Quella volta a San Isidro (La Fregata Madre di NeverNeverland: storia, racconto di un sogno; ovvero la storia "vera" raccontatami da mio padre, quando entrambi eravamo svegli, durante un sogno - California dreaming)
Le World Series del baseball professionistico sono l'evento più "catastrofico" e spettacolare dell'anno nel nostro paese: esse, paradossalmente, fermano, da costa a costa, l'intera nazione che le segue con fervore sincero, intensa passione ed enorme interesse attraverso tutti i canali mediatico‐comunicativi possibili ed immaginabili. Si svolgono ogni anno, a fine estate o inizio autunno: al termine, cioé, della regular season (stagione regolare) e dei successivi play‐off.
Quelle del 1989, un derby californiano tra i Giants di Frisco e gli Athletic's di Oakland, attesissimo e sentitissimo da entrambe le tifoserie nonché da tutto lo stato, vengono ricordate, altresì, per un evento ancor più catastrofico (e straordinario) del solito il quale, mi viene da scrivere, fu capacissimo di interromperne un'altro della sua stessa portata e del suo stesso spessore: un terremoto (il cui epicentro fu individuato nella zona di Loma Prieta, contea di Santa Cruz) che colpì, appunto, la baia di San Francisco e una vasta zona della California centro‐meridionale, tra cui la stessa città di Oakland, proprio nel momento in cui, udite! udite!, il Candlestick Park, gremito da sessantaduemila spettatori coloratissimi, festanti ed ansimanti si apprestava a vivere la terza sfida della serie poi definita, da pochi "Bay Bridges Series" o "Battle of The Bay", invece da molti "Earthquake Series", appunto!
Quel sisma, quell'evento catastrofico della natura (che si manifestò insieme ad un evento catastrofico organizzato dall'uomo!) fu anche il più moderno e..."mediatico" della storia; quello sopraggiunto, cioé, ed oserei dire quasi diabolicamente materializzatosi, a ridosso dell'entrata del globo intero nell'era internettiana e digitalizzata, la quale sarebbe cominciata appena un lustro innanzi; ma anche fu, ahimé!, il più devastante che la moderna storia delle dottrine telluriche ricordi: era del sesto grado, punto nove, della scala Richter e del nono di quella Mercalli, ovvero il secondo per intensità nella beneamata terra di California (dopo quello del 1926 che colpì Frisco), provocò ben sessantatré vittime!
Tutti noi californiani mai lo dimenticheremo, nostro malgrado, vita natural durante! E dire che io, che di nome faccio Bryan C. (la C sta per Car, in onore ‐ e gloria ‐ del padre di mio padre), anche se tutti mi chiamano "Lucky" (in onore delle famose sigarette Lucky Strike: forse, chissà, proprio per il fatto che non abbia mai fumato una volta ‐ che è una ‐ in mia vita!), e di cognome Ross (americanizzato dall'originale greco Rossis), da San Isidro (contea di Orange), peraltro incallito tifoso dei Giants e quindi già incazzatissimo nero a causa dell'esito infausto [per i suddetti] di gara uno e due (è arcinoto che la serie finale nel nostro baseball si giochi al meglio delle sette partite), quel giorno (cadeva, manco a farlo apposta, il diciassette seppur non fosse un venerdì ma domenica!), per la cronaca ed a quell'ora (erano le diciassette da appena quattro minuti e non, evidentemente...le diciassette in punto!) proprio mentre quello di cui scritto avveniva, a meno di quattrocento miglia di distanza, ero