per mano (la cena era un brutto ricordo, ormai!) e si sedettero per terra: ad osservare all'unisono, ed in silenzio, il cielo sopra le loro teste. Dopo qualche minuto si infilarono nei sacchi a pelo e si addormentarono. Alle sette e dieci Pam aprì gli occhi e svegliò Reby. La piazza era già in fermento: di lì a poco, infatti, avrebbe attraccato al molo grande il traghetto "Filiki Etereia" della compagnia greco‐cipriota Paximidis‐Zouvanas, la più importante di tutte nel Mediterraneo, con sedi centrali a Corfù e Nicosia (la sua flotta, di proprietà dell'armatore Kristos Karamanlis, conta ben dodici "caravelle" come il Filiki: mostri lunghi centottanta metri, alti circa sessanta ‐ come sei piani di uno stabile ‐ e pesanti centodieci tonnellate e passa!).
‐ Sono tutti in ansia! ‐ disse Reby.
‐ Lo siamo anche noi, ‐ replicò Pam; ‐ lo siamo più degli altri!
Alle sette e tredici il suddetto, la...suddetta (mostro o caravella che dir si voglia) apparve all'improvviso, nel porto interno, costeggiando viale Regina Margherita; ‐"sembra emerso dalle profondità del mare!" ‐ dissero, allora, ad alta voce, alcuni turisti americani (uno di loro, il più anziano, a occhio e croce, portava sul capo uno stranissimo pastrano da bersagliere con piume bianche sopra): in realtà era entrato nel Seno di Ponente dal canale Cillarese, il quale si trova alla estrema punta occidentale del porto brindisino. Poi si fermò quasi davanti a Pam e Reby; sulla banchina ormeggiò l'ancora in un battibaleno, piazzando la chiglia di prua proprio di fronte alle colonne romane (si ritiene che queste segnassero il termine della via Appia stessa), in prossimità della Capitaneria. Una coppia di russi di mezza età (lui aveva un tatuaggio strano sull'avambraccio destro, la stella di Davide e un'aquila reale dipinta d'azzurro e bianco, lei, invece, portava in testa un basco nero con la croce anarchica rossa dipintavi sopra), si avvicinò a Pam, ch'era rimasta sola (Reby si era allontanata per un attimo), e brindò a vodka e gin; l'uomo, ch'era particolarmente su di giri, dopo di che, ad alta voce esclamò: ‐ Spassiva! Spassiva! Spassiva!
La ragazza non conosceva il russo ma ugualmente capì ciocché l'uomo aveva gridato: "Grazie! Grazie! Grazie!". Poco dopo Reby raggiunse la compagna e la strinse con vigore tra le sue braccia. Alle dodici in punto (il sole sembrava dovesse spaccare le pietre e...sciogliere i visi dei poveri turisti in attesa!) il portellone centrale del traghetto si abbassò: dapprima cominciarono ad entrare i passeggeri fermi sulla banchina, poi fu la volta dei mezzi meccanici (macchine, camper, tir e quant'altro). Alle quindici "spaccate" prese le mosse (anzi, il mare, come son soliti dire tanto i marinai di lungo corso, quanto quelli di lungo sorso!) con tutto il suo prezioso carico ed armamentario a bordo: tremila passeggeri e cinquecento mezzi meccanici (più due centinaia di "ospiti" extra tra cani, gatti e...qualche pappagallo!). Dieci minuti più tardi, alla velocità di crociera di 11,5 nodi, il mostro (o caravella che dir si voglia) fu già al largo, a Punta Contessa, in aperto mare Adriatico. Reby e Pam erano sul pontile posteriore. La prima fissò l'altra negli occhi eppoi le prese la mano sinistra stringendola. Entrambe restarono per alcuni minuti in silenzio, a fissare il mare che scorreva davanti ad esse. Poi, Pam, all'improvviso disse:
‐ Finalmente, ci siamo, mia tenera amante!
