Quell'estate a Lesbo (il trionfo dell'amore profano) - quarta parte

Pam, dal suo canto, voleva arrivare a qualcos'altro: invero, tutti i riferimenti nonché le implicazioni artistico‐letterarie l'avevano intrigata sempre parecchio, sin da piccola, stimolandone la sua fantasia e la sua curiosità, già allora molto fervide. Il nuovo amico (lo era, già, Julien, tanto per l'una, quanto per l'altra: la scintilla era scattata all'unisono, in entrambe; a causa del savoir‐faire del ragazzo ed anche per qualcosa di...innaturale ed inspiegabile!) ne aveva uno di non poco conto, di quelli che le si addicevano come non mai: i suoi, infatti, erano un nome e cognome alquanto altisonanti.
‐ Sai, Julien, ‐ fece Pam, ‐ il tuo nome è veramente molto strano (prese il tutto alla lontana...eppoi sarebbe arrivata al punto).
‐ Trovi? ‐ rispose quello. ‐ Perché mai? A me non sembra: è un nome abbastanza comune in Francia, credimi. 
‐ Sì, sì, certo. Ti credo, sai? ‐ ribatté subito la ragazza. ‐ Ma, vedi, insieme al tuo cognome è proprio strano... davvero, ascolta, Julien, i tuoi sono lo stesso nome e cognome di un certo Julien Sorel; era, esso, il protagonista di un romanzo di Stendhal (è lo pesudonimo di Henri Beyle: un nome ed un cognome che alla gran parte della gente non dicono un fico secco!): Il Rosso e il Nero, credo che fosse ma, mmm... ‐ Pam titubò un attimino (anzi, fece la parte dell'imbranata, per tastare la cultura letteraria del francese e poi perché aveva il gusto per l'ironia impresso nel suo acido desossiribonucleico ‐ più comunemente noto come dna ‐: forse, chissà, lo aveva preso dalla madre, per "imprinting", appunto, come avviene nel mondo animale!).

 Ma Julien non era Julien (anzi, come il Julien) Sorel del romanzo notissimo di Stendhal: molti connotati caratteriali, infatti, erano ben distanti da quello che era lui;i riferimenti, quindi, potevano definirsi poco più che di natura...ortografica?! Di certo no. Vi erano anche delle importanti convergenze..."caratteriali" tra i due. Così è scritto nella introduzione al romanzo proposta da una nota casa editrice inglese, in una vecchia edizione degli anni sessanta, a proposito di Julien Sorel: "I connotati spirituali di Julien Sorel corrispondono abbastanza strettamente alla definizione che l'Enciclopedia (Saint‐Lambert e Diderot nel caso specifico) aveva dato del Genio. Egli ha una mente vasta ed attenta, un'immaginazione vigorosa, una memoria straordinaria, un'attività interiore incessante: a ciò si aggiungono alcune caratteristiche "post‐rivoluzionarie", che al Genio degli Enciclopedisti ‐ ipostasi dell'artista e non dell'uomo di azione ‐ erano completamente estranee: un orgoglio selvaggio, un rifiuto accanito della condizione servile, e, differanza capitale, una tensione spasmodica di tutte le facoltà verso l'azione, l'affermazione pratica, il "successo" nel senso più concreto e meno letterario del termine. Julien è perciò un genio in attesa di un'occasione che mobiliti le sue energie, lo tragga fuori dalla sua indeterminatezza e gli consenta di realizzarsi interamente. Attesa fatalmente vana: in ciò sta la sua condanna. Non esistono nel suo tempo imprese che richiedano l'apporto che egli potrebbe dare. Egli è una forza che nulla rende "necessaria": dal punto di vista della società, dunque, egli è un pericolo, ed è tanto più esposto ad essere combattuto quanto più tende ad affermarsi libero ed a distinguersi dalla folla anonima dei "collaboratori". Soggettivamente, egli è un essere disorientato e scisso; condannato a fare uso delle proprie facoltà soltanto in modo disordinato e casuale, a compiere prodigi di autodisciplina per superare ostacoli meschini o infrangere i più gretti divieti, per resistere, da solo, alle grevi mistificazioni che ciascuno degli ambienti con cui viene a contatto genera e conserva con zelo, per comprendere ciò che nessuno gli insegna. E il suo modo di procedere è fatalmente incerto e tortuoso, i suoi sforzi si irretiscono in un groviglio di scopi casuali, illusori e contraddittori. Della sua memoria prodigiosa non potrà fare altro uso che imprimervi prima lunghi passi di scrittori latini e versetti biblici, per la meraviglia dei commensali del sindaco di Verrières, o per la delizia d'una sera dell'arguto vescovo di Besancon, poi quattro pagine da recitare