Quella notte di un giorno da cani
Sino a che avrai una pistola fra le mani
pronunzierai parole di fuoco
tu uomo; ed emetterai gelide sentenze:
infine, spietatamente ucciderai!
Ricordo quel maledetto e drammatico 8 dicembre del 1980 (quì da noi, a San Isidro, piovve a dirotto sino al tramonto) con notevole sgomento e, soprattutto, come se fosse vicinissimo nel tempo, come se fosse oggi (purtroppo, però, quando esso fa breccia ‐ abbastanza spesso, direi ‐ nella mia memoria, o meglio ritorna a galla, ed impietosamente, mi rendo conto che sono passati ben trentaquattro anni da allora: quasi una vita intera!). Ho ben impresse nella mente, nitide e...chiarissime, le immagini e le parole inerenti il fatto (ovvero il misfatto!) diffusi dai notiziari televisivi della CBS e della NBC a tarda notte e poi l'annuncio impietoso seppur stringato, quasi scarno direi, della morte del cantante (dato in contemporanea tanto sulla costa est, quanto su quella ovest e nel mondo intero, suppongo), come pure le struggenti immagini delle veglie spontanee, illuminate da migliaia di candele, createsi subito dopo in Central Park, a New York, in Jackson Park, a Chicago e in Lincoln Park, a San Francisco. John Lennon quel giorno, quella sera, quella notte di un giorno da cani fu ucciso ben due volte no una soltanto: la prima lo fu materialmente per mano ‐ e con la sua 7,65 Stratton ‐ di uno squilibrato (tale Mark David Chapman), stravolto dall'idea che l'ex Beatles avesse infranto i suoi ideali e sogni giovanili (e dire che egli stesso era stato accanito fan della band di Liverpool!); la seconda, invece, lo fu moralmente, per colpa di leggi inique ed assurde che nel nostro Paese, sin dalla "notte dei tempi", armano impunemente ed irresponsabilmente la mano di chiunque lo voglia (così sarà, infatti, di lì a qualche mese dal fatto tragico di cui si parla, per quella di John Hinckley, attentatore sfortunato di Ronald Reagan), mentre, d'altro canto non permettono ad un diciassettenne di bersi una birra o un drink! Al proposito voglio dirvi, miei cari amici/lettori, che qualche tempo prima che cominciassi a scrivere questo mio libro/racconto di strampalate memorie e altrettanto strampalati pensieri e/o impressions, mi capitò casualmente di sfogliare e leggere (chiedo scusa per l'involontario susseguirsi di assonanti termini propinatovi in questo frangente!) ‐ a mia volta ‐ un vecchio opuscolo ma molto importante, a quanto pare, che casualmente avevo ritrovato, facendo pulizia nello scantinato di casa, in alcune polverose scatole, dov'esso giaceva inerme ‐ chissà da quanto tempo ‐ insieme ad inutili cianfrusaglie ormai in disuso: era l'edizione 1967 dell' American Annual Facts&Feats, una guida preziosissima (penso che molti americani, compreso chi scrive, senza di essa giammai conoscerebbero tanti avvenimenti e fatti verificatisi nel proprio paese, anche nella nostra società pluriinternettizzata e digitalizzata) che sin dal lontano 1919 la casa editrice Mc Millan di New York pubblica con minuzia di particolari, dovizia estrema e passionevolmente;...e ciò che lessi, ritengo sia abbastanza pertinente con l'assassinio e la morte di Lennon, per cui di seguito lo riporto testualmente:
AUSTIN (TEXAS) ‐ Oggi, alle 11,40 a. m., un giovane di ventiquattro anni, John Talbot, studente di architettura, armato di due fucili da caccia e di una carabina di precisione con mirino telescopico, appostato al ventiseiesimo piano di un edificio dell'Università di Austin, ha ucciso tredici persone e ne ha ferito trentuno: prima di recarsi all'università aveva ucciso la moglie e la madre. Congedato un anno fa dal corpo dei marines dopo sei anni di servizio, Talbot soffriva di un tumore al cervello. Questo grave fatto di sangue viene ad aggiungersi ai molti delitti (circa cinquemila) che si perpetrano ogni anno nel nostro Paese con armi da fuoco. Come si sa, negli Stati Uniti è molto facile procurarsi armi (basti pensare che Lee Oswald si fece spedire il fucile addirittura per posta: un po'come potrebbe essere se un tale di nome Robert Foster lo acquistasse ‐ oggidì ‐ su Amazon e gli arrivasse a casa dopo due giorni!) e il Secondo Emendamento della nostra Costituzione espressamente sancisce che "il diritto del popolo americano a portare armi non deve essere violato". (notizia estratta dal The Daily Texan dell'1 agosto 1966). E'proprio il caso di dire che "il lupo (l'America) perde il pelo ma non il vizio" (l'uso improprio delle armi da sparo"). Lennon, al momento della sua uccisione viveva a New York, dove si era trasferito dall'Inghilterra nel 1971, con la consorte Yoko Ono ed il figlio Sean, nato nel 1975 dopo la riconciliazione della coppia. Conobbe ‐ e sposò ‐ l'artista nipponica nel 1969, quando, cioè, era ancora insieme ai Beatles (in prime nozze aveva precedentemente sposato Cynthia Palmer, da cui ebbe il primogenito Julian): ciò divenne uno dei punti d'attrito, insanabili purtroppo, insieme alla incipiente e galoppante incompatibilità artistico‐caratteriale con Paul Mc Cartney (ma probabilmente fu l'unico, a detta della stampa) che causò la "morte" del gruppo inglese. Il periodo "post‐Beatles", però, fu ricco di contrasti nella vicenda umana di Lennon: certamente un insieme ed un' alternanza di gioie e dolori, di luci e di ombre! Dal punto di vista sentimentale l'unione con Yoko toccò dapprima il punto più alto (quando i due facevano tutto insieme, senza staccarsi mai l'un dall'altro, come fossero due gattini siamesi in amore, nella vita come in musica) e poi quello più basso (quando i due, nel 1974, si separarono salvo poi riappacificarsi e tornare nuovamente insieme, l'anno dopo). Egualmente dal punto di vista artistico e musicale Lennon raggiunse livelli eccelsi con alcuni albums ("John Lennon/Plastic Ono Band", "Imagine", "Rock' n' roll"), e mediocri invece con altri ("Mind Games", "Walls And Bridges", lavori del periodo "post‐Ono", ossia del biennio 1973‐74); è da dire che in quel periodo, tra le altre cose, Lennon scrisse poesie (notevoli sono tanto l'ode alla madre e "Remember Liverpool", quanto "My great love", dedicato alla musica), dipinse quadri e tradusse in spagnolo e indiano (la lingua imparata durante il suo lungo soggiorno nel paese asiatico trascorso insieme agli altri "scarafaggi") diversi classici della letteratura americana e britannica, tra cui Blake, Fitzgerald e Twain. Nel nostro paese, inoltre, il cantante dovette affrontare una lunga e snervante sequela ‐ durata ben cinque anni ‐ di battaglie legali col governo, con l'FBI e con il Dipartimento dell'immigrazione per ottenere il permesso di soggiorno (e fortuna, aggiungerei, che non dovette essere costretto a "soggiornare" in uno di quei famigerati centri di detenzione‐lager, oggi disseminati su tutto il territorio degli States così come in gran parte delle nazioni cosiddette civili...ma all'epoca i suddetti eran ben lontani dal sorgere!). Tutta la vicenda ‐ ed ancora aggiungerei fortunatamente ‐ si risolse nel 1975, in modo alquanto positiva per il cantante inglese. Fu proprio in uno di questi centri, lurido, puzzolente e malsano (per la precisione nel "42° braccio" del Queens, a New York), che oggi sono più che mai in uso nel nostro paese dopo le vicende dell' 11 settembre (dove, tanto per intenderci, i cittadini stranieri attendono generalmente il rimpatrio obbligato, e dove ci si può trovare rinchiusi forzatamente e senza tanti complimenti: a