Il viaggio sul Filiki sarebbe durato quasi due giorni (poco più di quarantadue ore) con due fermate: la prima a Patrasso, sulla costa del Peloponneso; l'altra nel porto del Pireo, ad Atene. A quel punto le ragazze tornarono in cabina, la 777; ordinarono le loro cose e comodamente si sdraiarono sulle rispettive lettighe a riposare. Intorno alle venti e trenta cenarono e alle ventidue in punto, dopo cena, Pam salì sul pontile (Reby, invece, preferì restare in cabina); l'aria era abbastanza frizzante, così decise di tornare in cabina a prendere un gilet e lo indossò mentre si godeva, per qualche minuto, il rumore lieve delle onde e dei flutti sottostanti e il dolce refolo che le accarezzava il viso. Il traghetto, intanto, proseguiva spedito (all'incirca 13 nodi all'ora); da un pezzo, ormai, aveva lasciato il canale d'Otranto e le acque territoriali italiane, passato poi l'isoletta di Fano, nello Ionio, e la cittadina di Saranda (conosciuta anche col nome di Santi Quaranta), lungo la costa meridionale albanese: di lì a poco sarebbe entrato nel canale di Corfù (Kérkyra, possedimento veneziano nel XV°secolo), capoluogo, a sua volta, del nomo omonimo, porto sulla sponda orientale della omonima isola delle Ionie (l'antica Corcira, colonia dei Corinzi nell'VIII°secolo a.C., annessa dai Romani alla provincia di Macedonia). Alle ventidue e trenta le prime luci del porto erano già ben visibili agli occhi dei turisti affacciati sulle balaustre di poppa e di prua: erano molto più che un consueto skyline notturno d'estate...vene che pulsano, sembravano, e riflettori colorati riverberanti sulla chiglia della nave. Tutti erano oltremisura affascinati da siffatto meraviglioso spettacolo e grida estasiate si levavano un po' ovunque. Il quadro di un pittore greco del trecento, anonimo, ben conservato al museo Benaki di Atene, è intitolato (non casualmente) "Luci della baia": a testimoniare la bellezza e la spettacolarità delle luci del porto di notte: nello stesso museo, inoltre, (chissà se casualmente o meno?!) è una icona bizantina del XVI°secolo, anch'essa di autore sconosciuto: raffigurante, invece, una vela colorata di bianco e di azzurro issata sulla fortezza veneziana che sovrasta le colline della città di Corfù. Pam corse in cabina a chiamare la compagna. Non appena le due furono sul pontile di prua, Reby, esclamò: Beh, questo è uno dei migliori spettacoli notturni ch'io abbia mai visto in vita mia!
Cinque minuti più tardi era tutto finito; il Filiki era già oltre Corfù e proseguì, per un'oretta abbondante ancora, lungo la frastagliata costa che si snoda nel canale ad andatura notevolmente ridotta (non più di 7‐7,5 nodi), a causa della conformazione naturale della zona, appunto, e dei fondali molto più bassi delle acque solcate: tuttavia, intorno alla mezzanotte aveva già passato lo stretto. Pam e Reby, intanto, dopo essere tornate in cabina, dormivano a "spron battuto" (sembravano due gattine innamorate, ognuna distesa teneramente sulla propria cuccetta!); da par suo, invece, il traghetto
ingurgitò, una dopo l'altra (come fosse un rompighiacci polare), le isole di Passo e di Léucade, nello Ionio (quella che fu feudo di casate italiane ed era nota col nome di Santa Maura): quando esso fu, però, in prossimità di Itaca, la leggendaria isola dell'eroe mitologico Ulisse, di colpo si udì un tonfo terribile (sembrava come se il Filiki dovesse colare a picco da un momento all'altro...una infausta riedizione del Titanic: nel Mediterraneo!) e...puff! Di colpo la nave si fermò: molti passeggeri furono svegliati di soprassalto e si riversarono sui pontili. Stranamente, però, tanto Pamela, quanto Rebecca continuarono a dormire (cioè, il rumore non aveva minimamente intaccato le loro corde uditive, pardon il loro sonno: non le aveva affatto svegliate!). La sosta, fortunatamente, durò solamente una ventina di minuti, visto che si trattava d'un guasto e di un inconveniente di poco conto: giusto il tempo di sostituire, infatti, alcuni fusibili ch'erano saltati nella sala macchine provocando un piccolo corto circuito e il conseguente arresto del Filiki. La navigazione, così, riprese tranquilla ma...ad un certo punto Pam si risvegliò anch'essa di soprassalto (certamente non a causa di un guasto meccanico!): fu così scaraventata, con un movimento quasi felino, giù dalla lettiga e in un