ad uno scettico uomo di stato straniero, quattro pagine in cui si condensano le deliranti eleucubrazioni politiche di un gruppo di aristocratici ossessionati dal terrore d'un nuovo sussulto rivoluzionario. Della sua volontà d'acciaio egli sarà ridotto a fare soprattutto un uso ascetico, rivolto contro se stesso, contro i suoi smarrimenti e la sua timidezza, ora per resistere all'angoscia e alla solitudine nel seminario, ora per imporsi, come una prova, di sedurre la signora Renal e Matilde de la Mole, donne in cui vede dapprima soltanto il simbolo di un mondo che non gli appartiene, e un'occasione per riscattare le proprie umiliazioni; per costringersi ad andare ad un appuntamento amoroso in cui gli par di vedere un agguato mortale, come poi per pronunciare da sé la propria sentenza, e non avvilirsi davanti ai giudici che lo condanneranno a morte. La sua intelligenza gli servirà per meritare incarichi di fiducia casuali, discontinui e senza alcuna importanza reale, e soprattutto per  comprendere ciò che non può trasformare e vedere lucidamente le forze che lo schiacciano. Julien pensa, ama, odia, agisce "a corpo perduto", lanciandosi con una inesauribile violenza verso obiettivi confusi. Egli è solo, anche se non ripiegato su se stesso: il suo è un eroismo negativo, sterile; quasi irriconoscibile nei suoi atti...". Julien Sorel del romanzo è questo, a grandi tratti. Il Julien Sorel incontrato sul Filiki da Pam e Rebecca differisce ed è al contempo simile al Sorel "letterario": innanzi tutto non è un personaggio inventato ma è un individuo in carne ed ossa; poi è senz'altro un genio ed un affabulatore di grande fascino; non è timido pur essendo gentile e discreto...infine, la sua intelligenza la userà per far colpo sulle due ragazze...

  ‐ Credo di sì, ‐ disse, da par suo, Julien, ‐ anzi, è proprio così, hai ragione! Ma io non ci ho fatto mai caso, non sono appassionato di lettere e poesia (era vero, ma lo era altrettanto che fosse anche molto erudito!): a me piace viaggiare, piace soltanto andare...in cerca, te l'ho detto. Comunque, adesso che ci penso, sai Pam, è vero: mio padre ama leggere Stendhal, sarà per questo che mi ha battezzato con quel nome. Forse, però... ‐ si fermò per un attimo e poi riprese a parlare, anzi, a discorrere.
‐ Quando ero al liceo, a Orlèans, la cittadina dove vivono i miei nonni paterni (capoluogo del dipartimento del Loiret e della regione del Centro, è posta sulle rive della Loira alla confluenza del canale di Orlèans: centro fortezza dei Galli (Cenabum), fu distrutto da Cesare nel 52 a. C. e ricostruito da Aureliano; si trova a poco più d'un centinaio di chilometri dalla capitale, è famosa per la produzione di aceto, vini e soprattutto...spumante "champenois"), lessi qualcosa al proposito in un vecchio libro, i cui non ricordo il nome ma credo che fosse sugli usi, le tradizioni popolari ed il folklore in Francia: dalla metà del XVI° secolo, mi pare fosse precipuamente il 1536 o 1537, ogni francese ha un nome e cognome ben definito; quell'anno, infatti, fu resa obbligatoria la registrazione delle nascite in appositi registri parrocchiali. Capita, così, che molti cognomi derivino da nomi topogràfici o di artisti e letterati in genere (Montaigne, La Fontaine o Sorel, appunto), da nomi di piante, fiori o alberi (Pommier, Dubois), di mestieri (Meunier, Favre, Leclerc), di paesi o regioni (Picard, Lebreton, Aragon) o da soprannomi(Lesage, Leblond). Inoltre, sai, (Julien, in quel frangente, sembrava una vecchia ciminiera che quando comincia a sbuffare non si ferma più: neanche se la colpisci con palle di cannone!), vi sono anche nomi che derivano da altri idiomi: Le Hir e Le Floch, ad esempio, sono nomi bretoni, mentre Bernard e Walter sono nomi di derivazione germanica (tipici delle regioni alsaziane e della Lorena, al confine nord‐orientale con la Germania) oppure Irigoyen e Etcheverry sono baschi (tipici dei dipartimenti pirenaici del sud‐ovest, in prossimità con la Navarra spagnola ed il Principato di Andorra)... ‐. All'improvviso, poi, si fermò nuovamente esclamando:
‐ Bene, ragazze, ora devo proprio lasciarvi: sono un po' stanco. Ci rivedremo all'arrivo, se vi va! ‐ Così salutò ed andò via: forse non aveva gradito molto l'ultima parte del colloquio con Pam; oppure, chissà, era realmente stanco. 