seduto, solo soletto, su una panchina del nostro bel lungomare, a San Isidro (che io chiamo, sarcasticamente, "Buena vista hospital"!), intento ad ascoltare la radio (la KGO‐AM di San Francisco, che di lì a poco avrebbe trasmesso in diretta l'evento, peraltro col commento di Frank Scalise, un mio vecchio amico di Fresno) e ‐ beato me oppure...ahimé!: dipende, se mai, dai punti di vista o dai punti e basta! ‐ a sorbirmi, anzi, a terminare di farlo (nonché a ripetere più volte, tra me e me, mentre lo facevo, e compiaciuto alquanto, l'intercalare "non c'é malaccio! non c'é malaccio!") di certo non un pàsto luculliàno bensì...ma semplicemente un gigantesco hot‐dog con wurstel bollito ed annesse patatine fritte (di quelli a "stelle&strisce", direi!), saturo pure di senape, il primo, e inondate di ketchup le seconde; nonché di "ricche calorie": giust'appunto, evidentemente, per ammirare poi il tramonto a pancia satolla (e ascoltare la radio con le orecchie arzille ed il cuore in ansia per i miei Giants!); tutto, ovvio, alla faccia della fame nel mondo, dell'anticonsumismo americano, dei nutrizionisti (o dietologi e salutisti, o vegetariani, o vegani; o dei mangiatori di farfalle di Papua Nuova Guinea o di quelli di serpenti dell'Amazzonia!) e, buon ultimo, del "santissimo" padre colesterolo!...ed invece, mio malgrado, nell'arco di pochissimi istanti, accaddero due imprevisti (il primo, però, molto prevedibile ‐ mi verrebbe quasi da dire ‐ viste le dimensioni dell'hot‐dog da poco ingurgitato: è risaputo, infatti, che lo stomaco pieno attiri il sonno come fa il miele con le api o il repellente con le zanzare!; il secondo davvero inaspettato). La radio, infatti, d'un tratto interruppe il segnale (a causa del sisma, evidentemente; ma dopo quasi quaranta minuti di black‐out riprenderà a trasmettere: lo saprò soltanto il giorno dopo, però!). Nel fratttempo, però, (giusto per la cronaca), sulla ABC, in diretta coast to coast, anche Tim McCarver annunciava un'interruzione video del segnale: e quella sarebbe durata fino alla sera (anche questo lo saprò il giorno dopo). E poco dopo, a sorpresa (relativa, come ho già detto) anche io smisi di trasmettere il segnale...neuroni al cervello e mi addormentai [sulla panchina di cui sopra]: ‐ addio mio bel tramonto ma...
Durante il sonno, quel sonno quasi letargico (durò la bellezza di sei ore!), sognai una storia, non "sognata" ma...vera, diciamo, quindi, trasognata!, perché ‐ guarda caso ‐ uguale ad una storia, un racconto che spesso mi raccontava mio padre quand'ero poco meno che ragazzino (o poco più d'un bambino!) e quando entrambi, però, eravamo svegli: una storia, un racconto tramandatogli, a suo dire, dal padre che, a sua volta, lo aveva ricevuto (o ascoltato) dal padre (il nonno di mio padre, quindi mio bisnonno) e così via, a ritroso nel tempo...una storia, un racconto [quello] che lo faceva "sognare" ad occhi aperti, quindi trasognare, e che, quando me la raccontava lui, [mio padre], mi teneva ben sveglio, anzi,...mi faceva "sognare" ad occhi aperti, cioè trasognare...; era‐è una storia, un racconto di un'apparizione, era‐è la storia dell'apparizione di una fregata (il "grande uccello" per tutti, in Grecia: l'uccello della libertà, degli uomini liberi!), la stessa c'or vado a raccontarvi...così come la sognai, ossia ugualmente a come me la raccontava lui: [mio padre].