battibaleno si ritrovò col suo bel cu...sedere per terra. Il tonfo precedente, quello dell Filiki, non l'aveva svegliata ma ora era accaduto, invece, qualcosa di assolutamente straordinario: forse, chissà, un vero e proprio richiamo del mistero, dell'imponderabile o, meglio ancora, dell'imponderabilità misteriosa che racchiude la natura! La ragazza si sollevò da terra e in tutta fretta si rivestì (Reby, invece, dal suo canto continuava imperterrita a dormire!), dopo salì sul pontile di prua. Erano le tre di notte, quasi, nell'aria non v'era neanche un misero refolo di vento né si sentiva volare una emerita mosca. Pam si guardò intorno ma al primo acchito non scorse nulla. Il Filiki, intanto, dop'aver lasciato le Ionie (l'isola di Zante, antica Zacinto, quella natia del poeta Ugo Foscolo, a cui lo stesso dedicò un sonetto, si intravvedeva ancora, in lontananza, quarantacinque gradi a sud‐ovest rispetto al traghetto), si apprestava a virare verso est per immettersi nel golfo di Patrasso e circumnavigarlo. Non appena fu giunto dirimpetto a Kato Achaia ed aver puntato di proda, a nord‐ovest, Missolungi (la greca Mesologgion che Pam e Reby conoscevano benissimo: colà vi è seppellito, infatti, il poeta e romanziere romantico‐libertario George Gordon, lord Byron, di stirpe inglese e nobile discendenza), Pam volse lo sguardo suo al cielo vedendovi un enorme bianchissimo albatro che si stagliava innanzi a lei e stava volando veloce sopra la sua testa; la ragazza, d'altronde, non avea mai veduto un così grande uccello: la sua apertura alare, infatti, rasentava quasi i quattro metri. Non era un sogno, ma immaginifica seppur misteriosa realtà. Pam, così, sbiancò in volto: le sue guance presero lo stesso colore dell'uccello; poi si riebbe ed esclamò: ‐ Uaoooh!
Anticamente, l'albatro era ritenuto un animale sacro dai naviganti di ogni mare e di tutti gli oceani del globo, una sorta di metronomo volante, tanto per chiarire: la sua apparizione, infatti, preannunciava tempesta e li metteva, pertanto, sul "chi vive". Lo stesso poeta romantico inglese Samuel Taylor Coleridge, che Pam e Reby conoscevano benissimo, del resto, ne parlò (un secolo e mezzo prima...decade più, decade meno) in un suo noto romanzetto dal titolo "La ballata dell'antico marinaio".
In quel caso l'autore porta alle estreme conseguenze "l'apparizione" stessa: l'uccello verrà ucciso dal membro dell'equipaggio d'un vascello (il vecchio marinaio, appunto)...e simboleggia, quel gesto, un solo unico ed insano atto che distrugge l'unità preesistente al mondo; il millenario ed ancestrale equilibrio creato dalla natura stessa piuttosto che dall'ordine naturale delle cose. Ma quella notte, però (e fortunatamente!) non andò così; la realtà è ben diversa sul Filiki (o meglio, sopra la testa di Pam)...
Infatti, dopo qualche minuto trascorso in uno stato di quasi incoscienza, la ragazza tornò in cabina: non seppe spiegarsi quella strana seppur meravigliosa apparizione, la quale l'avea quasi stregata, addirittura ammaliata, né il precipuo motivo per cui si fosse svegliata all'improvviso dal suo sonno, nel bel mezzo della notte. Si sdraiò, tuttavia, sulla lettiga e si rimise a dormire: lo fece digiuna di risposte ma di buona lena. Alle cinque e trentacinque in punto, finalmente il Filiki toccò terra ammarrando nel porto di Patrasso (capoluogo del nomo di Acaia, nel Peloponneso settentrionale, essa fu colonia romana col nome di Colonia Augusta Aroe Patrensis). Il sole, nonostante l'ora, era alto già all'orizzonte e i raggi suoi, invece, bruciavano il viso come fossero un ferro da stiro (la temperatura, infatti, rasentava abbondantemente i trenta gradi!). La sosta sarebbe durata quasi quattro ore. Pam e Reby salirono sul pontile. Intanto, alcuni mezzi, soprattutto grossi tir carichi d'ogni cosa e diretti verso l'interno, sbarcarono sulla banchina del molo nuovo; identica cosa stavano facendo moltissimi passeggeri a piedi: il richiamo del porto e delle bellezze della città, evidentemente, era per tutti quanti fortissimo! Reby disse all'altra:
‐ Finalmente un po' di riposo, ne avevo proprio un gran bisogno, sai?
‐ Ehi, cucciola, ‐ replicò, allora Pam; ‐ cosa dici mai? Parli di riposo: proprio tu che hai dormito di filato tutta notte. Ah! Ah! Ah!
‐ Sì, hai ragione, come sempre, amore mio, ma mi sento davvero un po' strana, sai?