volte anche senza saperne il perché o senza un motivo ben preciso!), che il mio amico siriano Tarik Aziz, un percussionista con i fiocchi di ventisette anni, giunto in America alcuni mesi prima insieme alla madre Hamin, fu rinchiuso per otto lunghi mesi prima di essere rispedito a casa. Era stato bloccato nella fermata della metropolitana di Greenwich Park da alcuni agenti in borghese della polizia newyorkese per un futile motivo: aveva scavalcato il cancello della cassa, così per gioco come tante volte lo si fà, pur avendo vidimato il biglietto...e così, per gioco si era ritrovato immerso in un mucchio di guai, in uno stato e in una situazione di assoluto "non ritorno"! Non ritengo sia giusto, anzi, non è giusto per niente che un mucchio di brava ‐ e buona ‐ gente, rea soltanto di essere in cerca di un futuro migliore per sé e la propria famiglia, debba lasciare il nostro paese mentre un altro mucchio di emeriti figli di cagna (senza offesa per i soggetti a quattro zampe di sesso femminile!) e di troia (senza offesa per le squillo, o escort che dir si voglia le quali, sebbene lo facciano dietro compenso,sono pur sempre, a modo loro, dispensatrici di felicità e...piacere istantanei!) faccia il bello ed il cattivo tempo nonché il proprio porco comodo nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle nostre vie, nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici, nella nostra politica, nelle nostre vite, e nel nostro tutto: abbiamo forse dimenticato di essere (stati) la Patria della più giovane e giusta democrazia del mondo? Di essere (stata) la Patria delle grandi opportunità per tutti? Credo proprio di sì...purtroppo! (E questo lo avevano capito, fra gli altri e oltre quaranta anni fa, i Jefferson Airplane, o Starship, o...poco importa: maledetti lucidi profeti delle sette note;...son soltanto fottute divagazioni musicali, quindi lasciate perdere!).
Quando ero piccola ero solita stare
con la mano sul cuore,
e avrei voluto cantarti
che tu eri mio figlio e mio amante,
mio padre e mio fratello.
Io credevo in te.
Era così facile allora,
era davvero così facile!
Ma dove sei finita adesso?
Sembra come se tu non possa più ascoltarmi,
non più,
può darsi che stia diventando
troppo vecchia
Ma ti ricordi 201 anni fa,
quando eri giovane?
Come sei diventata forte,
promettendoti ad ognuno
come dolce dispensatrice di libertà.
Ora tu sai esattamente chi sono io.
Mi sembra di dirtelo in continuazione.
Dimmi allora tu la verità
su di te:
la tua vita dovrebbe essere tanto chiara
quanto la mia.
Ci sono dei ragazzi che stanno morendo per te,
e questo non mi suona come "libertà".
Tu continui a mentire sul perché loro muoiano,
quando invece dovrebbero essere stati generati nella libertà.
Mostrati, mostrati a me.
Tu sei quella che mi disse, ricordi?
che io ero nata per essere libera.
Apri tutte le tue porte: io voglio vedere
tutte le tue porte e tutte le tue chiavi,
voglio vederti e sentirti.
Oh, sì, tutte le tue 88 chiavi,
dammele.
Mostra te stessa, mostrati a me.
Io voglio vedere le stelle e le strisce
che possano far urlare quelle corde.
Mostrati, mostrati a me.
Esponi te stessa: io voglio vedere la tua faccia.
Vieni e dammela.
Mostra te stessa,mostrati a me.
Sei forse la RCA, la Standard Oil
o la ATT? Voglio vedere.
Dammi la tua faccia se ne hai una.
Voglio vedere, vieni e mostra te stessa.
Chi manovra tutto questo? Chi guida questo paese?
Mostrami, mostrati, dammelo.
Voglio che tu sappia che io voglio vedere,
chi guida tutto ciò, chi lo fa girare?
Mostrami, mostrami, mostrami la tua faccia.
("Mostra te stessa, America", da: Earth, 1978, dei Jefferson Airplane).
da: "Le memorie strane d'un asino pazzo a stelle&strisce chiamato Lucky", 2014).