‐ Sai, Lucky, quando avevo la stessa tua età (più o meno cinque o sei anni) ed ero alto poco più di quanto lo sei tu adesso, quindi meno d'un soldo di cacio, mio padre (cioé tuo nonno Carl), mi raccontava spesso la storia di un'apparizione; dell'apparizione, cioé di quella precipua "apparizione"...della fregata madre di NeverNeverland (un luogo, per i greci, che spesso ha sede nel loro cuore, che spesso è: immaginario e immaginifico al contempo, sognato ed insieme trasognato o semplicemente agognato!). Entrambi, sai, quando lo faceva, eravamo seduti sul balcone di casa, a Tinos (era una vecchia e piccola costruzione in marmo bianco ed azzurro ‐ i colori del mare e della libertà ‐ come la maggior parte delle altre sull'isola, ornate con le loro eterogenee decorazioni di animali ‐ uccelli e gabbiani in gran parte ‐ fiori e scene rupestri), così come lo siamo noi adesso, di fronte a noi avevamo soltanto il mare calmo, quasi piatto, si apriva lontanissimo il vasto ed eterno orizzonte e ci si parava innanzi un tramonto color vermiglio da mozzare il fiato ed oscurare la vista...
Mio padre e la sua famiglia erano originari di Tinos (Ténos in greco), una delle più grandi isole delle Cicladi, "che molto ha contribuito", come affermò una volta Dimitris Z. Sofianos, direttore del Centro per le ricerche sulla Grecia medievale e moderna dell'Accademia di Atene, "al formarsi della tradizione culturale della Grecia, specialmente in epoca moderna". Secondo Stefano Bisanzio, "Tinos, una delle Cicladi, porta il nome del primo abitante Tinos; noti sono altri antichi nomi: "Idrussa", che manifestava abbondanze di fontane e acque, e "Ofiussa", che testimoniava la abbondante presenza di serpenti sull'isola". Aristotele, a sua volta, aveva scritto un libro dal titolo "La repubblica di Tinos".
Mio nonno Carlo (il nome venne poi americanizzato elidendo la o finale) ed il mio bisnonno Giorgio (fu chiamato così da suo padre in onore di Giorgio Palamaris, che sventolò la bandiera dell'indipendenza, per primo, a Pirgos, il 31 marzo 1821), erano nati nella vecchia città del porto, al quartiere turco di "Anatolias", ed entrambi divennero intagliatori di marmo (subito dopo la nascita dello stato Ellenico, ingegneri ed architetti europei e greci dell'epoca utilizzarono esclusivamente lavoratori di marmo, artisti e costruttori provenienti da Tinos, per costruire palazzi in Atene e altre città importanti come Efeso, Salonicco o Castorini; e tanto la maestria, quanto la creatività artistica di quegli uomini, spesso rimasti anonimi, sono testimoniate da un vecchio proverbio, il quale afferma che ognuno di loro "con il bacio dello scalpello potesse risuscitare la pietra!"); la mia famiglia, Rossis, entrò da tempo lontano nel novero delle grandi famiglie dell'isola che continuano ancor oggi la tradizione artistica del marmo: Filippotis, Liritis, Collaro, Malakatès, Valakas, Mavrakis, Sparveris, Fòrtomas, Karaghiorghis, Rallis e tante altre.
Mio nonno emigrò negli States nel lontano 1928, e a bordo della sua nave passeggeri (la "Giannulis Chalepàs" di Corinto, dell'armatore Stavros) attraccò nel porto di New York, a Ellis Island, nel dicembre dello stesso anno. Era già sposato con mia nonna Ledyas e mio padre, all'epoca,aveva otto anni. Si trasferirono in California quasi subito
(appena due mesi dopo l'attracco della loro nave a New York), attraversando il paese sulla leggendaria "Southern Railway&Co.", costruita ai tempi dei cowboys e degli indiani, sull'ancor più leggendaria locomotiva "Pacific Rock Express"!
Mia madre, Adyn Mavroulis, era una avvenente ragazza castana di Itaca (isola montuosa delle Ionie e dell'omerico Ulisse), giunse in America nel 1929 (un anno dopo la famiglia di mio padre), a bordo del transatlantico "Britannia" che aveva fatto scalo a Salonicco e su cui lei si era imbarcata: mio padre la conobbe in una stazione di servizio a San Isidro, i due si sposarono nell'estate del 1954, in una chiesa messicana di Brownsville, nel Texas.