‐ Certo, ti capisco, ‐ rispose allora l'altra, ‐ sarà forse, chissà, colpa del fuso orario o del jet lag...(era una battuta ironica, ovviamente!). A quel punto Reby si avvicinò a Pam e la baciò, senza preavviso, sulla bocca. Poi le disse, ad alta voce:
‐ Sbrigati, dai, lumaca: è ora di andare! (In effetti, le due avevano in programma di fare un bel giro in città ma...doveva attendere anche quello).
‐ Ancora un attimo, ti prego! ‐ fece Pam. ‐ Ho da scrivere alcune cose.
La ragazza, così, estrasse il suo taccuino dal tascapane color marroncino che portava sempre a tracolla (non si separava mai da quello: lo teneva con sé anche quando dormiva, a volte!) e scrisse un pensiero su Patrasso: "Questa mattina, alle ore cinque e trentasei, abbiamo attraccato nel porto di Patrasso. Il traghetto è fermo sulla banchina. La vista, ai miei occhi, è singolarmente limpida e le montagne distanti (la città, infatti, si trova ai piedi del gruppo montuoso del Panacaico) si proiettano su uno strambo ed enorme cumulo di nembi colorato d'azzurro scuro: essi sembrano, addirittura, il loro specchio interiore...".
‐ Ancora? ‐ chiese a quel punto Reby. ‐ Quanto ci metti? Su, dai, andiamo. Ma cosa hai scritto? Non penso proprio sia un trattato di parapsicologia o di metempsicosi...ma dev'essere tanto lungo ugualmente visto il tempo che ci hai messo a scriverlo!
‐ No, certo! ‐ fece Pam. ‐ Sai, cara, mi sembri davvero molto arguta in questo periodo: non sarà tutta colpa degli ormoni in subbuglio? Oppure, chissà, delle fasi lunari di traverso? Ma dopo te lo dirò, forse, se vuoi... ‐ si fermò un attimo eppoi riprese a parlare:
‐ anzi, credo proprio che non lo farò affatto! E' il mio diario, in fondo, questo, bellissima: non lo leggerai mai; non te lo farò mai leggere neanche dovessimo vivere mille anni, io e te. Neanche tu puoi farlo, a questo mondo e in questa vita!
‐ D'accordo, Pam, andiamo allora: non abbiamo molto tempo!
Reby, così, si avvicinò alla compagna e li mollò un'altro bacio: questa volta sulla guancia sinistra. Pam, in tutta risposta, sorrise senza dir nulla. Le due, poi, mano nella mano (proprio come due fidanzatine provette!) si avviarono finalmente all'uscita: le aspettava il sostanzioso giro turistico ed un...incontro alquanto inatteso. Le bancarelle sulle banchine del molo vecchio "Kariskaki", quello opposto all'altro, vicino al faro, intanto già pullulavano di clienti, indaffarati a comprare oggetti e souvenir d'ogni sorta, mentre le grida degli ambulanti simpaticamente si sovrapponevano a quelle dei pescatori. Pam allora pensò, fra sé e sé:
‐ Caspita, la vita ricomincia presto da queste parti!
Dopo di che si avvicinò ad una bancarella ed acquistò alcune cartoline illustrate di Patrasso. ‐ Ho da scrivere un po', ‐ disse rivolgendosi alla compagna.
Reby, così, ridacchiando fece:
‐ Ah! Ah! Ma non mi dire; come se fosse una cosa strana, questa. Sei tu, in fondo, l'intellettuale tra noi due, io so a malapena leggere!
Pam, in realtà, scrisse ad alcune ex compagne del college: dop'averlo fatto e dopo averle affrancate, imbucò le cartoline nella buca di fianco al "Central Bar", sulla piazza Anteras. E poi...si avvicinò a Reby, la guardò dritta negli occhi, per un sol attimo, e le disse: ‐ Ho finito! Infilò, poi, il suo braccio sinistro in quello destro dell'altra ed insieme si avviarono. Salirono su per la scalinata Aghiou Nikolau, famosissima strada pedonale che si inerpica, coi suoi centonavantadue gradini, sino alla città vecchia, dove comprarono un mazzo di rose bianche da un bambino cipriota, (circa nove o dieci anni), che le vendeva ai turisti per due dracme l'uno: fu una passeggiata romantica, quella, con le due mano nella mano, svoltasi su strade lastricate di pavé azzurro e bianco (i colori della bandiera di Grecia), costeggiando alcuni grandi e colorati palazzi neoclassici, simbolo del glorioso passato della città, sino a quando...