‐ Sicuro, ci rivedremo! ‐ fece Pam, lanciando uno sguardo malizioso al francese. Poi, dentro di sè pensò: ‐ alla faccia, Julien; e dire che non ti interessa leggere: mi sembri, invece, una enciclopedia vivente!
Alla ragazza quel francese, dai modi scanzonati ma anche gentili e discreti, nonché per il fare suo un po' lunatico ed al contempo da persona riflessiva e colta, era ben simpatico e forse, chissà...la sua sarebbe potuta diventare, da lì in poi, anche qualcosa di più d'una semplice simpatia. A quel punto Reby, rimasta a lungo silenziosa, la prese per un braccio e la strattonò, poi disse:
‐ Andiamo, su, professoressa! ‐ (Era un po' gelosa, evidentemente!). Dopo di che le due tornarono in cabina. Alle ventuno e cinque minuti primi, spaccando simbolicamente le lancette degli orologi di tutti i turisti e dei membri dell'equipaggio che sopra di esso si trovavano, il Filiki riprese il mare aperto. Pam, allora, si sdraiò sul suo lettino e, poco dopo, si addormentò; Reby, invece, indossò una cuffia nelle orecchie collegandola ad un i‐pod e si mise ad ascoltare musica. Nel breve volgere di venti minuti il traghetto ebbe circumnavigato l'estremità sud‐orientale dell'Attica, fiancheggiando la regione montuosa di Làurio, zeppa di miniere di argento, piombo e manganese. Dopo dieci minuti letteralmente passò in mezzo tra Makronesos e Zèa, le due isolette gemelle delle Cicladi minori, a sud‐est di Atene. Un'antica leggenda, risalente all'epoca micenea, narra che alcuni pescatori di spugne avessero visto e poi avvicinato due sirene sugli scogli di Zèa: restarono ammaliati dalla loro seducente bellezza...qualche giorno dopo, però, coloro, forse ebbri di pazzia per quella visione, si buttarono giù da un dirupo, alle pendici del monte Theodoros che sovrasta l'isola. Nel frattempo, visto che la serata era abbastanza afosa, Reby decise di fare una doccia. Quando ebbe finito si sdraiò sul lettino. Pam, intanto, si risvegliò e la compagna, così, si distese di fianco a lei poggiando la testa sulla sua spalla: entambe restarono in silenzio a contemplare il soffitto bianco della cabina. Il Filiki, però, non contemplava proprio un bel nulla: quel "mostro", impietosamente, andava diritto per la sua strada, anz, per i suoi mari. Dop'aver attraversato lo stretto tra Petralia (di fronte al Capo d'Oro, in terra di Eubea o Negroponte) e l'isola di Andro la quale, essendo la seconda per grandezza e la più settentrionale delle Cicladi, forma la barriera superiore delle stesse insieme a Tino (Tinos), Migono, Paro, Nasso, Amorgo e Stampalia, esso navigava, oramai, in aperto (e docile, per fortuna!) Egeo e, finalmente, davanti a lui (seppur, però, ancora in discreta lontananza), all'altezza del fatidico 39° parallelo e alla longitudine ventisei da Greenwich (il meridiano dei meridian o numero zero, che dir si voglia!), cominciava a far capolino la fatidica Lesbo. 
Pam e Reby ricevettero una inaspettata visita, nella loro cabina: il simpatico Julien, il quale recava con sé alcuni croissants ripieni con marmellata di mirtillo, da gustare insieme alle due ragazze. Entrando, dopo aver bussato, il suddetto esclamò:
‐ Ragazze, cosa fate di bello?
‐ Nulla di che, ‐ rispose Reby, ‐ siamo in dolce contemplazione...del soffitto!
‐ Bella cosa, sapete? ‐ replicò, altrettanto ironicamente il francese. ‐ Forse è una contagiosa epidemia: anch'io facevo lo stesso in cabina! Ho deciso, così, di venirvi a trovare: vi da noia, per caso?