...Intanto, dopo un breve attimo di silenzio, mio padre accese un grosso sigaro "Avana", aromatizzato al cedro del Libano, e riprese a parlarmi (cioé, a raccontarmi ciò che a lui avevano già raccontato!):
‐ Ed io ora lo faccio con te, ‐ mi disse, ‐ racconto a te quella storia proprio così:
‐ La fregata madre di Neverneverland era un uccello grandissimo e maestoso, in volo e con le ali aperte, spiegate al vento (colorate di rosso e di nero), lo sembrava ancor di più, ovvero più di qualunque altro (anche dello stesso albatro, l'uccello "sacro" dei naviganti, capace di ammansire ogni vento!); si chiamava così, lei (tutti la chiamavano così, in Grecia), perché oltre a essere una femmina, era anche la vedetta (come l'albatro, appunto, che nei mari del mondo preannuncia sempre tempeste!), ovvero la "madre" di tutti gli altri uccelli ‐ simili suoi e di altre specie ‐ che arrivava sempre per prima. E quello splendido uccello, Lei [la fregata], puntualmente, ogni anno, nelle mattine d'autunno ammantate di una sottile brina ed avvolte in un lieve e tiepido refolo di vento, residuo piacevole della calda stagione precedente da poco passata, compariva in cielo all'improvviso, quasi come fosse un forte abbaglio, ed altrettanto velocemente, quasi come fosse una saetta, un fulmine o una dolce chimera, scompariva! Ed al suo passaggio, tanto veloce, quanto dolce ed impetuoso, ogni volta e tutti gli anni, v'erano accadimenti a dir poco strani e/o quantunque eccezionali, mi raccontava tuo nonno, di cui lui non riusciva a darsi né farsene ragione alcuna, anzi, di cui nessuno riusciva a spiegarsi il motivo, o quantomeno capire se fossero frutto di banali coincidenze o di qualche altro ben definito disegno (diabolico o divino? Chissà!): accadeva, così, che i vetri di tutte le finestre, nelle case della zona come in quelle di altri paesi o isole lontane dalla nostra, andassero in frantumi ed il cielo tuonasse in maniera inverosimile...‐.
Quasi, chissà, come se ci fosse stato il passaggio di un Boeing 747 o quello di un Concorde B11 francese di futura costruzione (a quel tempo non esistevano ancora), oppure un Tornado 44 o uno Spitfirefox di futuro, largo e drammatico impiego (a quel tempo neanche loro esistevano ancora ma, purtroppo, in conflitti che temporalmente seguiranno, rispetto alla storia di cui scrivo, ossia rispetto a quando mio nonno la raccontava a mio padre e non a quando mio padre la raccontava a me, verranno usati modelli di "aeromobili" sputafuoco ed ammazzagente, o meglio lanciabombe, distruggi città e lanciafiamme ben...altrettanto efficaci!).
‐ Lui, tuo nonno, ‐ continuava mio padre, ‐ dop'aver osservato quella "apparizione", anzi, dop'avervi fugacemente assistito, fra sé e sé ripeteva: Ti vedo apparire eppoi scomparire in un attimo...un attimo, così, un niente e passi, velocissima; voli via e vai, magnifica! Bellissima! Chissà da dove vieni? Chissà dove sei diretta?.
‐ E anche io, però, Lucky, ascoltandolo mi domandavo le stesse cose: lo facevo con lo stesso, identico stupore di tuo nonno e probabilmente fremevo ancor di più dalla curiosità! In realtà, però, quello stupendo animale, quell'uccello, ‐ mi diceva sempre tuo nonno, riprendendo il racconto dopo essersi, in certo qual modo, ricomposto, dop'essersi evidentemente..."riavuto" dall'emozione suscitatagli da quella particolare e precipua apparizione, e così come (a sua volta), li era stato raccontato, ‐ proveniva da una terra lontana e sconosciuta (NeverNeverland) e si dirigeva verso luoghi pur essi lontani e miti; che eran verso sud, ossia alla foce del grande fiume Rossonero, passando prima per il mare della Libertà ed attraversando le vaste ed ombrose terre di Nessuno; si dirigeva, per svernare, verso quel luogo...un solo luogo, un luogo ben preciso, ossia al raduno degli uccelli "sacri" di primavera e del primo sole
‐ Si dice che molti uomini impazzissero..., ‐ si fermava, ancor preso dall'emozione, eppoi riprendeva, nonno Carl ‐ molti uomini, quando Lei [la Fregata], durante il lungo e freddo inverno, è lontana, cercando di sognarla o per lo meno credendo di immaginarla, senza riuscirci, siano impazziti; e molti altri ancora, invece, abbiano deciso di togliersi la vita gettandosi giù in un burrone da un dirupo scosceso o da uno strapiombo, oppure gettandosi nel mare in tempesta da una scogliera altissima! ‐ Io, ‐ concludeva tuo nonno, ‐ e così racconto a te, figliuòlo, ‐ preferisco invece aspettarla sino alla stagione nuova (l'estate), quando Lei tornerà: per rivederla un'altra volta ancora dal vivo volar sul mio cielo, sopra i miei luoghi d'infanzia e di vita, nel cuore mio!
...Mentre ora, quando Lei non c'é, preferisco sognare di viaggi misteriosi e terre selvagge, senza perdermi, però!
‐ Bene, Lucky, ragazzo caro, ‐ diceva mio padre, ‐ quando ascoltavo questa storia, questo racconto o...dai, sù, chiamalo pure come ti pare: ma sì, chi se ne frega! Quando ascoltavo tutto ciò dalla bocca di tuo nonno mi emozionavo (e non poco!) e vagavo con la fantasia, anzi, sognavo anch'io in tempo reale...sognavo di terre lontane, "libere&giuste"; sognavo (forse?!) già di California, cioé, la nostra futura ed amatissima terra: dei suoi dorati tramonti che quasi accendono l'orizzonte, ovunque si osservino...e mi ripetevo: laddove, laggiù, tutto è ordine e grandezza, ogni cosa è bellezza e magnificenza, tutto è splendore, è quiete, è voluttà! ‐ (Forse, anzi, di sicuro è così,direi...terremoti a parte, però!).
La storia, il racconto, il sogno erano finiti...tutto, oramai, era finito: anche io, finalmente e fortunatamente, mi risvegliai dal lungo sonno sulla panchina del lungomare; ed il terremoto, purtroppo, non era stato un sogno ma triste e veritiera realtà. Dopo essermi alzato in piedi, nonostante fossi ancora un po'assonnato, per prima cosa sollevai lo sguardo al cielo: forse, chissà, con la recondita speranza di veder arrivare la fregata, quella della storia, anzi, del racconto "ascoltato" durante il sonno; di vederla volare sopra la mia testa seppur soltanto per un attimo eppoi scomparire immediatamente...vana illusione, fu ‐ però ‐ la mia! Anche la partita di quel giorno, purtroppo, restò illusione e sogno, ovvero delusione e basta: essa, infatti, non venne più giuòcata; la serie, invece, fu interrotta e, ahimé, la vittoria toccò agli Athletic's!
Le prime luci della sera, nel frattempo, erano ormai giunte all'orizzonte ed io mi avviai tranquillo verso casa: il mio appartamento, infatti, è al 2488 di Kettner boulevard, appena due isolati di strada dal lungomare; neanche lui era un sogno, ma mi aspettava solitario ed accogliente come al solito. Non appena vi giunsi, presi la chiave nascosta sotto il tappetino vicino alla porta d'ingresso; insieme alla chiave c'era una busta bianca senza mittente ed indirizzo scritti sopra: presi anche quella. Dopo di che aprii la porta ed entrai in casa; infine aprii la busta e lessi la lettera, dov'era scritto: "Disoccupate i sogni, per favore!".
Taranto, 11 novembre 2014.
da: "Le memorie strane d'un asino pazzo a stelle&strisce chiamato Lucky", 2014).